Dal Molino Chirico di Teverola, svenduto per ripianare debiti societari, alla Montefibre di Acerra e all’Alcatel di Battipaglia. Operai alle corde, proteste disperate
di Francesco Falco
È possibile, in tempi di recessione, che un’azienda solida chiuda, mandando sul lastrico 51 lavoratori? È possibile che decine di famiglie vengano abbandonate, in ostaggio del caso, senza alcuna luce sul futuro? È possibile. Questo ed altro, in Italia e dalle nostre parti. È la storia dei 51 lavoratori del pastificio Molino Chirico di Teverola (nelle foto). L’azienda in cui lavoravano ha cessato la produzione da quattordici mesi, loro vengono cassintegrati. Da maggio non percepiscono nemmeno più la cassa integrazione, che scadrà definitivamente a novembre di quest’anno.
Una storia diversa dalle altre. «Fino al 2007 – protestano – lavoravamo 7 giorni alla settimana, 24 ore su 24: riposavamo solo a Pasqua e Natale». I lavoratori raccontano una storia che con la crisi ha ben poco a che fare. «Il settore della pasta è uno dei pochi, se non l’unico, a non aver risentito della crisi», ci tiene a sottolineare Giovanni Macari, una moglie e un figlio, come la stragrande maggioranza degli ex impiegati. Cosa c’è che non va, allora? «L’azienda è stata scarnificata: c’è rimasto lo scheletro. Ha debiti per 17,5 milioni di euro, di cui 2,5 milioni costituiscono debiti provenienti da altre società. Le carte sono già in mano al curatore fallimentare e all’orizzonte zero compratori. Ci credo, farebbero prima a comprare tutto daccapo!».
Alcuni dei lavoratori spiegano l’anomalia come frutto di abili manovre finanziarie della proprietà, a danno della solidità del bilancio aziendale. «La produzione, se lo vuole sapere, è stata dirottata sugli stabilimenti D’Apuzzo e Liguori, a Gragnano, e qui hanno lasciato i debiti». Il gruppo Pam, attuale proprietario, rilevò nel 2001 questo antichissimo pastificio, sorto nel 1896, promettendo solidità aziendale e serietà. Quali prospettive, chiediamo, offrono adesso i proprietari? "Cercatevi il lavoro", questa è stata la loro risposta».
Una situazione incredibile per gli operai, molti dei quali hanno ereditato il posto di lavoro dai rispettivi padri. Negli occhi, la rabbia per una loro creatura, il loro posto di lavoro, ma anche la loro azienda. La sentono come una figlia, questa realtà produttiva trasformata in una specie di bad company, con le good company rappresentate dalle altre società del gruppo. Dannati e beffati, intanto, i lavoratori non ci stanno: in sciopero della fame hanno occupato l’azienda, salendo sul tetto e minacciando di lanciarsi da dieci metri. Non escludono, per far sentire la loro voce, forme più estreme di protesta. Hanno avuto incontri col governatore Antonio Bassolino, hanno ottenuto la solidarietà dei sindaci dell’Agro aversano: ora aspettano che si alzi una voce dal Governo, col sottosegretario Nicola Cosentino. «Vede lì dentro?», ci indica uno di loro...continua
giovedì 1 ottobre 2009
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