venerdì 2 luglio 2010

IN CAMPANIA, SOGNANDO IL DOLCE FAR NIENTE

Beauty farm e stazioni termali con trattamenti innovativi, come il percorso "kneipp" e i massaggi con l’olio d’oliva. Itinerari del benessere a due passi da casa


di Marilena Mincione


«Ritrova il tuo benessere psicofisico. Lasciati tentare da una vacanza all’insegna del relax». L’invitante messaggio di posta elettronica promozionale arriva nel mezzo di una ricerca sulla vacanza più rilassante e rigenerante possibile: la vacanza del turismo del benessere, in gergo "wellness". La mail – riferita a un hotel terme di Ischia – presenta scenari di acque termali (grazie a cinque piscine apposite), massaggi, aree benessere con sauna, bagno turco, idromassaggi e palestra. Non solo spiaggia privata dunque – pure prevista – ma anche gli ingredienti tipici di un soggiorno totalmente antistress, compresa la possibilità di intrattenere eventuale prole in un enorme parco giochi con animazione gratuita. Lo scenario, però, diventa ancora più intrigante quando propone, come continua la mail, «docce emozionali e percorso "kneipp"». Superata la superbia di arrivarci per associazione di idee, proviamo a informarci su cosa siano le prime e ci tuffiamo, con l’immaginazione, in mini percorsi di benessere che offrono diverse funzioni in poco spazio. L’obiettivo è stimolare i cinque sensi con un gioco di colori, profumi, essenze oleose e suoni che cambiano a seconda del tipo di doccia: esistono docce fredde "brezza" o calde "tropicali" con colori (blu per la prima, ambra per quella calda) ed essenze specifiche. L’acqua è la protagonista anche nel percorso "kneipp": giocando sul contrasto freddo-caldo, si aiuta la circolazione sanguigna di piedi e gambe – camminando anche su sassi di fiume levigati e adeguatamente posizionati – proprio alla maniera degli antichi romani.
Ischia, Capri e Procida, insieme alla costiera amalfitana, alla penisola sorrentina e ad alcune zone del litorale flegreo, sono le mete preferite per chi cerca in Campania i benefici dei centri benessere e delle beauty farm, di cui moltissimi alberghi – intuendone i vantaggi – si sono attrezzati. Ma anche – Ischia in primis – delle terme, che in genere vengono associate a Contursi, Agnano e Pozzuoli.
Eppure strutture – beauty farm in particolare – che coccolano il cliente con trattamenti estetici, dimagranti e termali si possono trovare in tutta la regione. La Campania, del resto – insieme a Veneto, Toscana ed Emilia Romagna – è tra le destinazioni preferite degli italiani che scelgono le vacanze benessere termali. Lo dicono i dati dell’Osservatorio nazionale del turismo, per il quale gli italiani avrebbero svolto nel 2009 oltre un milione di vacanze "antistress". Le località termali e del turismo del benessere accolgono il 4,2% delle presenze turistiche stimate nelle strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere nel nostro Paese, ovvero oltre 15 milioni di presenze all’anno (vi è una leggera prevalenza di clientela internazionale). Tra le principali motivazioni prevale la voglia di benessere e fitness (46%), il desiderio di trascorrere una vacanza rilassante (35%) in un ambiente naturale di pregio (30%), infine gli interessi enogastronomici (21%). Nel corso della vacanza uno su due visita Spa (Stabilimenti termali) e centri benessere; il 37% pratica attività sportive...continua

«NOI SIAMO USCITI DALLA CRISI»

Lo afferma Carlo Benigno, presidente di Unica, il polo calzaturiero di Carinaro-Teverola che registra una crescita lenta ma costante di commesse. Ecco il nuovo Made in Italy


di Alessandro Cenni


Carlo Benigno, imprenditore, presidente di Unica, non dimentica le sue origini. Nel 1987, i suoi 300 metri quadri d’industria fruttavano 18 miliardi di lire. Più di dieci anni prima, nel ’72, suo padre, con duecentocinquanta dipendenti a regime, aveva intuito la necessità della specializzazione: tagliatore, orlatore, montatore. Ad ognuno il suo. «Fino a quando conoscerai i nomi di tutti loro» gli rammentava il padre «potrai dire di conoscere bene la tua fabbrica». E guai a chiamarli dipendenti, Benigno ci corregge subito: «Ho 40 collaboratori: io mi preoccupo di far star bene loro e loro fanno altrettanto. Loro sono dei veri e propri artisti».
Siamo al Polo Unica di Carinaro. Un consorzio, all’origine, di 24 imprenditori del settore calzaturiero. Trecentomila metri quadrati, un’area divenuta propulsiva per l’affermazione del Made in Italy nel mondo. Ma non ci troviamo nel Varesotto o nel Veneto. Siamo a Carinaro, in Terra di Lavoro. Siamo a 10 chilometri da Casal di Principe. Eppure la crisi, per Carlo Benigno, è acqua passata. «L’abbiamo subita dieci anni fa e ne siamo usciti – ci racconta – come dalla sala di rianimazione: con le ossa rotte, certo. Ma ci siamo evoluti, abbiamo cambiato pelle e ora stiamo investendo».
Ricostruisce l’ultimo ventennio, dall’ascesa nel tessile e nel calzaturiero del "Far East". La chiamiamo Cina, ma l’effetto non cambia: «Nel ’98 si producevano 600 milioni di scarpe. Fatturato? Uguale a quello cinese, che però ne produceva 5 miliardi. La qualità era scarsa, il loro mercato era l’Africa, l’America del sud. Poi l’accelerazione, spaventosa». Passeggiamo tra gli operai al lavoro. Tecnologia e manodopera di qualità, padri di famiglia e catena di montaggio. Molti i giovani, le donne. «Il trend di assunzione è in ascesa. Abbiamo contattato tanti giovani già formati, rimasti senza lavoro per via della crisi» ci spiega. «Altri li abbiamo formati a spese nostre, li abbiamo seguiti noi. Formazione applicata, direttamente sulle macchine. Ci vogliono dieci anni, forse anche di più, per aver un buon artigiano».
Continuiamo il giro, tra gli artigiani al lavoro. Sembrano sul serio una famiglia e molti lo sono: Benigno ha assunto anche figli e nipoti di dipendenti, decisi a seguire la tradizione. Ma torniamo alla Cina, alla sua accelerazione negli anni ’90. «Si sono avvalsi di tecnici europei – racconta – nello specifico: italiani. Nel nostro settore l’avevamo intuito prima degli altri, ma nessuno voleva crederci. Ora non possiamo più contrastare la Cina: hanno occupato il mercato. Dobbiamo cambiare rotta». E riecco il Made in Italy. Contenere costi, produrre molto, mantenere la qualità alta. Un gioco d’equilibrio, di incastri. «Facciamo l’equivalente di una Porsche, di una Bmw. Non proprio una Rolls Royce, ecco, ma sempre un prodotto fatto a mano, con stile, unico nel suo genere. E abbiamo un rapporto diretto, quasi quotidiano con i nostri clienti». In questo settore, fiere ed esposizioni internazionali sono la manna dal cielo. «Per questo dobbiamo inserirci nelle vetrine importanti. In Germania, in Giappone, in Spagna. Persino a Miami. I costi sono alti, ma bisogna investire, inviare lì i nostri uomini ad esporre i nostri prodotti, a darci visibilità». La ricetta, secondo Benigno: «Diciamo ai clienti: ci dia un ora del suo tempo con il suo direttore d’acquisto. E così, anche tirandogli un po’ la giacca, abbiamo chiuso un contratto in Giappone». Poi si aiuta con il gergo calcistico: «Marchiamo a uomo, non a zona». Evita polemiche Benigno, anche se «non mi spiego come mai da dieci anni chiediamo di esporre al "Pitti Uomo" senza risultati. Forse le cose cambieranno». E proprio dieci anni fa, ad una giornalista de "la Repubblica", Carlo Benigno confessò: «Quando sento un elicottero della polizia sono contento»...continua

«BORSELLINO ERA UN UOMO COMUNE»

Rita, sorella del magistrato ucciso diciotto anni fa dalla mafia, spiega perché la lotta alla criminalità non ha bisogno di eroi. Ma per contrastare la camorra serve tensione civile


di Mario Tudisco e Mariella Cozzolino


«La morte di Paolo non è stata un evento imprevisto, è stato un assassinio annunciato da tempo. Lui diceva sempre: "Se uccidono Giovanni Falcone, che è il mio scudo, poi elimineranno anche me". E, nonostante il pensiero di Paolo fosse a tutti noto, nessuna autorità volle incrementare le misure precauzionali nei suoi confronti. Ancora oggi, però, mi chiedo: chi poteva conoscere così bene gli spostamenti di mio fratello da ordire un attentato sotto casa di nostra madre, l’unico posto dove, anche a costo di mettere a repentaglio la sua vita, si sarebbe sicuramente recato?». Rita Borsellino (nella foto), oggi eurodeputata, è una signora non più giovanissima, che trasuda dolcezza in ogni atteggiamento e in ogni parola. Potrebbe usare toni più forti contro i mandanti e i killer di suo fratello Paolo, eppure non si scorge risentimento nella sua voce. Piuttosto una duplice preoccupazione: conoscere chi poteva avere reali interessi dalla scomparsa del fratello e, soprattutto, fare in modo che il suo sacrificio divenga esempio per le future generazioni.
Signora Borsellino, quale dei ricordi di suo fratello l’ha maggiormente colpita, dopo diciotto anni dalla barbara strage di via D’Amelio?
In questi anni, tantissime personalità e tantissima gente comune ha avuto apprezzamenti per la memoria di Paolo. Molti di questi erano sicuramente sinceri; altri sono stati avanzati con colpevole ritardo. Detto questo, credo che il miglior complimento che sia stato fatto a mio fratello è quello del suo capo, il giudice Antonino Caponnetto, quando affermò che Paolo Borsellino, prima di amministrare la giustizia, la viveva. Parole che meglio di ogni altro discorso rappresentano ciò che è stato mio fratello. Parole ancora più importanti perché pronunciate da un autentico galantuomo quale era Caponnetto. Se mi permette io preferirei ricordare l’uomo Borsellino, non l’eroico magistrato ucciso perché voleva distruggere Cosa Nostra. Neanche a lui sarebbe piaciuto essere ricordato come un superuomo, in quanto era ben consapevole che, in questo modo, sarebbe stato presto archiviato come una eccezione irripetibile; mentre per sconfiggere le mafie non ci vogliono eroi, ma uomini perbene che facciano il loro dovere.
Come apprese dell’omicidio di suo fratello e degli uomini della scorta?
Come milioni di italiani lo venni a sapere dalla televisione. Mi recai immediatamente in via D’Amelio, sotto casa di nostra madre, e vedendo quei poveri corpi dilaniati, quei quasi cento appartamenti distrutti, gridai forte che lì non ci avrei mai più messo piede. Fu mio figlio a scuotermi, quasi con forza, e a farmi ritornare in me. Non riuscivo neanche a piangere, né ci riesco oggi dopo diciotto anni. Ma in tutto questo tempo ho sempre continuato a chiedermi: chi conosceva così bene gli spostamenti di mio fratello? Perché chi aveva il dovere di proteggerlo non aumentò le misure di sicurezza dopo l’omicidio di Giovanni Falcone? Perché qualcuno si distrasse in un periodo così delicato della nostra storia repubblicana? A volte, per consolarmi, penso che forse era già tutto scritto. Paolo, spesso, mi diceva che lavorava anche diciotto ore al giorno perché il suo tempo stava per finire. Mi auguravo – ma dentro di me sapevo che così non era – che si riferisse al tempo degli atti giudiziari. E, invece, sapeva che stava per terminare il suo tempo terrestre.
Tanti anni dopo, le metastasi mafiose non sono state ancora debellate. Giovanni Falcone diceva che, come tutti i fenomeni umani, Cosa Nostra un giorno sarà azzerata. Intanto la lotta continua…
La lotta alle mafie deve essere innanzitutto un movimento culturale, che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà, che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Solo se un giorno la maggioranza degli italiani condividerà questo messaggio potremmo dire di aver sconfitto i boss e i loro famelici clan. Molto è compito dello Stato, che nel Meridione non è mai riuscito a incidere sul tessuto sociale. Se, infatti, non c’è lavoro e non ci sono prospettive di vita per i nostri giovani è facilissimo che alcuni di loro cadano nella rete degli uomini di Cosa Nostra. Ed è ai giovani che mi rivolgo, è a loro che vorrei far conoscere l’uomo Paolo Borsellino, con tutte le sue debolezze e i suoi difetti, perché lo vedano come un personaggio non irraggiungibile, ma come una persona che ha creduto sempre nel lavoro che svolgeva...continua