martedì 9 marzo 2010

C’ERAVAMO TANTO ARMATI…

Le candidature alle elezioni regionali e provinciali arrivano dopo interminabili lotte intestine nei due schieramenti. Ecco perché la ritrovata unità potrebbe infrangersi ancora prima del voto


di Alessandro Pecoraro


Elezioni regionali e provinciali: molte polemiche e pochi fatti. A farne le spese i partiti maggiori che, nella scelta delle candidature, hanno dovuto fare i conti con le speranze, gli egoismi e, in certi casi, con l’arroganza dei propri quadri dirigenziali.
Si comincia dal Partito democratico, dove molti iscritti hanno deciso di abbandonare la nave in avaria, segnando la resa dei conti di un partito che stenta a decollare. Il giovane segretario regionale, Enzo Amendola, è in balia di correnti interne (ed esterne) che ne condizionano ogni mossa. Il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, ha già annunciato che, in caso di elezione, gestirà personalmente gli assessorati di Sanità, Bilancio e Fondi Europei: un importante segnale di sfiducia nei confronti degli uomini del suo stesso partito. A nulla sono serviti gli incontri di facciata con Antonio Bassolino, o l’abbraccio con Antonio di Pietro. De Luca è solo, solissimo e, probabilmente, a partire dal 30 marzo sarà ancora più solo. Le scelte e gli atteggiamenti del candidato hanno provocato una frattura insanabile nel partito; a Napoli e Caserta, infatti, Bassolino può contare ancora su numerose forze e c’è da giurare che non si arrenderà così facilmente alla sua deposizione.
Per quanto riguarda la provincia di Caserta la situazione è, se possibile, ancora più grave. Molti sostenitori del Pd si chiedono dove siano finite le qualità che hanno portato Enzo Iodice a diventare il segretario provinciale dei "democrats"; e pensare che proprio Iodice non esitava a definirsi un garante e perno d’equilibrio per la crescita del partito, caratteristiche che in realtà sono svanite con l’autosgretolamento della "sua" stessa creatura. Così Lorenzo Diana ha scelto di abbandonare il partito per approdare all’Idv, seguito a ruota da altri personaggi che hanno fatto la storia (brevissima) del Pd, come Nicodemo Petteruti e Piero Squeglia, finiti nell’Api di Francesco Rutelli. Ma quella del Pd non è l’unica telenovela: anche lo schieramento di centrodestra ha dovuto fare i conti con vecchie ruggini trasformate in fazioni contrapposte. La scelta di candidare Stefano Caldoro alla guida della Regione si è rivelata più problematica di quel che sembrava all’inizio. L’ex ministro, in effetti, come dichiarato dall’onorevole Italo Bocchino in una recente intervista rilasciata qualche tempo fa a "Fresco di Stampa", era un nome gradito all’area "finiana"...continua

VENT’ANNI DI “CACCIA AL NERO”

Dal barbaro omicidio di Jerry Masslo all’incendio del ghetto di Villa Literno, fino alla strage di San Gennaro. Terra di Lavoro, la Rosarno silenziosa


di Raffaele de Chiara


Ci sono storie che non si vorrebbero mai raccontare, episodi che si vorrebbe fossero soltanto brutti incubi da scacciare al risveglio, relegandoli nel fondo delle nostre coscienze. Si vorrebbe, ma non si può. Le province a cavallo di Napoli e Caserta da vent’anni vivono il fenomeno dell’immigrazione, specie quella africana, in maniera ambivalente. Da un lato, la considerazione del diverso come merce da usare e sfruttare. Dall’altro una pacifica tolleranza, fatta di indifferenza e cordialità. Correva l’anno 1989 e un giovane sudafricano, Jerry Masslo, ebbe a dichiarare: «Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, invece sono deluso. Avere la pelle nera è un limite alla convivenza civile. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro Paese ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato e solo allora ci si accorgerà che esistiamo». Quel ragazzo, di lì a qualche giorno, morirà nelle campagne di Villa Literno sotto i colpi di alcuni balordi del posto. Volevano rapinarlo di tutti i suoi risparmi e alla sua opposizione non esitarono a sparargli al ventre. Masslo aveva solo 29 anni e fuggiva dall’apartheid. In Italia credeva di trovare la libertà, ma ad attenderlo ci fu solo la schiavitù dei campi di pomodoro di Villa Literno. L’Italia intera, dopo la sua morte, si mobilitò; il sud in particolare da culla dell’intolleranza sembrava essere divenuto finalmente l’epicentro del rinnovamento. Ministri e sottosegretari fecero a gara nel promettere sviluppo e occupazione, condicio sine qua non, dicevano, per l’integrazione di tutti i rifugiati di ogni parte del mondo. Allo sdegno generale seguì addirittura una legge, quella presentata dal ministro Guardasigilli di allora, Claudio Martelli, primo tentativo di regolamentare in maniera sistematica il fenomeno dell’immigrazione. Passarono però solo cinque anni ed ecco che una ventata d’odio si abbatté nuovamente su Terra di Lavoro e dintorni: un incendio doloso devastò il "ghetto" di Villa Literno, un non luogo fatto di baracche e rifiuti dove erano stipati fino a 2000 extracomunitari senza fissa dimora. Non ci furono vittime, ma solo per caso. Nel campo, infatti, erano presenti 50 persone, il resto si era spostato temporaneamente in Puglia per la stagione della raccolta dell’uva. Unico movente: l’intolleranza razziale. Diciotto anni e nel settembre 2008 la storia sembra ripetersi, ma se possibile con una ferocia ancora maggiore. Castelvolturno, km 43 della strada Domiziana, sartoria Ob Ob exotic faschions: a cadere sotto un’interminabile gragnola di colpi sono sei africani, loro unica colpa avere la pelle nera, come i veri obiettivi dell’attentato: i ras della mafia nigeriana che il clan locale voleva rimettere al loro posto. Autori della strage il camorrista Giuseppe Setola e i suoi accoliti, nelle loro menti criminali quella voleva essere solo una lezione da dare ai "negri"...continua

«QUEI PENTITI CI SERVONO»

Giuseppe Ayala, storico Pm nel maxi processo contro Cosa Nostra, spiega perché Gaspare Spatuzza va ascoltato. E ricorda che i collaboratori possono mettere in difficoltà anche la camorra


di Mario Tudisco


Il giudice Giuseppe Ayala (nella foto), per svariate legislature senatore della Repubblica, è stato Pubblico ministero nel primo maxi processo contro Cosa Nostra, quando furono comminati oltre duemilaseicento anni di galera, molti dei quali a carico di Totò Riina, all’epoca illustre latitante. Ed è proprio questa sua grande mole di lavoro processuale, congiuntamente all’esperienza maturata nella politica, a renderlo, allo stesso tempo, memoria storica dell’antimafia italiana e profondo conoscitore di quanto è accaduto nel nostro Paese negli ultimi trent’anni.
Dottor Ayala, lei faceva parte di quello staff di magistrati palermitani che hanno scritto pagine della storia giudiziaria e sociale italiana. Le vorrei chiedere quale idea ha maturato del pentitismo, magari partendo proprio dalle recenti dichiarazioni di Gaspare Spatuzza.
È un dato di fatto che, senza i collaboratori di giustizia, non avremmo conosciuto la vera struttura di Cosa Nostra e delle altre mafie. E questo al di là di tutte le polemiche che si sono sviluppate nel corso degli anni. Per quanto riguarda Spatuzza, naturalmente non me ne occupo io direttamente. Le pongo comunque una semplice riflessione a voce alta. Ho avuto modo di leggere le dichiarazioni di questo collaboratore a proposito del furto della Fiat 126 che fu imbottita di tritolo e usata per fare saltare in aria Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Ebbene, spulciando tra le carte si legge che – secondo il mafioso in questione – fu necessario cambiare i freni dell’auto perché non erano funzionanti. Successivamente, una perizia scientifica in merito ha potuto costatare la veridicità di quanto affermato da Spatuzza. Ora, per carità, ciò non significa che le deposizioni di costui debbano essere sempre prese per oro colato, ma che si tratti di un personaggio ben informato su alcuni fatti ed episodi mi pare sia indiscutibile.
Non posso esimermi dal chiederle un ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, insieme ai quali ha lavorato, gomito a gomito, per un decennio. Che uomini erano?
Uomini di una straordinaria semplicità, assolutamente lontani dalle figure stereotipate di supereroi. Grandi magistrati, dotati di un acume superiore alla media e capaci di contagiare con il loro entusiasmo tutti gli altri dello staff...continua