mercoledì 31 agosto 2011

LA RIPRESA? SOLO TIMIDI SEGNALI

I dati disponibili sulla crescita dell’economia a Napoli e Caserta parlano di lievi incrementi della produzione per il 2011. Ma la disoccupazione continua a crescere

di Mario Del Franco

Mentre gli effetti della disastrosa crisi finanziaria del 2009 tendono finalmente ad un graduale ridimensionamento, con l’economia mondiale in netto miglioramento, trainata dallo sviluppo dei paesi emergenti, e le economie avanzate in maggiore difficoltà, oscillanti tra il 3-4% di crescita nel 2010 della Germania da un lato, e gli 1,3 punti percentuali guadagnati dal Prodotto interno lordo italiano nel corso del medesimo anno, qual è lo stato dell’economia in Campania, e in particolare nelle province di Napoli e Caserta? Sono visibili, come si può dire accada sul piano nazionale, alcuni, sia pur timidi, segnali di ripresa? I dati più recenti circa l’andamento del sistema economico-produttivo della regione campana non sono affatto confortanti: «Il deficit strutturale determinato da una serie di fattori, dalle infrastrutture all’incapacità di utilizzare i fondi europei, a un tessuto produttivo privo di eccellenze – fanno sapere da Confindustria Campania – hanno inciso negativamente sui segnali di ripresa, che ancora tardano a manifestarsi: nel primo trimestre 2011 si è riscontrata un’ulteriore riduzione del Pil regionale dello 0,6% rispetto all’anno precedente, che si accompagna a dati anche maggiormente preoccupanti, come una diminuzione dell’occupazione di ben il 40%, con un tasso di disoccupazione che si attesta intorno al 16,9%».
Per quanto riguarda nel dettaglio le province di Napoli e Caserta, quanto emerge dai Bollettini Statistici elaborati sulla base di dati Istat dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne per Unioncamere, in occasione della IX Giornata dell’economia del 6 maggio scorso, non lascia ancora parlare di un’inversione di tendenza rispetto alla spirale recessiva del 2008-2009: anche in questo caso, le gravi criticità strutturali – ad esempio un sistema produttivo caratterizzato dalla predominanza, in particolare per quanto riguarda Caserta, di imprese piccole e poco strutturate; l’ombra della criminalità organizzata, che determina squilibri e distorsioni del mercato; un mercato del lavoro che presenta indicatori di segno perennemente negativo – nel 2010 hanno impedito di agganciare la pur timida ripresa nazionale, con un aumento del Pil soltanto dello 0,4% per Caserta e dello 0,1% per Napoli.
Per quanto concerne le previsioni per il 2011, sembra invece esservi spazio per un cauto ottimismo: a Caserta non si vede ancora una variazione di segno positivo né per il fatturato (-0,1%), né per la produzione (-0,8%), con il settore edile e il terziario in maggiore difficoltà rispetto all’agricoltura e al comparto manifatturiero; a Napoli la situazione è invece leggermente migliore – con un incremento complessivo del fatturato del 2,0% e un calo della produzione dello 0,4% – per tutti i comparti economici tranne il manifatturiero, che lascia registrare ancora un arretramento del 1,2% circa il volume di affari. Moderatamente confrontante, sia per la regione nel suo insieme, sia per la provincia casertana, il dato riguardante gli investimenti: in Campania, secondo Confindustria, «si prevedono stanziamenti di risorse pari all’1,35% per ricerca e sviluppo e al 30,1% per l’innovazione», mentre a Caserta si prevede un aumento complessivo del 2,3%; in controtendenza la provincia di Napoli, per la quale si stima una riduzione degli investimenti dell’1,5%. Sempre drammatico, tuttavia, lo stato dell’occupazione, sia, come già accennato, in Campania, sia per ciascuna delle due province prese in esame: per Caserta e Napoli si prevede ancora un dato di segno negativo, pari rispettivamente a -3,3% e -1,5%...continua

LACRIME E SANGUE PER IL SUD

La manovra finanziaria recentemente varata dal Governo condanna le regioni meridionali a un quadriennio di sacrifici. Stop ai fondi per risanare l’emergenza rifiuti

di Alessandro Pecoraro

Dalle infrastrutture alle politiche per occupazione e formazione; dai bonus per la riduzione dell’Ici al costo per la manutenzione del termovalorizzatore di Acerra; dalla sanità all’edilizia scolastica; dagli ammortizzatori sociali al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, fino all’emergenza rifiuti in Campania. È una manovra finanziaria che qualcuno ha definito «lacrime e sangue» quella approvata quest’estate dal Parlamento italiano. Una manovra che forse salverà l’Italia dalla bancarotta, ma di certo non salverà il Meridione dall’enorme crisi strutturale economico finanziaria. La manovra da 87 miliardi (spalmata in un arco temporale di tre anni e mezzo), prevede in pratica tagli lineari a qualsiasi attività finanziata dallo Stato. Ad essere colpito sarà soprattutto il sud Italia. I tagli maggiori, infatti, riguardano il fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) che è stato depauperato di oltre il 10%. Circa 2 miliardi e mezzo di euro in meno che influiranno sicuramente nelle politiche meridionali.
I tagli avranno degli effetti devastanti soprattutto in quei settori in cui le regioni hanno gravi deficit di bilancio.
In Campania, ad esempio, a subire le maggiori conseguenze sarà il settore della sanità. I miliardi di debiti accumulati dalla cattiva gestione della cosa pubblica, uniti al federalismo fiscale e ai tagli ai fondi strutturali, metteranno in ginocchio l’intero sistema sanitario campano. Ma una situazione simile si avrà anche con i rifiuti. Il taglio ai Fas riguarda anche il finanziamento per l’emergenza, un ridimensionamento che produrrà ostacoli per un’eventuale costruzione di nuovi impianti di smaltimento e compostaggio dei rifiuti.
Secondo il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, per le regioni del Sud, l’impatto della manovra da qui ai prossimi quattro anni sarà insostenibile: «A meno di non ridurre o eliminare del tutto i livelli essenziali delle prestazioni, bisognerà continuare ad intervenire su servizi, sanità, welfare e trasporti pubblici. Siamo alla terza manovra consecutiva che ci impone tagli e correzioni. Per la Campania, al netto del piano di riordino della sanità, sono già previsti 480 milioni di euro in meno e con la nuova manovra ci sarà un’ulteriore inevitabile riduzione dei servizi». È inaccettabile, secondo Caldoro, che l’impronta di tutto il provvedimento sia stata data dalla Lega: «Andavano inserite coperture più coraggiose, anticipando l’innalzamento dell’età pensionabile al primo anno e intervenendo sulle pensioni più ricche, sui consumi con un lieve ritocco all’Iva e introducendo una patrimoniale sui redditi alti: così si sarebbe impedita l’ennesima stangata sulle regioni e gli enti locali, evidentemente questo alla Lega non conveniva»...continua

LE MAFIE CHE NON SI PIEGANO

Sono quelle arroccate nelle amministrazioni e negli enti, dove condizionano la vita della democrazia. E, secondo il giornalista Nello Trocchia, non conoscono confini: dal Piemonte alla Sicilia, attraversano l’intera penisola italiana penetrando nel tessuto economico

di Eliana Iuorio

Incontro con il giornalista Nello Trocchia, autore del bestseller La Peste, pubblicato da Rizzoli, scritto a quattro mani con Tommaso Sodano, attuale vicesindaco e assessore all’Ambiente della giunta De Magistris. È con Federalismo criminale (Nutrimenti editore, 2009) che Trocchia segna il suo debutto in qualità di scrittore, nell’affrontare e analizzare un tema spinoso e quanto mai attuale: le infiltrazioni della camorra nel cuore delle stituzioni locali.
Nel “federalismo criminale”, per il quale parli di “mafie sotto casa”, chi sono le vittime e chi i carnefici?
Sono dell’idea che le vittime siano sicuramente i cittadini; per paradosso, possono anche essere carnefici di se stessi, però nel senso che scelgono liberamente chi votare, a chi affidare le chiavi delle istituzioni e degli enti locali.
Le tangenti e la corruzione dilagante negli enti rappresentano il malcostume che lega la politica all’interesse criminale. Ha visto sciogliersi una Asl in Campania ed una Asp a Reggio Calabria…
Abbiamo avuto il caso dello scioglimento della Asl Napoli 4 nel 2005: la prima Azienda sanitaria locale ad essere azzerata in Italia, e medesima sorte è toccata alla Asp in Calabria. A Napoli, in particolare, nell’Asl Napoli 4, con sede a Pomigliano d’Arco, si evidenziarono i condizionamenti delle famiglie criminali dei Fabbrocino (egemoni nel vesuviano), dei Russo, degli Alfieri, con il solito schema delle ditte che condizionavano quella Azienda sanitaria prestando forniture e servizi (sempre tesi al risparmio economico e al maggior profitto); si andava dalla vigilanza alla mensa alla erogazione di altri tipi di servizi. È la dimostrazione che le organizzazioni mafiose devono essere inevitabilmente intese come strutture che erogano servizi, e che intermediano l’esercizio della democrazia e del diritto tra i cittadini e le istituzioni; non possono essere limitate e confinate alla sola presenza e attività violenta di boss e criminali efferati.
Il caso di Bardonecchia, in Piemonte, è dimostrazione di quanto le mafie possano insediarsi facilmente, ove c’è consenso. Clientele e corrotte operazioni immobiliari. Il Comune è stato sciolto nel ’95. A Barcellona, in Sicilia, invece, la mafia è granitica; tu dici che “non si scioglie”…
Sì, citi due casi che sono rappresentativi del fenomeno: Bardonecchia, in provincia di Torino (sciolto nel ’95), dove egemoni erano la famiglia Lopresti, nel ramo imprenditoriale degli appalti e le famiglie di ’ndrangheta, ivi insediate dagli anni ’70, che controllano soprattutto il movimento terra, i grandi appalti e i subappalti per le grandi opere, come autostrade o ferrovie. Nulla si è fermato e da quello scioglimento in avanti, la ’ndrangheta in particolare, condizionerà molto i Comuni del nord Italia, basti pensare al recente scioglimento di Bordighera, in Liguria. L’altro Comune che citavi, Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, mai sciolto per infiltrazione mafiosa, apre il grande tema della mafia granitica; cioè, quando dico “mafia”, parlo sempre di rapporti strutturali con il potere politico (naturalmente esiste la politica senza mafia, ma non ci sarà mai una mafia senza politica, senza appoggi politici).
Non è il solo caso di mancato scioglimento; famoso quello di Fondi, ma sono famose anche le tante storie di zone, enti, territori che nonostante i continui arresti e le contiguità dimostrate, siano state risparmiate dalle Commissioni di accesso, da parte della Prefettura e del Ministero dell’Interno. C’è molta sottovalutazione, molto disinteresse al tema dell’intreccio tra mafia e politica. Barcellona ne è sicuramente un esempio, ma è una “linea di governo” che si sta imponendo non solo nelle aree a tradizionale presenza mafiosa, ma anche in altre aree del Paese: colpire militarmente le mafie, mentre si tace degli accordi e dell’intreccio con il potere politico e imprenditoriale...continua