venerdì 27 agosto 2010

QUEGLI OPERAI CHE NON SE NE VANNO

Tutti i giorni fuori ai cancelli di Melfi, i tre delegati Fiom allontanati dalla Fiat e reintegrati sul posto di lavoro dal giudice rappresentano un conflitto aperto nella grande industria del Sud,da Melfi a Pomigliano


di Francesco Falco



Finisce in tribunale il braccio di ferro tra la Fiat e tre lavoratori dello stabilimento di Melfi – Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli – licenziati dall’azienda poche settimane fa. E nemmeno, perché in tribunale questa storia non finisce, avendo un giudice stabilito il reintegro dei tre, con l’azienda che controreplica decidendo di non avvalersi delle loro prestazioni lavorative fino al 6 ottobre, giorno in cui verrà esaminato il ricorso della Fiat contro il reintegro stabilito dal giudice. Loro confinati, nel frattempo, in una saletta per consentire «l’esercizio dell’attività sindacale», con la Fiom che annuncia un’azione legale e gli appelli dei lavoratori al Presidente Giorgio Napolitano perché «venga ristabilita la democrazia in Italia». Una storia emblematica della conflittualità permanente che regna non solo nello stabilimento di Melfi, significativa se condensata in questa immagine: tre uomini che si recano al lavoro scortati dai Carabinieri e da un ufficiale giudiziario, la vigilanza interna dell’azienda che li blocca e li dirige verso la “saletta sindacale”. Giovanni Barozzino parla al telefono con noi di una vicenda che si rimodula, con nuovi accadimenti, anche ora mentre scriviamo. La voce bassa che fatica a ripetere quanto detto ai cronisti piovuti fuori allo stabilimento di Melfi da tutta Italia per raccontare una storia che non attiene più, ormai, solo ai loro destini individuali.
Come si esce da una situazione come questa?
Stiamo valutando con i legali del sindacato come meglio agire. La Fiom si sta muovendo legalmente, ha già presentato una denuncia penale. Per quanto ci riguarda, noi licenziati non vogliamo che ci tolgano la dignità. Ci viene detto di andare e non poter lavorare: che significa? Ma stiamo scherzando?
La Fiat vi ha “confinato” in una saletta, sostenendo di voler fare a meno delle vostre prestazioni lavorative.
È tutto paradossale: come possiamo, seppure volendo, fare attività sindacale in uno stanzino a quattro, cinquecento metri di distanza dai lavoratori? Me lo dica lei, come.
Qual è lo scenario verosimile dei prossimi giorni?
Noi andremo a lavorare, ci recheremo in azienda: non siamo parassiti, io voglio lavorare, andremo in azienda tutti i giorni finché non ci sarà consentito di lavorare. Noi non abbiamo fatto niente, assolutamente. E non lo dico solo io, che posso risultare interessato, ma un giudice che l’ha accertato dopo sedici ore di testimonianza, ascoltando tanto la parte aziendale quanto i lavoratori.
Crede che l’atteggiamento di Fiat sia un pretesto per scelte aziendali future o per rimodulare accordi sindacali?
Il sospetto c’è, è forte.
C’è chi bolla la Fiom come estremista.
Innanzitutto dico questo: la Fiom-Cgil chiede continuamente tavoli di trattativa e non le vengono concessi, si è mostrata disponibile a trattare su tutto – e dico tutto – tranne che sui diritti dei lavoratori sanciti nella Costituzione. Oltre a quello, lo domando io a lei, che cosa può fare un sindacato? E poi vorrei ricordare che soltanto due mesi fa Sergio Marchionne ha definito questo stabilimento come il punto d’eccellenza non d’Italia, ma d’Europa! Abbiamo festeggiato qui a Melfi i cinque milioni di vetture realizzate. Come si sarebbe potuto fare se il nostro sindacato non fosse stato serio e responsabile? Come avremmo raggiunto un risultato del genere?...continua

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