mercoledì 30 dicembre 2009

ECCELLENZE CHE PERDONO… TERRENO

Mozzarella, caso peruto, mela annurca, fragole, oli e vini prestigiosi. Ma le 40 mila aziende agricole del territorio hanno a disposizione sempre meno aree coltivabili


di Francesco Falco


Un organismo sano, incancrenitosi a poco a poco, svuotato dall’interno di tutte le sue eccellenti qualità e colonizzato dall’orrore. Descrivere il settore agro-alimentare di Terra di Lavoro e del Napoletano significa, oggi, affrontare un discorso paradigmatico, guardare ad un modello di sviluppo fallimentare che sta distruggendo la vocazione agricola di un intero territorio. Un’area benedetta dalla sua particolare collocazione geografica, e trasformata in un ricettacolo di escrementi produttivi. Una zona, quella tra le province di Napoli e Caserta, al primo posto per la produzione alimentare. A partire dalla mozzarella di bufala (nella foto, un caseificio), le cui 34 mila tonnellate annue generano un fatturato di oltre 300 milioni di euro, rappresentando l’87% del patrimonio bufalino nazionale nella sola provincia di Caserta. Passando per i 30 vini regionali (molti dei quali Dogc, Doc e Igt), due formaggi millenari (con il "caso peruto" che è il più antico formaggio italiano, risalente a più di duemila anni fa) e attraversando le campagne di Giugliano e Parete in cui spicca la produzione di fragole, fino a giungere a Roccamonfina, nota per la sua castagna del vulcano. È un campionario di prodotti tipici di qualità, come la mela "annurca", i due tipi di olii extravergine di oliva con marchio Igt e come i tre marchi di acque minerali famosi a livello mondiale. La struttura produttiva del territorio racchiuso tra Napoli e Caserta si regge sul comparto agro-zootecnico grazie alla fertilità di un terreno che è circa tre volte superiore alla media nazionale. Le oltre 40 mila aziende che operano su 107 mila ettari di territorio, infatti, hanno una resa produttiva pari a quella di aziende collocate in altre parti d’Italia, ma con un terzo dell’estensione territoriale necessaria: 2,6 ettari per le prime contro i 7,4 delle seconde. Ma questa piacevole prosperità è inquinata da un coacervo di scelte politiche e industriali più che discutibili, che si sommano alle attività criminali riguardanti gli sversamenti abusivi di rifiuti (tossici e non). Edilizia selvaggia e abusiva, desertificazione, pianificazione industriale miope sono solo alcune delle scelleratezze che stanno stravolgendo la naturale predisposizione produttiva del territorio. A convivere con le squisitezze gastronomiche sopra descritte ci sono scempi di ogni natura. Cominciando dagli 800 e passa siti di abbandono incontrollato dei rifiuti, passando per le 458 cave (376 abbandonate o chiuse, 46 autorizzate e 36 abusive) localizzate in 75 dei 104 comuni casertani: numeri che segnalano la più alta concentrazione di cave al mondo... continua

«UNA MOBILITAZIONE PER I BENI CONFISCATI»

Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, chiede a cittadini e istituzioni di difendere i risultati della Legge 106/96. Ecco perché


di Rosanna Marino


Tredici anni fa, la legge n. 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie prevedeva l’assegnazione dei patrimoni di provenienza illecita ad associazioni, cooperative, enti locali, ovvero quei soggetti in grado di restituirli alla cittadinanza tramite servizi, attività sociali e lavoro. Oggi, un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. Che impatto avrà questa nuova disposizione? Qual è la reazione di chi da anni lotta contro le mafie? Lo abbiamo chiesto a don Luigi Ciotti (nella foto), presidente dell’associazione "Libera: nomi e numeri contro le mafie".
Come reagisce Libera nei confronti della norma?
Con una nuova mobilitazione della "società responsabile", simile a quella che tredici anni fa ha accompagnato il cammino della legge 109 in Parlamento. Oggi come allora, attraverso la raccolta firme in tante piazze e su Internet, le foto-petizioni pubblicate sul nostro sito e le campagne di sensibilizzazione, intendiamo ribadire che i beni confiscati appartengono a tutti gli italiani onesti e che affidarli alla collettività è la scelta più giusta perché significa trarne una ricchezza diversa, fatta di condivisione, opportunità e diritti. La nostra mobilitazione è la testimonianza che molti italiani temono gli effetti della norma e la posizione apertamente contraria di diversi schieramenti politici è un segnale incoraggiante. Purtroppo la decisione di sottoporre la legge finanziaria al voto di fiducia ha complicato le cose, impedendo di fatto alla Camera e prevedibilmente anche al Senato di confrontarsi su quel singolo argomento.
«Niente regali alle mafie, i beni confiscati sono cosa nostra»: è l’appello che Libera lancia all’Italia, ai suoi cittadini e alle sue istituzioni. Cosa chiede agli uni e agli altri?
Ai cittadini chiediamo di mettersi in gioco per dimostrare che i beni confiscati li sentiamo davvero "cosa nostra". A Governo e Parlamento chiediamo invece di ripensarci e ritirare la norma, perché rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio. Conoscendo le capacità di manovra della criminalità organizzata, le intimidazioni di cui si serve per mettere fuori gioco i possibili concorrenti, la rete di prestanome cui si appoggia per aggirare ogni controllo, è facile pensare che i primi a farsi avanti alle aste pubbliche dei beni saranno proprio i boss. Per questo motivo il timore che le mafie riescano a riappropriarsi dei loro patrimoni non ci pare per nulla infondato.
Cosa pensa dell’annuncio del ministro Roberto Maroni riguardo la creazione di un’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati ai mafiosi?
L’istituzione di un’unica Agenzia nazionale per i beni confiscati è una proposta che Libera avanza da tempo e siamo lieti che il ministro l’abbia fatta propria. Speriamo che alle intenzioni seguano i fatti e che questo strumento non si trasformi in una sorta di "agenzia immobiliare" che si limiti a gestire la vendita dei beni... continua

BASSOLINO A SEI MESI DALLA SENTENZA

Potrebbe arrivare entro giugno 2010 il verdetto per gli otto reati contestati al governatore
in materia di ambiente e gestione del ciclo rifiuti


di Alessandro Pecoraro


Ho visto con i miei occhi, nelle fosse dei rifiuti, perfino motori di lavatrici o frigoriferi interi». Queste dichiarazioni sono di Maurizio Avallone, ex dirigente del Seam (Servizio di emergenza ambientale) dell’Arpa Campania che, interrogato pochi giorni fa dai Pm di Napoli, Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, ha denunciato la gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Campania tra il 2000 e il 2004. L’interrogatorio rientra all’interno di un processo partito nel maggio del 2008, che vede ben 28 imputati tra politici, dirigenti e imprenditori, e che ha l’obiettivo di far luce sulle irregolarità nella gestione del ciclo dei rifiuti in Campania. Si tratta del processo Impregilo-Bassolino.
Le indagini, partite nella primavera del 2003, svelerebbero un fitto sistema di tipo affaristico-clientelare in cui gli unici a guadagnarci sarebbero stati imprenditori e politici campani, tra cui spiccano i nomi di Antonio Bassolino e dei vertici di Impregilo. Il governatore è sospettato di aver commesso ben otto reati differenti, tra cui frode in pubbliche forniture, concorso in truffa aggravata, interruzione di pubblico servizio, concorso in violazione delle normative ambientali, abuso d’ufficio e falso. I vertici della multinazionale, invece, sono accusati di aver bruciato un finanziamento di oltre 200 milioni di euro, versato dal Governo italiano per la gestione, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti in Campania. Secondo l’accusa, Bassolino, nel momento in cui era stato nominato commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, non avrebbe esercitato il suo dovere di controllo, «perseguendo un disegno criminale volto a non superare l’emergenza». Per Noviello e Sirleo, il presidente della Regione non poteva non essere a conoscenza della condotta dei gestori degli impianti – le imprese consorziate Impregilo, Fibe e Fisia – che sovraccaricavano gli impianti, disincentivando la raccolta differenziata e provocando uno svernamento in discarica di oltre il 50% dei rifiuti anziché del 15% stabilito dal piano per l’emergenza. I magistrati ritengono, inoltre, che il governatore della Campania sarebbe stato complice del mancato avviamento della raccolta differenziata, della realizzazione di impianti Cdr non a norma e di ritardi nella costruzione del termovalorizzatore di Acerra, entrato in funzione solo nel gennaio del 2009... continua

venerdì 4 dicembre 2009

LA TERRA DEI MILLE ABUSI

Agro aversano, Orta di Atella, litorale domizio. E poi la cintura napoletana, fino a Casalnuovo, dove è sorto un intero quartiere mai condonato. E le pratiche sono sparite


di Mario Del Franco e Nunzia Lombardi


L’Agro aversano a detenere il triste primato del «maggior numero di abusi edilizi su quelli compiuti in tutta la provincia di Caserta», a detta dell’assessorato regionale all’Urbanistica. 10 mila manufatti abusivi sui 15 mila presenti su tutto il territorio provinciale, 5 mila tra Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e Villa Literno, 1.320 nel solo comune di San Cipriano, costituiscono il fulcro dell’incidenza del fenomeno, secondo Donato Ceglie, Sostituto Procuratore a Santa Maria Capua Vetere, che spiega: «Queste forme di abusivismo sono determinate da uno sviluppo urbanistico selvaggio, che costituisce il precipitato diretto sul territorio delle dinamiche criminali legate al cemento e del patto scellerato tra le organizzazioni criminali, che gestiscono il territorio, e gli abitanti del territorio stesso».
Senza contare che, chiosa Ceglie, «tra tali manufatti abusivi sono probabilmente compresi anche i bunker protetti da sistemi di telecamere a circuito chiuso, che danno rifugio ai latitanti e che andranno assolutamente abbattuti – aggiunge il Pm – perché la legge torni a controllare il territorio».
Casi analoghi sono costituiti dai comuni di Orta di Atella, attualmente oggetto di indagini che stanno verificando, secondo fonti interne alla Procura, l’eventuale carattere abusivo di ben 25 mila vani, costruiti con il benestare dell’Ufficio tecnico comunale (vedi servizio a pagina 12, ndr), e Marcianise, che fa registrare 4 mila costruzioni non a norma, dove la cementificazione selvaggia «è stata perpetrata – spiega Ceglie – anche attraverso un uso discorsivo, particolarmente raffinato, degli strumenti normativi in materia di urbanistica, soggetti alla competenza delle amministrazioni comunali».
Altra questione è il litorale domizio, dove a parte le circa 5 mila tra villette e baracche abusive, sorte a partire dagli anni ’80 in località Pantano, su territorio di competenza dei comuni di Cellole e Sessa Aurunca, e la tristemente nota aberrazione del Villaggio Coppola Pinetamare (nella foto), continuano ad essere praticate forme di abusivismo finalizzate – nota ancora il magistrato – «allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina in un quadro di alleanze tra organizzazioni criminali autoctone e d’importazione, per la gestione di affari legati a droga e prostituzione». Soprattutto alloggi per migranti irregolari.
Dunque l’assessorato regionale competente può, a ragion veduta, definire l’abusivismo casertano come «una vera catastrofe, troppo spesso favorita dalle amministrazioni comunali, che non vedono certi fenomeni o fingono di non vederli».
A maggior ragione se, come afferma Ceglie, «ben 30 mila istanze presentate in tutta la provincia per beneficiare degli ultimi tre condoni edilizi non sono ancora state valutate dagli Utc, in assenza della quale valutazione non possiamo ancora sapere quante di queste costruzioni sono, in effetti, non a norma»; di conseguenza, le stime riguardanti il numero di manufatti illeciti «andrebbero probabilmente riviste al rialzo del cinquanta per cento». Fanno almeno 30 mila costruzioni: un mare di cemento abusivo.
«Nessuno parla e intanto nei nostri territori è tutto un brulicare di asfalto e cemento, gestito dalle solite, note, imprese in odore di camorra». Così Amato Lamberti, l’ex verde, già presidente della Provincia di Napoli, sentenzia sulla situazione degli abusi edilizi della nostra regione.
Non è un caso allora che sia complicato trovare dati aggiornati sulla questione. L’unico studio in nostro possesso è stato redatto da Legambiente ma è fermo al 2000, cioè agli ultimi due condoni.
Emblematico è il caso di Ischia, che Legambiente definisce «l’isola leader della cementificazione selvaggia». Il Procuratore aggiunto della Repubblica di Napoli, Aldo De Chiara, ha manifestato l’intenzione di procedere con 500 abbattimenti, ma il vescovo del luogo ha chiesto di evitare «il legalismo esasperato, in attesa del Piano Casa»... continua

LA BRUTTA STAGIONE DEL SOTTOSEGRETARIO

Guai su guai per Nicola Cosentino. All’inchiesta della magistratura si aggiungono i controlli della Finanza sull’azienda di famiglia


di Marilena Natale


Le due vicende sono separate, ma stanno dando del filo da torcere al sottosegretario all’Economia del Governo Berlusconi, Nicola Cosentino (nella foto). Sia la richiesta di arresto firmata dal Gip, Raffaele Piccirillo, sia la recente verifica fiscale della Guardia di finanza eseguita nella sede dell’Aversana Petroli, azienda della famiglia Cosentino, hanno alzato un grosso polverone. Dal 1975, anno di nascita della società di Casal di Principe leader in Campania nella compravendita di carburanti, mai erano stati passati al setaccio i conti dell’impresa, nonostante avesse un fatturato molto alto. Evidentemente, in conseguenza dell’inchiesta che ha coinvolto il sottosegretario, si sono accesi i riflettori anche sull’Aversana Petroli, la stessa azienda verso cui erano diretti i vagoni ferroviari che hanno provocato il disastro di Viareggio il 29 giugno scorso.
Ad inserire l’impresa della famiglia Cosentino nel programma di verifiche 2009, approvato dai vertici provinciali e regionali della Guardia di finanza, è stato il comandante del Nucleo tributario, il tenente colonnello Michele Iadarola. L’ufficiale, accompagnato da otto uomini, si è recato personalmente a Casal di Principe per avviare l’operazione di controllo. I finanzieri sono rimasti all’interno dell’azienda dei Cosentino diverse settimane, per leggere e analizzare tutte le carte legate all’attività dell’Aversana Petroli. La società ha sempre dichiarato fatturati elevatissimi. Già nel 2002, l’autorità garante della concorrenza, con un dispositivo di non luogo a procedere per un contenzioso con l’Agip, a proposito di un distributore di benzina di Qualiano, aveva accertato che la società dei Cosentino fatturava 32 milioni di euro (fatturato dell’anno 2000, ndr). A distanza di dieci anni, sembrerebbe (non ci sono atti scritti, ndr) che, addirittura, gli introiti siano saliti a 80 milioni di euro. La cifra viene giustificata dall’ampliamento degli orizzonti imprenditoriali della famiglia Cosentino. Il gruppo si è man mano ingrandito e ora può contare sull’Aversana gas, l’Aversana Petroli, l’Ip Service (pompe di benzina), l’Immobiliare 6C e l’Agripont. Nicola Cosentino, allo stato attuale, non ha alcun ruolo all’interno di queste aziende. La gestione è nelle mani dei fratelli Mario, Giovanni e Antonio.
In particolare, l’anima imprenditrice della famiglia è rappresentata da Giovanni Cosentino che è stato anche colui che ha avuto il compito di fare, se così si può dire, da cerimoniere per la Guardia di finanza durante l’ispezione. Giovanni è proprietario sia del palazzo del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, avuto in fitto negli anni dell’amministrazione di centrosinistra, guidata dall’attuale segretario del Partito democratico Enzo Iodice, sia della sede del liceo scientifico di Aversa "Giancarlo Siani". Per far capire l’anima imprenditrice di Giovanni è utile ricordare proprio un episodio relativo a questo contratto di fitto. Il contratto è stato stipulato sotto la gestione di Riccardo Ventre, esponente di Forza Italia come il fratello Nicola, ma è stato rimpolpato sotto la gestione di Sandro De Franciscis, leader del centrosinistra, passando da circa 600 mila euro all’anno, a poco meno di 900 mila... continua

«IL CENTROSINISTRA EMARGINI I SUOI EMARGINI I SUOI

Antonio Di Pietro non fa sconti agli "amici": l’alleanza col Pd passa attraverso l’esclusione delle
candidature di chi è sotto processo. Soprattuto in Campania


di Mario Tudisco


«Nicola Cosentino è davvero – o almeno di questo lui è pienamente convinto – il Silvio Berlusconi della Campania. Nel senso che, seguendo alla lettera l’insegnamento dell’uomo di Arcore, vuole utilizzare la politica per annacquare la sua posizione giudiziaria, che è gravissima, da ogni punto di vista la si voglia inquadrare. E devo dire che fa bene quella sparuta parte del centrodestra che non lo vuole governatore a opporsi a una nomination che, giusto per usare un eufemismo, è scandalosa ed espone l’Italia tutta alle critiche dei paesi europei civilizzati».
Non fa sconti a nessuno l’ex Pm di "Mani Pulite" Antonio Di Pietro (nella foto), che sulla questione dei presunti rapporti intercorsi tra l’attuale sottosegretario alle Finanze e i clan Casalesi non ammette distinguo di alcun genere. Per Di Pietro, dunque, il caso Cosentino è solo un caso giudiziario inquietante e non deve, nella maniera più assoluta, trasformarsi nell’ennesima querelle tra politici e magistrati. Magistrati a cui, da buon ex collega, esprime la massima solidarietà.
Onorevole Di Pietro, quasi l’intero Popolo della libertà e, naturalmente, l’interessato parlano di una campagna giudiziaria ai danni di un candidato forte e vincente. L’obiezione è che le indagini sull’onorevole Cosentino risalgono a tantissimi anni fa e solo ora la magistratura le ha tirate fuori dal cassetto…
Guardi, ciò che dicono questi signori è falso. È vero che le indagini, scaturite a seguito delle dichiarazioni di alcuni pentiti, risalgono agli anni Novanta. Ma è pur vero che, secondo gli inquirenti, i rapporti tra Cosentino e i camorristi non si sono mai interrotti. E in questo fa fede il capo d’imputazione laddove, se non erro a pagina cinque, è detto che tali rapporti esistono tuttora. Ma a parte ciò, il nostro sistema giudiziario non prevede una prescrizione ab origine per reati di questo genere. Le faccio un esempio: le accuse contro Totò Riina risalgono alla notte dei tempi. Ma non per questo non si è proceduto all’arresto del capo della mafia siciliana. Che doveva fare, secondo Cosentino, il Gip Raffaele Piccirillo? Archiviare il tutto solo perché le vicende risalgono a quindici anni fa? Ma stiamo scherzando?
Qual è l’orientamento dell’Italia dei valori per le elezioni regionali campane e per le candidature alla presidenza della provincia di Caserta?
Per Caserta ci stiamo attrezzando a correre da soli se il centrosinistra continuerà a "cosentineggiare", nel senso che non mi sembra affatto che in questa zona così delicata del Paese ci sia la volontà di candidare uomini di spessore e in netta discontinuità con il passato. Analogo ragionamento lo posso fare anche per la Regione. Ai nostri possibili alleati lo abbiamo detto chiaro e tondo: o si cambia registro e si individuano programmi e personaggi all’altezza della situazione e che non siano uomini di Antonio Bassolino (nella foto), oppure ognuno andrà per la propria strada. Guardi che per l’Idv non è mica un problema correre da soli. Anzi, se vogliamo ragionare in termini egoistici, ci converrebbe pure, in quanto intercetteremmo elettoralmente gran parte del diffuso dissenso che esiste in Campania, sia nei confronti dei "berluschini" sia nei confronti del centrosinistra. Mi voglio però augurare che l’ex Ulivo rinsavisca: terremo le porte aperte fino all’ultimo... continua

giovedì 5 novembre 2009

PER LA PACE… E PER IL PANE

Sono soprattutto meridionali i soldati che partono per i fronti più rischiosi. La minaccia di una
pallottola in cambio di uno stipendio triplicato. Ma c’è chi giura che nessuno va lì solo per soldi


di Raffaele de Chiara e Pietro Sgambati


Il recente attentato verificatosi a Kabul, che ha visto sei membri dell’esercito italiano finire avvolti da un sudario tricolore in un triste lunedì di metà settembre, ha sollevato un’interessante questione: chi sono realmente i militari che ci rappresentano sul nostro suolo e all’estero?
In una puntata della trasmissione Ballarò, condotta da Giovanni Floris e andata in onda il mese scorso su Rai Tre, numerosi cittadini intervistati per le strade hanno dichiarato: «L’esercito è costituito quasi interamente da meridionali che, privi di sbocchi lavorativi, non possono far altro che cercare fortuna arruolandosi». Chi si aspettava anche solo un "grazie" agli italici militari caduti sul campo è rimasto inevitabilmente deluso.
Gli intervistati hanno puntato l’attenzione sul fatto che i soldati in missione all’estero sono ben pagati e conoscono i rischi che corrono. Messa in questo modo sembra quasi che lo Stato italiano faccia affidamento per le proprie operazioni militari solo su di un manipolo di mercenari raccattati là, dove non c’è più speranza per il proprio futuro. Ma è veramente così? «È la mancanza di opportunità di pari livello che spinge i giovani del sud verso la carriera militare». A sottolinearlo con forza è l’aviere dell’aeronautica C.D., voce sottile ma decisa, il quale spiega: «Se puoi guadagnare 1.300 euro con la licenza media è ovvio che ti arruoli e non scegli di fare il muratore».
Altro poi il discorso relativo alle missioni di pace all’estero, ben remunerate ma non abbastanza da rischiare la vita.
La paga per il militare risulta aumentata fino a tre volte lo stipendio. «Generalmente all’inizio – come tiene a precisare l’aviere – si viene spediti in Kosovo dove realmente si può parlare di operazioni di pace. Lì la guerra è finita da anni e i militari possono davvero occuparsi di operazioni umanitarie. Soltanto dopo diverse esperienze si affrontano missioni più rischiose». Cosa si intende poi per rischio è sempre lui a dirlo. «Se vai in Afghanistan è chiaro che metti nel conto anche di non tornare più».
Sguardo bonario, fisico imponente e modi gentili: «Prima facevo l’elettricista, poi sono partito per la leva e ho deciso di arruolarmi». Esordisce così il caporal maggiore dell’esercito, R.R., 30 anni, con alle spalle già tre missioni, in Iraq, in Kosovo e in Libano...continua

«COSENTINO? CANDIDATURA INOPPORTUNA»

L’uomo forte di Gianfranco Fini in Campania detta l’agenda del Pdl sulle elezioni regionali e provinciali di Caserta. Tappeto rosso all’Udc di Zinzi


di Alessandro Pecoraro


Italo Bocchino (nella foto) è tra i fedelissimi del presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini. Uomo politico di spicco del Pdl nazionale, campano d’origine, ha un ruolo primario nella scelta delle candidature nella regione Campania. "Fresco di Stampa" lo ha intervistato per saperne qualcosa in più rispetto alle due importanti tornate elettorali: regionali e provinciali di Terra di Lavoro.
Onorevole Bocchino, a sette mesi dalla nascita ufficiale, già sembrano essersi sviluppate delle fratture all’interno del Pdl. Mettendo da parte il "collante Berlusconi", non crede che il Popolo della libertà, così come il Pd, si troverà a fare i conti con le divergenze interne tra le varie correnti?
Il Pdl ha pochi mesi di vita ed è un grande partito, rappresentativo di circa il 40% degli italiani. In una realtà così grande e ancora in fase di costruzione può anche accadere che ci sia bisogno di discutere.
La situazione del Pd non è paragonabile con quella del Pdl: noi abbiamo valori comuni e condivisi. Nel Pd, invece, è una lotta quotidiana di tutti contro tutti, con continue minacce di scissioni e di abbandoni.
Nel 2005 è stato sconfitto alle elezioni regionali da Antonio Bassolino. Da allora molte cose sono cambiate. Qual è il suo bilancio delle politiche bassoliniane di questi ultimi anni?
Il bilancio del "bassolinismo" è stato fatto da Walter Veltroni, quando pochi mesi fa ha chiesto al governatore di fare un passo indietro. Oppure da Dario Franceschini, che vede in Bassolino l’emblema di un vecchio modo di fare politica al Sud, che va superato. Certo, potevano dirlo prima…
Parliamo delle prossime elezioni regionali: Casentino, pur ambendo alla candidatura, deve fare i conti con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che lo hanno accusato di avere rapporti con i clan dei Casalesi. Fini è contrario a una sua candidatura e pensa a Caldoro.
Sia Nicola Cosentino, che fa il sottosegretario di Stato, sia Stefano Caldoro, già ministro della Repubblica, hanno le capacità e l’esperienza per guidare una regione difficile come la Campania. Il coordinatore regionale del partito è l’interlocutore naturale di chi rappresenta il Pdl nelle istituzioni locali. Funziona così in ogni partito organizzato sul territorio. Sono d’accordo con Gianfranco Fini quando dice che si è innocenti fino a prova contraria e che al momento non è opportuna una candidatura di Nicola. Prima di tutto, bisogna lavorare su un progetto di governo chiaro e forte da presentare ai cittadini. E poi serve una squadra di altissimo livello.
È favorevole ad un accordo con l’Udc di Ciriaco De Mita per le elezioni regionali in Campania?
Non solo sono favorevole, ma addirittura lo auspico. Con l’Udc abbiamo condiviso l’esperienza della lunga opposizione al "bassolinismo". E in Europa abitiamo sotto lo stesso tetto, il Ppe.
Ovviamente l’accordo non deve essere sulle poltrone, ma sull’idea di Campania che vogliamo presentare agli elettori per governare questa regione che proviene da un decennio di cattiva amministrazione.
A proposito di Bassolino, l’attuale governatore, al fine di ridurre la spesa sanitaria regionale, ha optato per l’accorpamento delle Asl. Lei è d’accordo?
Esistevano sicuramente altre possibilità di azione, ma per anni la sanità in Campania è stata gestita come un centro erogatore di clientele e non di servizi. Con il risultato che la Campania ha il record di emigrazione sanitaria e il secondo deficit d’Italia, dopo il Lazio. Accorpare le Asl non basta. Bisogna prima di tutto mandare a casa chi ci ha condotti sull’orlo del baratro...continua

I "BISOGNOSI" DI MASTELLA

655 raccomandati tutti campani, infilati in enti controllati dalla politica come l’Arpac. L’Udeur nel mirino della magistratura


di Marilù Musto


La classe alta, la classe bassa e chi non ha classe. C’erano proprio tutti nell’elenco reperito, durante una perquisizione, nel file del computer sequestrato dalla Guardia di finanza nella segreteria dell’ex direttore generale dell’Arpac. 655 sono i nomi di «raccomandati veri e propri» – come li definisce il Gip di Napoli, Anna Laura Alfano – catalogati per titoli di studio, età del candidato e segnalazione del politico che sponsorizzava ciascuno di loro. Seicento e oltre. Dello stesso numero degli invitati alla festa di nozze del figlio dell’ex guardasigilli, Clemente Mastella (nella foto, con Nicola Ferraro). Una storia tutta campana, perché le segnalazioni non hanno colore né partito, ma spesso hanno confini territoriali.
«Ho aiutato dei bisognosi», ha spiegato l’ex ministro della Giustizia del Governo Prodi. Bisognosi o no, nell’elenco di raccomandati che aspettavano l’assunzione all’Arpac c’erano, probabilmente, quelli che chiedevano e, in alcuni casi, ottenevano l’assunzione nell’ente che si occupa di ambiente. A discapito di altri che titoli ne avevano ugualmente, ma non erano forniti di uno sponsor politico. C’è stato il caso, ad esempio, della decisione presa dalla commissione d’esame che doveva valutare i titoli accademici e di studio di due candidati alla direzione del periodico bimestrale «Arpacampania Ambiente». I commissari Luciano Capobianco, Pietro Funaro, Antonio Fantini, Giulio Sarno, Silvana Del Gaizo, Giovanni Ambrosino e Raffaele Barbato «nel procedere alla valutazione dei titoli – scrive il Gip – non motivarono le ragioni in base alle quali vennero attribuiti i punteggi e tantomeno motivarono la ragione per la quale a Pietro Funaro, che aveva solo una laurea triennale in "servizi sociali", venne attribuito il massimo punteggio sui titoli accademici (5), e al suo diretto concorrente, che aveva un diploma di laurea quadriennale in Scienze Politiche, il punteggio più basso (0)». Questo, almeno, è lo scenario delineato da un’inchiesta coordinata dal pubblico ministero della Procura di Napoli, Francesco Curcio. Tanti i numeri dell’indagine. Sessantatre gli iscritti nel registro degli indagati e una raffica di misure cautelari per una serie di accuse spiccate a vario titolo a politici dell’Udeur, che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata, abuso d’ufficio, turbata libertà, falso materiale e ideologico. Da un lato i politici, dall’altro i dirigenti e i dipendenti che chiedevano le raccomandazioni. Al centro: un vortice che collocava «persone dell’Udeur» nei punti strategici del potere pubblico casertano e campano. Tutto come dieci mesi fa, quando Sandra Lonardo, moglie di Mastella, presidente del consiglio regionale della Campania, era stata accusata di aver fatto pressione per la nomina di due primari all’ospedale di Caserta. Nero su bianco, lo avevano scritto i Pm, Alessandro Cimmino e Maurizio Giordano il 2 novembre 2007, quando avevano ascoltato il dirigente dell’ospedale Luigi Annunziata. «Il presidente Lonardo mi chiese di nominare il primario di ginecologia. Io dissi che non era possibile – aveva spiegato ai magistrati Annunziata – si trattava di tal Passaretti che mi fu prima indicato dal Ferraro. Il presidente si interessò. Il Ferraro fu più perentorio, proprio e anche per i suoi modi. So perfettamente che ogni giorno, ossia appena può, il presidente Lonardo chiede la mia rimozione all’assessore Montemarano (assessore regionale alla Sanità, esponente del Pd, ndr). Ricordo che mi chiese anche altro – aveva continuato a spiegare in Procura a Santa Maria Capua Vetere il dirigente – di nominare il primario in neurochirurgia indicatomi in Cantone. So questa circostanza perché la moglie del Cantone, tale Cingotti, mi disse che aveva parlato con la Lonardo andando a Ceppaloni per far raccomandare il marito. In seguito la Lonardo, prima delle elezioni comunali a Caserta, mi chiese come mai non avessi fatto niente per Cantone, io le dissi che non avrei fatto nulla. Dopo questi dinieghi si verificò l’interpellanza parlamentare regionale». Pressioni su pressioni. Oltre al filone che solleva il sipario sul presunto scandalo dei «raccomandati», la Procura nella seconda indagine contesta a Mastella un tentativo di concussione in concorso con altri esponenti del suo partito – il segretario regionale Antonio Fantini, gli ex consiglieri regionali Nicola Ferraro e Fernando Errico e l’ex assessore regionale Andrea Abbamonte – per costringere il direttore sanitario dell’ospedale Santobono di Napoli a nominare primario Bruno Rolando (indagato anche lui) in seguito alla sua opposizione. Il direttore sanitario avrebbe ricevuto intimidazioni, come la presentazione di una interpellanza nei suoi confronti...continua

giovedì 1 ottobre 2009

LAVORO, LE CANNONATE DELLA CRISI

Dal Molino Chirico di Teverola, svenduto per ripianare debiti societari, alla Montefibre di Acerra e all’Alcatel di Battipaglia. Operai alle corde, proteste disperate


di Francesco Falco


È possibile, in tempi di recessione, che un’azienda solida chiuda, mandando sul lastrico 51 lavoratori? È possibile che decine di famiglie vengano abbandonate, in ostaggio del caso, senza alcuna luce sul futuro? È possibile. Questo ed altro, in Italia e dalle nostre parti. È la storia dei 51 lavoratori del pastificio Molino Chirico di Teverola (nelle foto). L’azienda in cui lavoravano ha cessato la produzione da quattordici mesi, loro vengono cassintegrati. Da maggio non percepiscono nemmeno più la cassa integrazione, che scadrà definitivamente a novembre di quest’anno.
Una storia diversa dalle altre. «Fino al 2007 – protestano – lavoravamo 7 giorni alla settimana, 24 ore su 24: riposavamo solo a Pasqua e Natale». I lavoratori raccontano una storia che con la crisi ha ben poco a che fare. «Il settore della pasta è uno dei pochi, se non l’unico, a non aver risentito della crisi», ci tiene a sottolineare Giovanni Macari, una moglie e un figlio, come la stragrande maggioranza degli ex impiegati. Cosa c’è che non va, allora? «L’azienda è stata scarnificata: c’è rimasto lo scheletro. Ha debiti per 17,5 milioni di euro, di cui 2,5 milioni costituiscono debiti provenienti da altre società. Le carte sono già in mano al curatore fallimentare e all’orizzonte zero compratori. Ci credo, farebbero prima a comprare tutto daccapo!».
Alcuni dei lavoratori spiegano l’anomalia come frutto di abili manovre finanziarie della proprietà, a danno della solidità del bilancio aziendale. «La produzione, se lo vuole sapere, è stata dirottata sugli stabilimenti D’Apuzzo e Liguori, a Gragnano, e qui hanno lasciato i debiti». Il gruppo Pam, attuale proprietario, rilevò nel 2001 questo antichissimo pastificio, sorto nel 1896, promettendo solidità aziendale e serietà. Quali prospettive, chiediamo, offrono adesso i proprietari? "Cercatevi il lavoro", questa è stata la loro risposta».
Una situazione incredibile per gli operai, molti dei quali hanno ereditato il posto di lavoro dai rispettivi padri. Negli occhi, la rabbia per una loro creatura, il loro posto di lavoro, ma anche la loro azienda. La sentono come una figlia, questa realtà produttiva trasformata in una specie di bad company, con le good company rappresentate dalle altre società del gruppo. Dannati e beffati, intanto, i lavoratori non ci stanno: in sciopero della fame hanno occupato l’azienda, salendo sul tetto e minacciando di lanciarsi da dieci metri. Non escludono, per far sentire la loro voce, forme più estreme di protesta. Hanno avuto incontri col governatore Antonio Bassolino, hanno ottenuto la solidarietà dei sindaci dell’Agro aversano: ora aspettano che si alzi una voce dal Governo, col sottosegretario Nicola Cosentino. «Vede lì dentro?», ci indica uno di loro...continua

UNA SVOLTA? C’È IL GRANDE FRATELLO!

Voglia di cambiare, rifiuto del lavoro, desiderio del successo facile. Le illusioni dei ragazzi che affollano i casting per entrare nella "casa"


di Carmen Granito


Mugnano, Villaricca, Marano, Giugliano, Aversa, Santa Maria Capua Vetere: quasi il 15% dei casting del Grande Fratello 10 si concentrano nella zona tra Napoli e Caserta. In Campania hanno partecipato in tutto circa 12.000 persone. Chi sono queste folle di aspiranti? Cosa cercano? Cosa sperano?
Simona è di Napoli, ha 26 anni, il naso rifatto in stile elfico e le labbra rosa shocking gonfiate alla Nina Moric. Fa provini da quando era piccola, incoraggiata dalla mamma che vorrebbe vederla in Tv. Le piace il mondo dello spettacolo, ma quando le chiedo cosa vorrebbe fare in particolare, cala un silenzio imbarazzante. Passo alla sua amica Valentina, 24 anni, di ritorno da Milano Marittima, iscritta a un fittizio terzo anno di Sociologia che non esiterebbe a lasciare se avesse successo al GF: «È inutile che diciamo sciocchezze, è ovvio: è una prospettiva più facile» mi risponde guardandomi da un paio di Ray Ban color seppia mentre soffia di lato il fumo della sigaretta. Fin qui tutto nella norma, ci pare. Aspiranti veline/vallette/showgirl che vogliono "lavorare con l’immagine". Troppo facile, però, queste le abbiamo notate subito.
Tutt’intorno, invece, l’ingresso del Duel Village di Caserta, sede di una sessione di casting, brulica di decine e decine di persone comuni, di quelle che non danno nell’occhio. Elena Chianese (26 anni, San Nicola la Strada) è ragioniere, ma lavora in un call-center con un contratto a progetto; ciononostante, ha un sorriso contagioso: «Sono qui ai provini per cercare di dare una svolta. Con qualche soldino in più vorrei aprire un locale tutto mio…». Anche Raffaele Mincione (23 anni, Macerata Campania) è un operatore call-center, nonostante abbia studiato come perito informatico: «Non mi è servito a trovare lavoro e ora sono qui per dare una svolta alla mia vita. Se riuscissi a entrare nella casa, aprirei un’attività in proprio (che oggi è la cosa più sicura) e potrei mettere su famiglia». Siete soddisfatti della vostra vita? «Non è che la nostra vita non vada – risponde Elena, che fa da portavoce – solo che è una vita normale, scivola nel banale».
Giovani precari, quindi, ma anche studenti universitari preoccupati per il futuro. Valentina (19 anni, Caserta) si è appena iscritta a Scienze dell’Educazione; le piacciono i bambini e ha sempre voluto fare la maestra, ma da quando ha seguito la prima edizione del GF sogna di partecipare. Se dovesse andar bene, lasceresti l’università? «Non avrei dubbi: la televisione è un mondo che offre molte più possibilità»...continua

«GLI ONESTI NON PERDANO LA SPERANZA»

È l’appello di Luigi De Magistris, il Pm delle inchieste Poseidone e Why not. Che da Strasburgo spulcia nei flussi di fondi diretti in Campania


di Marilù Musto


Sto per prendere parte ad una riunione, ma posso rispondere alle domande di una giornalista. Dimmi ciò che vuoi sapere». È Luigi De Magistris (nella foto) che parla, l’ex Pm delle inchieste Poseidone e Why not, ora parlamentare dell’Italia dei Valori a Strasburgo, eletto con circa mezzo milione di voti. Riccioli sempre in ordine – imbalsamati dal gel per capelli – e un aspetto serioso, ma aperto al confronto. È disponibile a rilasciare un’intervista, non perde il contatto con la realtà, nonostante da circa tre mesi a questa parte sia impegnato a Strasburgo come presidente della Commissione controllo bilancio dell’Unione Europea. Potrà verificare gli stanziamenti ai diversi Paesi europei e il loro reale utilizzo, colpire le frodi, informare i cittadini italiani attraverso la rete. Quello che non è riuscito a fare da magistrato, lo farà da parlamentare.
Sulle ragioni che l’hanno portato a scegliere la politica, la prima è quella di aver preso atto che non le era stato consentito più di fare il suo mestiere. Ora che è entrato in politica, c’è un pregiudizio nei suoi confronti da parte di esponenti di altri partiti?
Lo stato di salute dello Stato democratico non mi ha più consentito di fare il magistrato. La parte politica, quella più compromessa, ha commesso lo sbaglio di aver tolto allo Stato un servitore dell’antimafia e dell’anticorruzione. Se ne stanno accorgendo ora, con la mia elezione ottenuta grazie a mezzo milione di preferenze. Non nego che anche ora, chi va nella direzione della trasparenza viene ostacolato. E l’attività di ostacolo non è meno forte di quando ero in una condizione di assoluto isolamento. Ho, però, il sostegno della gente, cui mi sento vicino.
Della gente che soprattutto mi ha votato senza che io abbia affisso neppure un manifesto.
Quindi può ritenersi soddisfatto del risultato elettorale?
Assolutamente sì. Credo che in Italia esistano tante persone pulite, perbene, sostenitrici della legalità, ma che non sono ancora ben organizzate. Il mio partito e io vogliamo essere la voce di chi si ribella al potere illegale. Stiamo andando nella direzione scelta dagli elettori e sento più forte il fatto che questa gente desidera un cambiamento. Io sono convinto che una nuova fase sia già cominciata, le persone oneste non si devono scoraggiare, non bisogna rimanere chiusi, ma aprirsi alla partecipazione politica, anche se mi rendo conto che è difficile. La Campania, la Basilicata e tutte le regioni del Sud hanno ancora una speranza di giustizia.
Prima della sua elezione ha dichiarato di voler aprire un osservatorio per capire come viene gestito il finanziamento pubblico in Italia. Sarebbe interessante capire come viene gestito soprattutto in Campania. Lo ha fatto?
Io ho detto che avrei informato costantemente gli italiani, attraverso il mio blog, di tutto quello che accadeva al Parlamento europeo (nella foto, a lato). Avrei fornito continue informazioni sui finanziamenti pubblici. E posso dire che si sta agendo in questa direzione. Il fatto che io sia stato eletto come presidente della Commissione bilancio fa in modo che si impediscano alcuni illeciti e si vada a verificare quello che arriva come aiuto alle città meridionali, dove giungono ingenti risorse pubbliche destinate allo sviluppo e che spesso vanno a rimpinguare comitati d’affari e ad arricchire imprenditori collusi... continua

lunedì 7 settembre 2009

«SICUREZZA? NON È UNA COSA SERIA»

In un convegno a Caserta, il giornalista Marco Travaglio spara a zero sulla lotta alla criminalità da parte del Governo di centrodestra


di Mario Tudisco


Ma le ronde leghiste del Nord perché non le mandano a Casal di Principe a farsi le ossa? Se è proprio vero che questi sindaci sceriffi vogliono dare un contributo per rendere più sicuro il Paese allora meglio cominciare dal Sud, non trova?».
Tutto si può dire di Marco Travaglio (nella foto), tra i giornalisti più famosi d’Italia, tranne che non abbia il gusto della provocazione. E che, anzi, con un’abile miscela di pungolo e sarcasmo non riesca a mettere il dito nelle piaghe di una nazione sospesa tra scandali e veline. Senza dimenticarsi di un Mezzogiorno in ginocchio, compresa Terra di Lavoro, laddove la vera sicurezza per i cittadini non consiste solo nel doversi difendere dai gruppi sanguinari di fuoco, che sarebbero una sparuta minoranza se non disponessero di ganci con l’intera società. Lo intervistiamo a margine di un convegno tenuto nel Casertano.
La provincia di Caserta, come l’intera Campania e gran parte del Sud, è attanagliata dalla criminalità organizzata. Le chiedo: ma la questione meridionale è solo di natura criminale o si impone una chiave di lettura più squisitamente sociale e politica?
La questione criminale è uno degli aspetti deleteri del Mezzogiorno e, da quanto apprendo quasi quotidianamente, della provincia di Caserta. Ergo, le risposte che lo Stato dovrebbe dare, ma che non riesce o non vuole dare, sarebbero di ben altra natura. A cominciare dal lavoro. Quel lavoro vero, dignitoso e adeguatamente retribuito la cui assenza determina fenomeni delinquenziali di ogni tipo. E poi c’è tutto il capitolo a parte della politica che condenserei nel grido di dolore di Clemente Mastella, per inciso anche lui campano, che si lamenta di percepire solo 6.000 euro mensili nella sua qualità di eurodeputato. E queste sue paradossali affermazioni vengono recepite nel silenzio assordante dei partiti e della società civile. Certo è che la Campania è davvero un caso più unico che raro: mentre il ras di Ceppaloni viene eletto tra le fila del centrodestra, la moglie continua, imperterrita, a essere il presidente del consiglio regionale di centrosinistra, nell’acquiescenza di Antonio Bassolino e soci. Parliamo della stessa signora Sandra Lonardo che, nelle intercettazioni incriminate, continuava a chiedere se ci fosse un ginecologo dell’Udeur. In un primo momento pensai che dovesse partorire, solo dopo ho compreso a che poteva servire un ginecologo udeurrino…
Ciò non toglie che la questione meridionale, e più in generale della sicurezza, non debba fare i conti con la malavita organizzata…
Sicuramente. Però, prima di fare i conti con la camorra e con i corleonesi, lo Stato dovrebbe iniziare a fare i conti con se stesso se davvero volesse aiutare il Sud a riscattarsi. E i conti sono salatissimi. Ogni anno, infatti, si parte da handicap insormontabili. Pensi che il solo giro delle estorsioni, su scala nazionale, è valutabile in circa 60 miliardi di euro. Altri 80 deve sborsarli chi governa come interessi sui debiti statali pregressi; mentre l’evasione fiscale del sistema Italia è di circa 300 miliardi ogni 365 giorni. E con queste cifre pazzesche sul groppone come si fa a individuare risorse per i segmenti più arretrati del Paese? Non so cosa darei affinché anche la nostra nazione, il primo gennaio, al momento di stilare un programma di solidarietà civile, potesse partire da quota zero come avviene in tante altre realtà. E, invece, si parte da 440 miliardi di euro in meno.
Lei è sceso a Caserta per parlare di sicurezza. Nel Nord Italia, a quanto pare, l’incolumità delle persone è affidata alle ronde. Che ne pensa?
Che è una delle barzellette più simpatiche che siano state mai inventate. Ho visto con i miei occhi le famose ronde in azione nel Veneto, con intere pattuglie della Digos alle loro spalle, che le proteggevano da possibili malfattori. Una cosa risibile dunque. A comporre questi nuclei di volenterosi cittadini ho visto uomini pure di una certa età con pance in bella vista e con prostate sul punto di scoppiare. E per fortuna che, almeno finora, queste ronde non si sono imbattute in nessun criminale degno di nota, altrimenti poveri loro. Mi permette una provocazione?
Prego... continua

COLPEVOLI DI CLANDESTINITÀ

La norma, che colpisce gli immigrati irregolari, viola i principi di umanità e rischia di generare il caos in Terra di Lavoro, dove gli extracomunitari
reggono economie e relazioni sociali. L’ex vescovo di Caserta Raffaele
Nogaro: «Negati diritti fondamentali, come quello di riconoscere un figlio»


di Raffaele de Chiara


Oltre 2.500 immigrati irregolari nel solo periodo che va da gennaio a marzo 2009, cui fanno da contraltare gli oltre 11.000 soggiornanti senza documenti. Sono queste le cifre esorbitanti riguardanti l’immigrazione clandestina in Italia diramate dall’agenzia europea Frontex e che, se singolarmente considerate, non possono che produrre rabbia e odio verso tutto ciò che appare come "il diverso". La legge sulla Sicurezza (AS n. 733), meglio conosciuta come "pacchetto sicurezza", approvata definitivamente al Senato nello scorso mese di luglio, sembra andare proprio in questa direzione. Diversi e controversi i provvedimenti introdotti dal testo legislativo, tra i maggiori riguardanti gli immigrati, le ammende da 5.000 a 10.000 euro per chiunque faccia ingresso o soggiorni illegalmente nel territorio dello Stato, il prolungamento della detenzione massima nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione, ex Cpt) portata da 60 a 180 giorni e l’introduzione di una tassa per la richiesta del permesso di soggiorno.
«Le norme contenute nel "pacchetto sicurezza" hanno un impatto pericoloso sui diritti umani e producono maggiore insicurezza». A dichiararlo è Amnesty International, alla presentazione del rapporto annuale 2009 sulla situazione dei diritti umani nel mondo, che poi tiene a sottolineare: «La negazione del permesso di soggiorno non produce altro che l’allontanamento dell’immigrato da ogni tipo di istituzione e di ufficio pubblico. Ciò quindi – conclude la nota dell’associazione – non potrà che avere conseguenze anche sul diritto alla salute, sull’istruzione per i figli, sulla registrazione dei nuovi nati».
Diverso, d’altronde, il parere del ministro Roberto Maroni. «Il provvedimento conclude un lavoro iniziato un anno fa e che ha visto l’approvazione di diverse norme per il contrasto alla criminalità organizzata, all’immigrazione clandestina e per il miglioramento della sicurezza urbana». Decisamente più tranchant l’opinione del premier Silvio Berlusconi: «Il pacchetto sicurezza è solo una garanzia per i cittadini, non c’è alcuna critica che tenga al riguardo».
Ma qual è l’impatto del provvedimento su un territorio da sempre abituato a convivere con l’immigrazione clandestina, qual è appunto Terra di Lavoro? «La legge che introduce il reato di clandestinità è assurda – afferma il consigliere regionale del Pd, Giuseppe Stellato – non può esistere un reato per una posizione squisitamente soggettiva. Se il clandestino delinque, mi sembra giusto intervenire, ma laddove lavora e lo fa duramente, con gli aggravi, inoltre, del vivere in una società nella quale non è del tutto integrato, allora non mi sembra plausibile parlare di punizione. Non può essere punito»... continua

QUEI TRENI ROTTAMATI E RIVENDUTI. DA CASERTA…

La strage ferroviaria di Viareggio conduce, per diverse strade, a inchieste delle Procure di Santa Maria e Napoli. Ecco le domande degli inquirenti


di Marilù Musto


Da Viareggio a Sessa Aurunca. Non è un viaggio della speranza, né un pellegrinaggio. È un’inchiesta aperta nel 2006 e che, dopo la strage del treno merci di Viareggio, è stata recuperata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere prima, e da quella di Napoli poi.
Il peso di quest’inchiesta è quello di ventotto morti e di un carico di Gpl esploso per un guasto dell’asse del treno che ha devastato Viareggio (nella foto) e i suoi abitanti. Una strage nemmeno tanto lontana dalle dinamiche di Terra di Lavoro. Innanzitutto perché il treno merci 50325, partito da Trecate, in provincia di Novara, era diretto a Gricignano di Aversa. E poi, perché in provincia di Caserta era nata la prima inchiesta legata ai treni rottamati. Tutto era partito nel maggio del 2006, proprio da Sessa Aurunca, quando erano stati ritrovati due carri delle Ferrovie dello Stato su un binario morto nelle campagne. Avevano la matricola del telaio abrasa, a mo’ di auto rubata. Dai registri dell’azienda risultavano rottamati. Durante l’inchiesta era stato ascoltato come testimone anche l’amministratore delegato di Fs Mauro Moretti, il quale, dopo la strage di Viareggio è stato il primo a riferire: «Il cedimento è avvenuto nel primo vagone dietro la locomotiva». Le indagini avviate a Viareggio, infatti, dopo l’esplosione si erano concentrate su una "sala montata" (il complesso composto dall’asse e dalle ruote) del carro. L’asse era risultato tranciato nella parte che sporge dalla ruota – detta "fusello" – poco prima della "boccola", che consente all’asse stesso e alle ruote di girare. La sezione di rottura aveva evidenziato una fenditura estesa, che aveva portato la sezione esistente a ridursi notevolmente fino al totale cedimento. Ma c’era, forse, una lesione preesistente. Il pezzo che collegava le due assi era già stato usato e rottamato? Quando la Guardia di Finanza nel 2006 aveva avviato l’inchiesta sui due carri trovati a Sessa Aurunca, Trenitalia aveva fatto partire un’indagine interna attraverso un audit – una valutazione tecnica manuale – in cui vennero ascoltati decine di tecnici. Più tardi venne accertato che intorno al ciclo spesso fittizio della rottamazione e della manutenzione, era cresciuto un mercato nero parallelo della componentistica, che utilizzava materiale rotabile di fatto non più in grado di circolare, ma che veniva reinserito nel circuito con regolare certificato. Dopo il ritrovamento dei due carri a Sessa Aurunca, Trenitalia aveva scoperto che ne mancavano all’appello almeno duemila. E pochi mesi dopo vennero ritrovati una decina di altri carrozzoni utilizzati per trasportare merci che risultavano regolarmente rottamati e, al contrario, erano in carico a società private che incrociavano nella zona di Bologna e Livorno. Si scoprì, dunque, che centinaia di "sale montate" rottamate venivano rivendute alle stesse Ferrovie. Altre venivano inserite nel commercio e vendute a società private proprietarie dei loro carri. Tutte, probabilmente, finivano sui treni che viaggiano sui binari italiani, da Nord a Sud. Non solo. L’audit di Trenitalia aveva accertato anche dell’altro. E nel calderone delle indagini era finita di nuovo la provincia di Caserta... continua

venerdì 31 luglio 2009

LE CATTEDRALI NEL DESERTO…

Sono i monumenti straordinari del casertano che i turisti non visitano più. Alla Reggia un calo del 26%, mentre l’Anfiteatro sammaritano incassa appena 15.000 euro. Meno di una tabaccheria dell’Appia


di Giovanni Ferretti


È come se non fosse più il centro di gravità permanente dell’industria turistica di Terra di Lavoro. Da un paio d’anni a questa parte, la Reggia di Caserta ha perso quella forza attrattiva che fino a poco tempo fa sembrava inesauribile. Qualcosa s’è inceppato.
Emergenza rifiuti e crisi internazionale a parte, i dati parlano chiaro. E il responso è inequivocabile, quasi cassazione. Nel 2008, secondo il dossier annuale del Touring Club, Palazzo Reale ha subito una delle più clamorose emorragie di visitatori registrate in trenta musei del Bel Paese: - 26,4% di biglietti staccati nel corso di un anno.
In termini assoluti, sono stati poco più di 430 mila i turisti che hanno varcato i cancelli d’ingresso del masterpiece di Luigi Vanvitelli. E pensare che nel 2005 gli ingressi conteggiati superavano la soglia del milione e centomila: performance che piazzavano l’ultima grande realizzazione del barocco italiano sul podio dei monumenti più visitati in Italia.
Dalla Soprintendenza dei Beni culturali che gestisce il Palazzo reale vanvitelliano, tuttavia, non arrivano segnali di eccessiva preoccupazione.
«Il dato – fanno sapere dall’ufficio stampa – risente non soltanto dell’andamento generale dei flussi turistici nel Paese, ma anche e soprattutto dei gravissimi danni d’immagine prodotti dall’emergenza rifiuti nei primi mesi dello scorso anno.Già alla fine del 2008 si erano cominciati ad avvertire segnali di ripresa». Segnali rafforzati poi a marzo e ad aprile del 2009, periodo nel corso del quale si è registrato un netto cambio di tendenza, con circa 130 mila ingressi in due mesi e un incremento del 45% rispetto all’anno precedente... continua

INCENERITORE,SUPERATI I LIMITI DI TOLLERANZA

È accaduto più di trenta volte dall’inizio dell’anno. Ora molti chiedono il commissariamento della struttura. Il Governo continua a prendere tempo


di Alessandro Pecoraro


Non c’è pace per la popolazione di Acerra. Secondo i dati dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale campana (Arpac), l’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti funziona male e inquina tanto. Era il 26 marzo del 2009 quando Silvio Berlusconi, insieme a Rosa Russo Jervolino, Antonio Bassolino e molti ministri, annunciò sornione la fine dell’emergenza rifiuti con l’inaugurazione dell’impianto di Acerra. Il Presidente del Consiglio lodò senza troppi indugi la nuova infrastruttura: «Il termovalorizzatore funziona benissimo, l’inquinamento è vicino allo zero – disse Berlusconi – si tratta di un prototipo molto utile che dovremo riedificare in tante altre regioni d’Italia». Ma oggi, dopo cinque mesi dall’inaugurazione, di quelle promesse è rimasto solo un vago ricordo. «Il termovalorizzatore non funziona neanche all’80% della sua potenzialità – ha recentemente dichiarato Francesco Capone, rappresentante dell’azienda incaricata di gestire il funzionamento della struttura – abbiamo dovuto spegnere più volte l’impianto a causa del livello di ossido di carbonio troppo elevato».
Il problema principale dell’inceneritore riguarda le eccessive emissioni di Pm10, più comunemente conosciute come polveri sottili. Secondo il decreto ministeriale numero 60/2002, i termovalorizzatori possono superare la soglia dei 50ug/m3 di Pm10 al massimo 35 volte in un anno. Il limite annuale, afferma l’Arpac, è stato superato in soli cinque mesi di attività, dati che hanno provocato un vero e proprio uragano politico.
Sono numerose le dichiarazioni contro la gestione dell’inceneritore, una su tutte quella di Tommaso Sodano, responsabile nazionale Ambiente per il Prc e consigliere della Provincia di Napoli, il quale ha chiesto al Governo e alla Procura della Repubblica di «fare luce il prima possibile su questa vicenda nel rispetto delle leggi del nostro Paese, della tutela della salute delle persone e del rispetto dell’ambiente»... continua

«INFILTRAZIONI, LA LEGGE VA CAMBIATA»

Secondo Lorenzo Diana (Pd) è necessario riuscire a colpire anche funzionari e burocrati collusi. Varato un provvedimento nel Pacchetto Sicurezza


di Alessandro Pecoraro


Dopo diciotto anni di vita, la normativa sullo scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose potrebbe essere modificata. La legge pur avendo dato un grave colpo al proliferare delle mafie, spesso è risultata insufficiente. Sono numerosi i casi di recidività nello scioglimento, così come numerosi sono i comuni sciolti molti mesi dopo la richiesta dei Prefetti. La normativa, infatti, prevede che a dare l’ultima parola sullo scioglimento di un comune sia il Consiglio dei Ministri sotto indicazione del ministro dell’Interno. Un potere che in alcuni casi provoca veri e propri contenziosi politici.
È il caso di Fondi, cittadina del basso Lazio, dove il prefetto Bruno Frattasi ha presentato al ministro Roberto Maroni una domanda di scioglimento che risale al 18 settembre 2008, ma l’appartenenza della giunta ad una coalizione centrodestra sembra frenare la decisione del ministro che, ancora oggi, non ha deciso se approvare o meno il provvedimento.
Tuttavia, il problema principale del funzionamento della legge è causato dall’impossibilità di colpire l’apparato burocratico su cui si regge il sistema clientelare del potere. Come afferma l’onorevole Lorenzo Diana: «La legge sullo scioglimento dei consigli comunali per condizionamenti mafiosi ha portato ad importanti risultati, consentendo di sottrarre alle influenze dei clan quasi 200 consigli comunali, ritenuti condizionati. Ma essa ha mostrato anche diversi limiti ed incongruenze. C’è un allarmante processo di espansione delle infiltrazioni e dei condizionamenti camorristici nei comuni e nella pubblica amministrazione, al quale bisogna porre rimedio, oltre che in sede politica, anche con norme più efficaci».
In effetti, secondo le indagini della magistratura, a condizionare il corretto funzionamento delle istituzioni è proprio il sistema amministrativo, spesso "inquinato" in modo diretto: la legge attuale, invece, colpisce soltanto la dirigenza politica dell’ente, senza intervenire sugli apparati burocratici e tecnici. «È giunto il momento di modificare la legge – dichiara Diana – rendendola più efficace nel contrastare i condizionamenti mafiosi. Da molti anni giacciono al Parlamento più disegni di legge per modificarla ed integrarla»... continua

giovedì 2 luglio 2009

INTERCETTAZIONI, UNA LEGGE SBAGLIATA

Le limitazioni alle indagini saranno notevoli, colpendo indirettamente anche l’attività antimafia. Così la nuova normativa imbriglia la giustizia


di Raffaele Cantone*


Nei giorni scorsi il Governo ha presentato un maxi emendamento ad un disegno di legge, pure di origine governativa, da tempo in aula, sulle intercettazioni telefoniche; vi ha posto la fiducia e ne ha ottenuto la rapida approvazione, troncando un dibattito, anche molto proficuo, che su di esso era in corso. Il testo così come approvato è passato al Senato ed è più che probabile un altrettanto rapido iter in quel ramo del Parlamento, forse con una nuova fiducia, e quindi la sua definitiva approvazione, presumibilmente entro l’estate.
L’obiettivo manifestato pubblicamente ed indicato nelle relazioni di accompagnamento alla proposta legislativa era, soprattutto, quello di una riforma del sistema delle intercettazioni che tutelasse maggiormente la privacy dei cittadini. Il testo licenziato certamente raggiungerà lo scopo prefissosi, ma il prezzo da pagare, in termini di contraccolpi alle attività di indagini, sarà davvero molto alto. Cerchiamo di capire perché, con un breve esame della normativa che si muove su più direttrici.
Una prima, riguarda specificamente le intercettazioni; nei processi di criminalità comune esse saranno possibili solo in presenza di «evidenti indizi di colpevolezza» (ci sarà quindi bisogno già di un soggetto probabile colpevole!); dovranno essere autorizzate dal tribunale collegiale con sede nel capoluogo del distretto (per cui, restando al nostro distretto, i Pm di Santa Maria Capua Vetere, di Nola, di Torre Annunziata, di Avellino, di Benevento dovranno fare capo a Napoli!); diverranno quasi non effettuabili nei procedimenti contro ignoti, per i quali è richiesta anche l’autorizzazione delle vittime di reati; saranno possibili quelle ambientali solo nei luoghi in cui si ritiene possa essere in corso l’attività criminosa; gli stessi presupposti per le intercettazioni saranno necessari per acquisire sia immagini e foto, sia i tabulati del traffico telefonico; le attività di ascolto potranno durare trenta giorni, prorogabili fino al massimo di sessanta; i risultati delle intercettazioni non potranno essere utilizzati per delitti diversi da quelli per i quali c’era stata l’autorizzazione, salvo che non si tratti di reati di mafia.
Le conseguenze di tale riforma sono presto dette: si ridurranno le possibilità di effettuare le intercettazioni; risulterà molto più complesso e burocratico il procedimento di autorizzazione (in un momento in cui si parla di snellire le procedure!); sarà molto più complicata l’utilizzazione delle poche che si riusciranno a fare; aumenteranno ulteriormente i procedimenti contro ignoti, consolidando la posizione di vertice in Europa del nostro Paese, per numero di indagini che si concluderanno senza l’individuazione dei responsabili.
Nei processi di criminalità organizzata e terrorismo, almeno in astratto, resta quasi tutto come oggi; basteranno i sufficienti indizi di reato; saranno più ampi i margini per effettuare le intercettazioni ambientali, non sono previsti limiti di durata. Ed allora le indagini antimafia possono dormire sonni tranquilli? Purtroppo non c’è da stare tranquilli nemmeno in tale ambito; vi saranno, infatti, indirette, ma certe, ricadute negative della normativa anche sull’efficienza e l’efficacia delle indagini, anche su queste forme di più grave criminalità.
In primo luogo, è noto che nelle nostre realtà territoriali la divisione fra criminalità comune ed organizzata è molto labile; gran parte delle intercettazioni che vengono effettuate con l’obiettivo di scoprire reati comuni (rapine, omicidi, furti, i cosiddetti cavalli di ritorno, contraffazioni di marchi etc.) consentono quasi sempre di individuare nuovi filoni di delitti di criminalità organizzata; riducendosi le intercettazioni ordinarie si avvizzirà una fonte fondamentale di individuazione dei reati mafiosi.
E poi, nelle disposizioni più strettamente processuali, si rinvengono ulteriori strettoie; l’aver affidato, ad esempio, l’intercettazione al tribunale collegiale allungherà di molto i tempi per ottenere le autorizzazioni come sa chiunque si sia occupato di indagini; o l’aver reso necessario trasmettere al tribunale «il fascicolo contente tutti gli atti di indagine fino a quel momento compiuti», imporrà di trasferire da un ufficio all’altro un enorme quantitativo di atti, con probabili conseguenze negative anche in tema di segretezza dell’attività investigativa... continua

* Magistrato


UNA STAGIONE ALL’INFERNO

La crisi globale che morde più forte in Terra di Lavoro. 400 mila ore di cassa integrazione e imprese che rifiutano persino gli ammortizzatori sociali. La provincia di Caserta, in ginocchio, non ha forse più nulla da offrire?


di Raffaele de Chiara


Figure sbilenche ed impacciate che procedono come automi verso un futuro che non c’è, come loro unica difesa contro la fame voyeuristica del mondo, le mani ingombre di scatoloni di cartone. Era il quindici settembre del 2008 e quella fu l’immagine simbolo del "Chapter 11", la procedura di "fallimento pilotato" prevista dalla legge americana invocata dalla Lehman Brothers, società statunitense attiva nei servizi finanziari a livello globale. Uomini e donne, inarrivabili manager di successo sino a ventiquattro ore prima, si ritrovarono licenziati da un giorno all’altro, accomunati dalla medesima nemesi: vittime di uno tsunami economico e finanziario destinato di lì a breve ad invadere l’intera società globalizzata.
Sono trascorsi dieci mesi da allora e quella tempesta, che a taluni sembrò lontanissima e ben circoscritta agli eccessi dell’economia americana, continua ancora a ripercuotersi sulle economie locali. «I danni prodotti dalla crisi sono enormi: quest’anno l’attività economica mondiale diminuirà dell’1,3%, la contrazione più forte dalla Seconda Guerra Mondiale». A lanciare il grido d’allarme, durante la tradizionale assemblea di Confindustria, è stata la presidente Emma Marcegaglia, la quale poi ha tenuto anche a sottolineare come: «In alcuni grandi Paesi industrializzati il calo del Pil potrebbe, addirittura, raggiungere il 6%».
Dati senz’altro allarmanti, specie se raffrontati con quelli che ci riguardano maggiormente da vicino. Secondo un’indagine di Confindustria Caserta, elaborata sulla scorta di un campione rappresentativo di 200 aziende, la capacità produttiva delle imprese locali starebbe subendo una diminuzione dal 15 al 37%. Emblematico del forte momento di crisi subito dalle aziende della provincia di Terra di Lavoro è senz’altro il caso della "Morteo Containers" di Sessa Aurunca, che ha deciso addirittura di rinunciare agli ammortizzatori sociali in quanto, secondo i vertici dell’azienda, sarebbe impossibile garantire la prosecuzione dell’attività, «pena l’incorrere in più gravi e traumatiche conseguenze sotto il profilo finanziario». Ecco quindi la procedura di mobilità per 88 operai su di un totale di 98. Dura ovviamente la reazione dal mondo dei sindacati e della politica. «Malgrado le iniziative messe in atto dalle istituzioni, prima dal ministero dello Sviluppo poi dalla stessa Confindustria – ha affermato Angelo Spena, della Fiom – ci troviamo per la prima volta dinanzi al caso di un imprenditore che licenzia anche in presenza di una certa copertura finanziaria offerta dalla cassa integrazione». Ugualmente aspro il commento del primo cittadino di Sessa Aurunca, Luciano Di Meo. «Sono amareggiato per quanto è successo, sono soprattutto deluso per aver trovato un interlocutore che non ha corrisposto alla fiducia che il territorio gli aveva dato».
Come se non bastasse, ecco arrivare la rescissione del contratto di appalto tra la Sun (Seconda Università di Napoli) e la "Immobilgi Federici Stirling", che recherà con sé un taglio di circa 200 posti di lavoro. Discorso simile anche per le imprese della "Mirabella Spa" e della "Editellana", le quali hanno già attivato ammortizzatori sociali per un totale di 400 edili. Non va certamente meglio nel settore industriale, con oltre 270 mila ore di cassa integrazione già predisposte. Ma per rendere meglio l’idea dell’entità della crisi sarà bene procedere a un raffronto: al 31 dicembre del 2007 in tutta Terra di Lavoro si contavano oltre 300 mila ore di Cigo (Cassa integrazione guadagni ordinaria), di cui 90 mila nell’industria e circa 240 mila nell’edilizia. Attualmente il totale ammonta a circa 400 mila ore... continua

QUELLA SENTENZA CHE CAMBIÒ TUTTO

All’indomani del verdetto d’appello, intervistiamo Raffaello Magi, il giudice che firmò la deliberazione di primo grado del processo Spartacus


di Marilù Musto


La sentenza è lì, sullo scaffale della libreria del suo ufficio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Accanto, poco distante, una cartolina di Edgar Degas con la ballerina che indossa le scarpette da danza. Da un lato il lavoro, duro ed estenuante; dall’altro i colori, l’arte e l’attrazione per tutto ciò che è bello, variopinto, raffinato. È tutto ciò Raffaello Magi, il giudice estensore della sentenza Spartacus I, in primo grado. Le due immagini, dei faldoni e della ballerina, racchiudono il suo mondo. Cominciamo ad intervistarlo facendogli una domanda chiara, secca, lapidaria.
Cos’è stato Spartacus I?
Il processo Spartacus ha segnato l’inizio di una nuova fase di ricostruzione delle vicende criminali, che hanno interessato la provincia di Caserta e, per certi versi, l’intera regione Campania. L’ultimo accertamento importante sull’associazione camorristica di Bardellino risaliva al 1986 e vi era la necessità di riempire un vuoto di tipo storico sulla stessa nascita della organizzazione nota come "clan dei Casalesi". Dopo questa sentenza nessuno potrà mettere in dubbio l’esistenza e l’ascesa di un nuovo gruppo, nato come gemmazione dal precedente, con a capo Francesco Schiavone "Sandokan" e Vincenzo De Falco. Possiamo dire che nella storia giudiziaria campana esiste un prima e un dopo Spartacus. Nel senso che già dopo la sentenza di primo grado è stato possibile in tanti altri processi affermare l’esistenza del clan e ricostruire omicidi, estorsioni e altre attività compiute negli anni successivi.
Dopo tre anni dalla deposizione delle motivazioni della sentenza di primo grado, scritta da lei, sono state depositate le motivazioni del secondo grado di giudizio che seguono la via tracciata dal suo verdetto. Sono state confermate le sedici condanne all’ergastolo per i capi dell’organizzazione. Cosa ne pensa?
Da un lato c’è una grande soddisfazione, dall’altro c’è attesa per la definizione del secondo troncone del processo principale, che riguarda essenzialmente l’attività di numerosi soggetti, anche di imprenditori collegati all’organizzazione, specie nel settore della realizzazione delle opere pubbliche e della fornitura del calcestruzzo. Purtroppo i tempi lunghi del giudizio di appello rischiano in questo caso di azzerare i risultati ottenuti in primo grado e aprire le porte alla prescrizione del reato.
In che modo Spartacus I ha segnato la sua vita professionale e privata?
Anche nella mia vita esiste un prima e un dopo Spartacus I. Nel senso che l’impegno professionale di quegli anni trascorsi nell’aula bunker è stato talmente grande da costringermi ad accantonare ogni altro progetto, mentre adesso, pur proseguendo nell’attività giudiziaria ordinaria, sento di avere la possibilità di dedicarmi anche ad aspetti organizzativi e collaterali al mio lavoro, che arricchiscono il lato umano e professionale.
Dopo la sentenza in Cassazione delle condanne inflitte ai mafiosi in Sicilia, c’è stato il periodo dell’offensiva della mafia allo Stato, segnata da attentati e dalle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ci si deve aspettare una vendetta simile anche dal clan dei Casalesi? E poi, Il collaboratore di giustizia Luigi Diana ha rivelato ai pm antimafia che il clan la seguiva e sapeva la strada che percorreva per tornare a casa. Le è stata assegnata la tutela. Ma in quel periodo ha avuto paura?
La realtà siciliana era in quegli anni ancor più delicata di quella casertana oggi, perché erano messi in gioco soggetti e fatti di grande rilievo politico e istituzionale, mentre sinora la potenza dei Casalesi sembra essere più di tipo economico e questo rende improbabile un nuovo ricorso al terrorismo stragista, che si è affacciato nella nostra realtà dopo la sentenza di appello. È chiaro però che per essere certi di questo bisognerà aspettare i momenti successivi al verdetto definito.
Per quanto riguarda la mia situazione e quella dei colleghi che con me hanno portato avanti il processo, posso dire che per certi versi chi affronta questo tipo di processi già sa di esporsi a dei rischi, quindi le notizie su possibili ritorsioni non mi hanno meravigliato più di tanto. So di aver trattato tutti i partecipanti al processo nello stesso modo e con il massimo equilibrio e penso che questo venga apprezzato anche dai destinatari delle sentenze. Ho dovuto modificare alcune abitudini e restringere i miei momenti di libertà. Ma già da un po’ credo che il livello di rischio si sia attenuato... continua

giovedì 4 giugno 2009

LA CAMORRA HA FATTO BINGO

La mano dei clan nelle sale scommesse, grazie a una rete imprenditoriale collusa. Gli esercenti onesti costretti a chiudere. Sequestri in tutta Italia


di Marilena Mincione


C’erano i "ragionieri" di zona, che rappresentavano "l’azienda" nei confronti dei clan egemoni sul territorio. C’era il commercialista, fidato collaboratore, con le sue competenze in materia giuridica ed economica. E poi, al vertice, c’era lui, il "Presidente". Tutti facevano parte dei 29 arrestati lo scorso aprile, in seguito alle indagini (un centinaio gli indagati) della Dda di Napoli, dello Scico e del Gico della Guardia di Finanza in un’operazione che ha portato al sequestro di 104 autoveicoli, 39 società commerciali, 23 ditte individuali, 100 immobili, 140 tra quote societarie e rapporti bancari, per un ammontare complessivo di oltre 140 milioni di euro.
Sequestrata anche la società "Betting 2000", e sale Bingo in tutta Italia, tra cui quelle di Lucca, Padova, Cologno Monzese e Teverola (la terza più grande del Paese). Gli investigatori hanno definito "il Presidente", Renato Grasso (latitante) come "poliedrico" nel suo tessere rapporti con le istituzioni, la politica, le forze dell’ordine e i Monopoli di Stato. Ma soprattutto con i clan – del Napoletano, del Casertano, ma anche della mafia pugliese, siciliana e calabrese – di cui era diventato «l’unico soggetto economico di riferimento». In una sorta di "prospettiva rovesciata", Grasso non subiva l’ingerenza della criminalità organizzata, ma la strumentalizzava per la propria crescita imprenditoriale.
Nei fatti, i clan assicuravano (e imponevano) la presenza delle sue macchinette per il gioco (spesso truccate) negli esercizi commerciali del "loro" territorio, ricavando dalla sua ingente disponibilità finanziaria stabili e consistenti guadagni. Così Grasso, relativamente giovane (45 anni) ma già condannato due volte, negli anni ’90, per collusioni con i clan di Portici e Fuorigrotta, attuava un "blocco economico" nei giochi e nelle scommesse in una sorta di "monopolio nazionale"... continua



BIOPOWER, POLITICA E IMPRESE COLLUSE?

La vicenda giudiziaria della centrale a biomasse di Pignataro porta sul banco degli imputati esponenti eccellenti delle istituzioni casertane

di Francesco Falco


Un’inchiesta complessa, che configura reati quali truffa ai danni della Regione Campania, falso, corruzione. Sotto accusa 23 persone, nei confronti delle quali, lo scorso 28 aprile, la Guardia di Finanza, su ordine della procura di Santa Maria Capua Vetere, ha eseguito altrettante ordinanze di custodia cautelare. È l’operazione "Biopower", riguardante l’ormai famosa (e discussa) centrale a biomasse, prevista sul territorio di Pignataro Maggiore. Una centrale pesantemente osteggiata dai comitati ambientalisti e dal consigliere comunale pignatarese, Raimondo Cuccaro. Un’indagine che fa tremare i palazzi della politica casertana: un avviso di garanzia recapitato all’assessore regionale Andrea Cozzolino (atto dovuto per la perquisizione dell’ufficio in Regione), perquisita la casa del sindaco di Pignataro, Giorgio Magliocca; arresti domiciliari per Francesco D’Alonzo, vicepresidente del consiglio comunale di Pignataro. Domiciliari anche per l’assessore provinciale Franco Capobianco (nella foto). I Pm sostengono quanto segue: «Gli imprenditori laziali Renzo Bracciali e Giampiero Tombolillo avevano costituito tre società e, interessati alla costruzione della suddetta centrale, si sarebbero avvalsi di una fitta rete di rapporti di favoritismo e di corruttela con funzionari e amministratori pubblici». Il tutto attraverso una rete di mediatori, di luogotenenti come Tommaso e Giovanni Verazzo, padre e figlio (il primo scarcerato dal riesame), e di funzionari del genio civile di Caserta. La politica, dal canto suo, avrebbe accondisceso alle richieste dell’imprenditoria, mettendosi a disposizione e traendone vantaggio illecito. Vantaggio concretatosi – secondo l’accusa – in tangenti mascherate, nel caso di D’Alonzo (attraverso sponsorizzazioni alla locale squadra di calcio); in assunzioni di persone richieste dall’assessore provinciale Capobianco, grazie alle quali il politico avrebbe «aumentato il proprio consenso elettorale». Il riesame, il 20 maggio, revoca i domiciliari a D’Alonzo. Per quanto riguarda Capobianco, lo stesso gip Paola Cervo (e non, dunque, il riesame) predispone, in data 8 maggio, l’annullamento degli arresti domiciliari. Il provvedimento viene motivato con una lettura, da parte del gip, «alternativa al compendio indiziario dell’ordinanza di custodia cautelare». La documentazione presentata dai legali di Capobianco, infatti, «consente di verificare, in particolare, che l’indagato era impegnato a sostenere lo sviluppo delle fonti di energia alternativa già prima di incontrare Tombolillo». Sarebbe venuto a mancare, dunque, lo scambio formalizzatosi nell’ottenimento di posti di lavoro in favore dell’intervento compiacente dell’assessore provinciale. Con tutte le cautele del caso, visto che il processo non è ancora iniziato... continua

LA TELEVISIONE E LA FORZA DELLE MAFIE

Ecco come i media possono mettere paura al crimine organizzato. Quando non rischiano, loro malgrado, di diventarne addirittura complici


di Loris Mazzetti*


L’informazione ha sempre svolto un ruolo importante nei confronti della criminalità organizzata: illuminare i fatti. Non c’è nulla che dia più fastidio di questo alle mafie.
Quel faro di luce puntato sui mafiosi, camorristi, boss della ’Ndrangheta o della Sacra corona unita e sulle loro attività, li condiziona, ha l’effetto del sole che colpisce il vampiro come nei mitici film con Christopher Lee, li distrugge, li rende polvere, li annulla. Anche loro, come il principe della notte, hanno bisogno delle tenebre, del silenzio per agire sulla vittima, per fare i loro affari. La parola ha una forza enorme, più di un colpo di lupara: si insinua, entra dentro il cervello (Roberto Saviano ne è l’esempio), fa pensare, fa capire, poi può essere diffusa e creare consenso.
Tanti sono i giornalisti che, inseguendo un ideale o la semplice voglia di fare il proprio mestiere, cioè di accendere il famoso faro, si sono giocati la vita, tra questi Peppino Impastato. Il suo omicidio è avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 maggio 1978, esattamente trentun’anni fa (venne fatto esplodere sulla linea ferroviaria Palermo-Trapani vicino a Cinisi). Peppino aveva fondato Radio Aut per denunciare e lottare contro don Tano Badalamenti, il capo mafia che da Cinisi dirigeva i suoi affari. Radio Aut cominciò a trasmettere e una voce libera entrò nelle case della gente. Durante la primavera del ’77 accadde un fatto che segnò la condanna a morte di Impastato. Attraverso la radio Peppino denunciò che, il giorno dopo l’approvazione del bilancio comunale (votarono a favore oltre alla Dc anche Pci, Msi, Psi, Pli e la sinistra indipendente), la commissione edilizia diede il suo parere favorevole alla costruzione di un palazzo di cinque piani presentato dal «famigerato Giuseppe Finazzo trascina quacina di Gaetano Badalamenti, viso pallido ed esperto in lupara e traffico d’eroina».
Lo scorso anno, per ricordare Peppino Impastato, un gruppo di giovani fece un corteo che andò da Terrasini, la sede di Radio Aut, fino alla casa di Badalamenti a Cinisi. Il corteo era aperto da uno striscione su cui era scritto: «La mafia uccide il silenzio pure»... continua

*Giornalista, regista e autore Rai

mercoledì 29 aprile 2009

LA DISCUSSA SANITÀ DI MONTEMARANO

L’ormai ex assessore campano al ramo si guadagna un posto in lista alle europee. E intanto lascia l’incarico con un buco di 260 milioni in bilancio

di Raffaele de Chiara

«L’ospedale Pellegrini fa schifo, chi lo nasconde? Ma stiamo facendo di tutto per cambiarlo. Chiedo solo pazienza». Correva l’anno 2000 e a dichiararlo, con malcelata enfasi, fu l’allora direttore generale dell’Asl Napoli 1, Angelo Montemarano (nella foto di Ferdinando Nicola Baldieri).
Un decennio dopo, lo sfascio della sanità è sotto gli occhi di tutti e, a rivedere la parabola discendente di quel giovane direttore che da semplice dirigente salì sino all’assessorato alla Sanità campana per poi sprofondare nuovamente in una chiassosa irrilevanza politica, vien quasi un moto di tristezza e rabbia. Ma chi è stato e soprattutto chi è Angelo Montemarano, ex assessore della giunta Bassolino e prossimo candidato alle elezioni europee?
Classe ‘51, una laurea in Medicina e Chirurgia conseguita a soli 24 anni ed un curriculum formativo e professionale di tutto rispetto. Si parte dalla specializzazione post-laurea in Igiene e Medicina Preventiva e dai master in Amministrazione e Economia Sanitaria, per approdare agli incarichi di direttore sanitario e di professore universitario. Un cursus honorum davvero impeccabile, se non fosse per qualche piccola grana giudiziaria: inchieste più o meno fondate che, sebbene all’apparenza non abbiano toccato più di tanto l’opinione pubblica, di fatto però stendono più di un’ombra sull’operato dell’ex assessore.
L’ultima inchiesta in ordine di tempo che coinvolge Montemarano è quella relativa ad alcuni lavori edilizi eseguiti nella sua villa liberty di Portici. In realtà, sembra si tratti di piccole irregolarità concernenti alcune Dia (Dichiarazione di inizio attività, ndr), nulla di particolarmente rilevante se non fosse per una curiosa coincidenza. A condurre le indagini, infatti, è lo stesso Pm, Angelo Novelli, che porta avanti anche un’altra inchiesta: quella relativa all’Ospedale del Mare nel quartiere Ponticelli; vicenda quest’ultima già da tempo alla ribalta delle cronache. Secondo le accuse lanciate dal consigliere regionale del Pdl, Enzo Pivellini, e su cui la magistratura indaga, la nomina a direttore dei lavori di Matteo Gregorini (con un compenso che sfiorerebbe i 4 milioni di euro) deriverebbe da un’indebita pressione di Montemarano sulla società Ati, vincitrice della gara d’appalto. Ma, come se non bastasse, ecco arrivare, dulcis in fundo, la prima vera bocciatura politica del suo operato... continua

«ELEZIONI, LA SOLITA PASSERELLA»

Sergio Tanzarella, voce critica della sinistra, è scettico su un’inversione di rotta della politica. E addita i guasti prodotti dai notabili di Provincia e Comuni

di Mario Tudisco

«Credo che la Comunità europea, di questo passo, non possa fare nulla di concreto per il sud Italia. Si vota nuovamente per Bruxelles e si rischia la solita passerella. Questa volta, sarebbe meglio ripartire dalla questione meridionale e da come si è ulteriormente complicata nel corso degli ultimi decenni. Le maggiori responsabilità di ciò che è accaduto ricadono, mi dispiace ammetterlo, sulle spalle di una classe dirigente di centrosinistra, che si è rivelata peggio della Democrazia cristiana della Prima Repubblica e non si è dimostrata diversa dalla corazzata berlusconiana del centrodestra».
Sergio Tanzarella (nella foto), ex deputato progressista di Caserta, della sinistra locale è l’anima critica indiscussa. Proprio a causa della sua schiettezza, senza peli sulla lingua, nonostante sia tra gli intellettuali cattolici più apprezzati in Italia e nel vecchio continente, è costretto all’esilio politico dai potentati dei partiti nati dopo l’era di Tangentopoli.
Professore Tanzarella, è mai possibile che neppure dall’Europa giungano segnali di ripresa per un Mezzogiorno che, forse, non ha ancora oltrepassato la soglia critica del non ritorno?
Guardi, temo proprio che, da sola, la Comunità europea possa incidere ben poco. L’unica speranza per le nostre terre passa attraverso un vero processo di liberazione, che può essere attivato solo da noi stessi. Un processo, questo, cui si deve abbinare una formazione adeguata nel campo scolastico, universitario, del lavoro e delle professioni. Ma anche questo elemento imprescindibile non sortirebbe effetti se non si avrà il coraggio di affrontare di petto la questione della legalità, che non può essere analizzata alla stregua delle attuali vestali dell’anticamorra e dell’antimafia.
Iniziamo, dunque, a precisare un concetto cardine: nel Meridione la criminalità non è esterna allo Stato ma è ben collocata al suo interno. Il vero problema dell’illegalità riguarda la gestione illecita del lavoro e in questo le camorre incidono solo marginalmente. Mi verrebbe da chiedere: davvero gli organismi preposti ignorano cosa sia il fenomeno del lavoro nero? Sono a conoscenza delle condizioni disumane cui sono costretti, in alcuni casi anche per dodici-quattordici ore al giorno, i dipendenti del settore commerciale e di quello della ristorazione? Nessuno di questi signori ha mai saputo di buste paghe legalmente elargite ma dimezzate all’atto pratico? E tutto ciò avviene non in scantinati al riparo da occhi indiscreti, ma alla luce del sole. Mi fanno sorridere le statistiche che indicano percentuali altissime di inoccupazione nel sud, con punte anche superiori al 60% in alcune realtà. Se così davvero fosse, dovremmo trovarci di fronte a uomini rantolanti e pronti ad uccidere per un tozzo di pane. In realtà, la differenza sociale tra le statistiche e il quadro lavorativo è dato da una mole impressionante di lavoro sommerso, che evita le guerre civili, ma che non potrà mai garantire un futuro dignitoso alle nuove generazioni.
Ma un’inversione di marcia della politica, come è possibile?
Resto scettico sulle possibilità di inaugurare una nuova stagione politica. D’altronde sarà difficilissimo che la sinistra, che mi sta molto a cuore, possa tornare a svolgere il ruolo di avanguardia reale della tutela dei diritti. A questa sua principale e nobile finalità, infatti, ha abdicato da troppo tempo. Chi è succeduto alla generazione di Enrico Berlinguer non si è minimamente occupato di battersi per coloro che, per sopravvivere, sono costretti a lavorare in miserevoli condizioni, né ha mai fatto una battaglia seria a salvaguardia del territorio deturpato. Anzi, per tornare sul piano locale, si è comportato nella maniera diametralmente opposta. La sinistra di governo ha sostenuto i cavaioli, che garantiscono “sbocchi occupazionali” e continua a sostenere la realizzazione di termovalorizzatori mortiferi come quello di Acerra... continua