martedì 9 marzo 2010

«QUEI PENTITI CI SERVONO»

Giuseppe Ayala, storico Pm nel maxi processo contro Cosa Nostra, spiega perché Gaspare Spatuzza va ascoltato. E ricorda che i collaboratori possono mettere in difficoltà anche la camorra


di Mario Tudisco


Il giudice Giuseppe Ayala (nella foto), per svariate legislature senatore della Repubblica, è stato Pubblico ministero nel primo maxi processo contro Cosa Nostra, quando furono comminati oltre duemilaseicento anni di galera, molti dei quali a carico di Totò Riina, all’epoca illustre latitante. Ed è proprio questa sua grande mole di lavoro processuale, congiuntamente all’esperienza maturata nella politica, a renderlo, allo stesso tempo, memoria storica dell’antimafia italiana e profondo conoscitore di quanto è accaduto nel nostro Paese negli ultimi trent’anni.
Dottor Ayala, lei faceva parte di quello staff di magistrati palermitani che hanno scritto pagine della storia giudiziaria e sociale italiana. Le vorrei chiedere quale idea ha maturato del pentitismo, magari partendo proprio dalle recenti dichiarazioni di Gaspare Spatuzza.
È un dato di fatto che, senza i collaboratori di giustizia, non avremmo conosciuto la vera struttura di Cosa Nostra e delle altre mafie. E questo al di là di tutte le polemiche che si sono sviluppate nel corso degli anni. Per quanto riguarda Spatuzza, naturalmente non me ne occupo io direttamente. Le pongo comunque una semplice riflessione a voce alta. Ho avuto modo di leggere le dichiarazioni di questo collaboratore a proposito del furto della Fiat 126 che fu imbottita di tritolo e usata per fare saltare in aria Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Ebbene, spulciando tra le carte si legge che – secondo il mafioso in questione – fu necessario cambiare i freni dell’auto perché non erano funzionanti. Successivamente, una perizia scientifica in merito ha potuto costatare la veridicità di quanto affermato da Spatuzza. Ora, per carità, ciò non significa che le deposizioni di costui debbano essere sempre prese per oro colato, ma che si tratti di un personaggio ben informato su alcuni fatti ed episodi mi pare sia indiscutibile.
Non posso esimermi dal chiederle un ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, insieme ai quali ha lavorato, gomito a gomito, per un decennio. Che uomini erano?
Uomini di una straordinaria semplicità, assolutamente lontani dalle figure stereotipate di supereroi. Grandi magistrati, dotati di un acume superiore alla media e capaci di contagiare con il loro entusiasmo tutti gli altri dello staff...continua

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