Ecco come i media possono mettere paura al crimine organizzato. Quando non rischiano, loro malgrado, di diventarne addirittura complici
di Loris Mazzetti*
L’informazione ha sempre svolto un ruolo importante nei confronti della criminalità organizzata: illuminare i fatti. Non c’è nulla che dia più fastidio di questo alle mafie.
Quel faro di luce puntato sui mafiosi, camorristi, boss della ’Ndrangheta o della Sacra corona unita e sulle loro attività, li condiziona, ha l’effetto del sole che colpisce il vampiro come nei mitici film con Christopher Lee, li distrugge, li rende polvere, li annulla. Anche loro, come il principe della notte, hanno bisogno delle tenebre, del silenzio per agire sulla vittima, per fare i loro affari. La parola ha una forza enorme, più di un colpo di lupara: si insinua, entra dentro il cervello (Roberto Saviano ne è l’esempio), fa pensare, fa capire, poi può essere diffusa e creare consenso.
Tanti sono i giornalisti che, inseguendo un ideale o la semplice voglia di fare il proprio mestiere, cioè di accendere il famoso faro, si sono giocati la vita, tra questi Peppino Impastato. Il suo omicidio è avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 maggio 1978, esattamente trentun’anni fa (venne fatto esplodere sulla linea ferroviaria Palermo-Trapani vicino a Cinisi). Peppino aveva fondato Radio Aut per denunciare e lottare contro don Tano Badalamenti, il capo mafia che da Cinisi dirigeva i suoi affari. Radio Aut cominciò a trasmettere e una voce libera entrò nelle case della gente. Durante la primavera del ’77 accadde un fatto che segnò la condanna a morte di Impastato. Attraverso la radio Peppino denunciò che, il giorno dopo l’approvazione del bilancio comunale (votarono a favore oltre alla Dc anche Pci, Msi, Psi, Pli e la sinistra indipendente), la commissione edilizia diede il suo parere favorevole alla costruzione di un palazzo di cinque piani presentato dal «famigerato Giuseppe Finazzo trascina quacina di Gaetano Badalamenti, viso pallido ed esperto in lupara e traffico d’eroina».
Lo scorso anno, per ricordare Peppino Impastato, un gruppo di giovani fece un corteo che andò da Terrasini, la sede di Radio Aut, fino alla casa di Badalamenti a Cinisi. Il corteo era aperto da uno striscione su cui era scritto: «La mafia uccide il silenzio pure»... continua
*Giornalista, regista e autore Rai
giovedì 4 giugno 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.