venerdì 30 aprile 2010

NAPOLI, LA CITTÀ INGUARIBILE

A cinque anni dal suo instant book sulla metropoli partenopea, Giorgio Bocca spiega perché non si concede alla speranza. E invita i giovani a scappare via


di Raffaele de Chiara


«La Napoli delle persone perbene c’è ancora e pensa alla camorra con sdegno e vergogna. Ma sono, volenti o nolenti, compagni di strada della Napoli senza leggi». È il gennaio del 2006 quando Napoli, appena uscita dalle faide di camorra tra gli scissionisti e i Di Lauro, scopre in libreria Napoli siamo noi, la visione della città dura e dissacrante di un grande vecchio del giornalismo italiano: Giorgio Bocca.
Da allora sono trascorsi quattro anni, ma un interrogativo continua ancora a scuotere le coscienze: Napoli è cambiata da allora?
Raggiunto al telefono nella sua casa milanese, Giorgio Bocca, dall’alto della sua carriera ultrasessantennale che lo ha portato a collaborare con le maggiori testate del Paese, da "la Repubblica" a "l’Espresso" passando per "l’europeo" e "il Giorno", sebbene si mostri cortese e disponibile al dialogo, non manca di lanciare i suoi proverbiali strali contro il malcostume della città: «Napoli è una megalopoli inguaribile. Non c’è alcuna possibilità di curare una città così». Qualche istante di pausa e riprende: «Vede, l’Italia intera oramai è tutta come Napoli: il denaro come unico valore sta segnando la fine della morale non solo dalle vostre parti, ma in tutto il paese». In una città amorale e priva di valori, il ricorso all’apporto che gli uomini di cultura potrebbero dare per favorire il risanamento sembrerebbe immediato, ma non per lui: «Quelli che lei chiama uomini di cultura fanno di tutto per rendere la città peggiore. Di intellettuali che si impegnano civilmente – sottolinea – ne conosco davvero pochi». Le sue opinioni tranchant non mutano neppure quando facciamo riferimento ai giovani di queste terre: «Per loro non c’è nessuna prospettiva, non a caso vanno via tutti. Anch’io, se fossi giovane e vivessi lì, scapperei; si va dove c’è lavoro e dove ci sono possibilità di vita migliore». Del tutto inutile anche il far notare come sarebbe più opportuno, specie da parte delle giovani generazioni, rimanere qui e impegnarsi perché qualcosa migliori: l’ancestrale pragmatismo piemontese di Bocca ha la meglio su tutto: «Opportuno sì, ma è un sacrificio – una pausa e riprende con maggior vigore – per queste cose qui però è inutile fare i moralisti; i giovani – afferma – hanno diritto di trovare le strade migliori per la loro vita». Una durezza di pensiero che non si scalfisce neanche quando gli opponiamo le feroci critiche dei suoi detrattori, che sovente vedono in lui il portatore di un pessimismo asfittico e privo di intenti propositivi. «Cosa vuole che proponga, non è mica semplice! Io sono pessimista nel senso che voglio vedere le cose come stanno». Dialogare con un pezzo di storia del giornalismo italiano non è mai un’impresa semplice, specie quando dall’altra parte ti ritrovi chi a un vissuto da partigiano ha affiancato l’esperienza del mestiere; a farla da padrone sono un pensiero granitico e un’estrema capacità di sintesi che nulla o quasi concede ai sentimenti...continua

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