Sono i monumenti straordinari del casertano che i turisti non visitano più. Alla Reggia un calo del 26%, mentre l’Anfiteatro sammaritano incassa appena 15.000 euro. Meno di una tabaccheria dell’Appia
di Giovanni Ferretti
È come se non fosse più il centro di gravità permanente dell’industria turistica di Terra di Lavoro. Da un paio d’anni a questa parte, la Reggia di Caserta ha perso quella forza attrattiva che fino a poco tempo fa sembrava inesauribile. Qualcosa s’è inceppato.
Emergenza rifiuti e crisi internazionale a parte, i dati parlano chiaro. E il responso è inequivocabile, quasi cassazione. Nel 2008, secondo il dossier annuale del Touring Club, Palazzo Reale ha subito una delle più clamorose emorragie di visitatori registrate in trenta musei del Bel Paese: - 26,4% di biglietti staccati nel corso di un anno.
In termini assoluti, sono stati poco più di 430 mila i turisti che hanno varcato i cancelli d’ingresso del masterpiece di Luigi Vanvitelli. E pensare che nel 2005 gli ingressi conteggiati superavano la soglia del milione e centomila: performance che piazzavano l’ultima grande realizzazione del barocco italiano sul podio dei monumenti più visitati in Italia.
Dalla Soprintendenza dei Beni culturali che gestisce il Palazzo reale vanvitelliano, tuttavia, non arrivano segnali di eccessiva preoccupazione.
«Il dato – fanno sapere dall’ufficio stampa – risente non soltanto dell’andamento generale dei flussi turistici nel Paese, ma anche e soprattutto dei gravissimi danni d’immagine prodotti dall’emergenza rifiuti nei primi mesi dello scorso anno.Già alla fine del 2008 si erano cominciati ad avvertire segnali di ripresa». Segnali rafforzati poi a marzo e ad aprile del 2009, periodo nel corso del quale si è registrato un netto cambio di tendenza, con circa 130 mila ingressi in due mesi e un incremento del 45% rispetto all’anno precedente... continua
venerdì 31 luglio 2009
INCENERITORE,SUPERATI I LIMITI DI TOLLERANZA
È accaduto più di trenta volte dall’inizio dell’anno. Ora molti chiedono il commissariamento della struttura. Il Governo continua a prendere tempo
di Alessandro Pecoraro
Non c’è pace per la popolazione di Acerra. Secondo i dati dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale campana (Arpac), l’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti funziona male e inquina tanto. Era il 26 marzo del 2009 quando Silvio Berlusconi, insieme a Rosa Russo Jervolino, Antonio Bassolino e molti ministri, annunciò sornione la fine dell’emergenza rifiuti con l’inaugurazione dell’impianto di Acerra. Il Presidente del Consiglio lodò senza troppi indugi la nuova infrastruttura: «Il termovalorizzatore funziona benissimo, l’inquinamento è vicino allo zero – disse Berlusconi – si tratta di un prototipo molto utile che dovremo riedificare in tante altre regioni d’Italia». Ma oggi, dopo cinque mesi dall’inaugurazione, di quelle promesse è rimasto solo un vago ricordo. «Il termovalorizzatore non funziona neanche all’80% della sua potenzialità – ha recentemente dichiarato Francesco Capone, rappresentante dell’azienda incaricata di gestire il funzionamento della struttura – abbiamo dovuto spegnere più volte l’impianto a causa del livello di ossido di carbonio troppo elevato».
Il problema principale dell’inceneritore riguarda le eccessive emissioni di Pm10, più comunemente conosciute come polveri sottili. Secondo il decreto ministeriale numero 60/2002, i termovalorizzatori possono superare la soglia dei 50ug/m3 di Pm10 al massimo 35 volte in un anno. Il limite annuale, afferma l’Arpac, è stato superato in soli cinque mesi di attività, dati che hanno provocato un vero e proprio uragano politico.
Sono numerose le dichiarazioni contro la gestione dell’inceneritore, una su tutte quella di Tommaso Sodano, responsabile nazionale Ambiente per il Prc e consigliere della Provincia di Napoli, il quale ha chiesto al Governo e alla Procura della Repubblica di «fare luce il prima possibile su questa vicenda nel rispetto delle leggi del nostro Paese, della tutela della salute delle persone e del rispetto dell’ambiente»... continua
di Alessandro Pecoraro
Non c’è pace per la popolazione di Acerra. Secondo i dati dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale campana (Arpac), l’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti funziona male e inquina tanto. Era il 26 marzo del 2009 quando Silvio Berlusconi, insieme a Rosa Russo Jervolino, Antonio Bassolino e molti ministri, annunciò sornione la fine dell’emergenza rifiuti con l’inaugurazione dell’impianto di Acerra. Il Presidente del Consiglio lodò senza troppi indugi la nuova infrastruttura: «Il termovalorizzatore funziona benissimo, l’inquinamento è vicino allo zero – disse Berlusconi – si tratta di un prototipo molto utile che dovremo riedificare in tante altre regioni d’Italia». Ma oggi, dopo cinque mesi dall’inaugurazione, di quelle promesse è rimasto solo un vago ricordo. «Il termovalorizzatore non funziona neanche all’80% della sua potenzialità – ha recentemente dichiarato Francesco Capone, rappresentante dell’azienda incaricata di gestire il funzionamento della struttura – abbiamo dovuto spegnere più volte l’impianto a causa del livello di ossido di carbonio troppo elevato».
Il problema principale dell’inceneritore riguarda le eccessive emissioni di Pm10, più comunemente conosciute come polveri sottili. Secondo il decreto ministeriale numero 60/2002, i termovalorizzatori possono superare la soglia dei 50ug/m3 di Pm10 al massimo 35 volte in un anno. Il limite annuale, afferma l’Arpac, è stato superato in soli cinque mesi di attività, dati che hanno provocato un vero e proprio uragano politico.
Sono numerose le dichiarazioni contro la gestione dell’inceneritore, una su tutte quella di Tommaso Sodano, responsabile nazionale Ambiente per il Prc e consigliere della Provincia di Napoli, il quale ha chiesto al Governo e alla Procura della Repubblica di «fare luce il prima possibile su questa vicenda nel rispetto delle leggi del nostro Paese, della tutela della salute delle persone e del rispetto dell’ambiente»... continua
«INFILTRAZIONI, LA LEGGE VA CAMBIATA»
Secondo Lorenzo Diana (Pd) è necessario riuscire a colpire anche funzionari e burocrati collusi. Varato un provvedimento nel Pacchetto Sicurezza
di Alessandro Pecoraro
Dopo diciotto anni di vita, la normativa sullo scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose potrebbe essere modificata. La legge pur avendo dato un grave colpo al proliferare delle mafie, spesso è risultata insufficiente. Sono numerosi i casi di recidività nello scioglimento, così come numerosi sono i comuni sciolti molti mesi dopo la richiesta dei Prefetti. La normativa, infatti, prevede che a dare l’ultima parola sullo scioglimento di un comune sia il Consiglio dei Ministri sotto indicazione del ministro dell’Interno. Un potere che in alcuni casi provoca veri e propri contenziosi politici.
È il caso di Fondi, cittadina del basso Lazio, dove il prefetto Bruno Frattasi ha presentato al ministro Roberto Maroni una domanda di scioglimento che risale al 18 settembre 2008, ma l’appartenenza della giunta ad una coalizione centrodestra sembra frenare la decisione del ministro che, ancora oggi, non ha deciso se approvare o meno il provvedimento.
Tuttavia, il problema principale del funzionamento della legge è causato dall’impossibilità di colpire l’apparato burocratico su cui si regge il sistema clientelare del potere. Come afferma l’onorevole Lorenzo Diana: «La legge sullo scioglimento dei consigli comunali per condizionamenti mafiosi ha portato ad importanti risultati, consentendo di sottrarre alle influenze dei clan quasi 200 consigli comunali, ritenuti condizionati. Ma essa ha mostrato anche diversi limiti ed incongruenze. C’è un allarmante processo di espansione delle infiltrazioni e dei condizionamenti camorristici nei comuni e nella pubblica amministrazione, al quale bisogna porre rimedio, oltre che in sede politica, anche con norme più efficaci».
In effetti, secondo le indagini della magistratura, a condizionare il corretto funzionamento delle istituzioni è proprio il sistema amministrativo, spesso "inquinato" in modo diretto: la legge attuale, invece, colpisce soltanto la dirigenza politica dell’ente, senza intervenire sugli apparati burocratici e tecnici. «È giunto il momento di modificare la legge – dichiara Diana – rendendola più efficace nel contrastare i condizionamenti mafiosi. Da molti anni giacciono al Parlamento più disegni di legge per modificarla ed integrarla»... continua
di Alessandro Pecoraro
Dopo diciotto anni di vita, la normativa sullo scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose potrebbe essere modificata. La legge pur avendo dato un grave colpo al proliferare delle mafie, spesso è risultata insufficiente. Sono numerosi i casi di recidività nello scioglimento, così come numerosi sono i comuni sciolti molti mesi dopo la richiesta dei Prefetti. La normativa, infatti, prevede che a dare l’ultima parola sullo scioglimento di un comune sia il Consiglio dei Ministri sotto indicazione del ministro dell’Interno. Un potere che in alcuni casi provoca veri e propri contenziosi politici.
È il caso di Fondi, cittadina del basso Lazio, dove il prefetto Bruno Frattasi ha presentato al ministro Roberto Maroni una domanda di scioglimento che risale al 18 settembre 2008, ma l’appartenenza della giunta ad una coalizione centrodestra sembra frenare la decisione del ministro che, ancora oggi, non ha deciso se approvare o meno il provvedimento.
Tuttavia, il problema principale del funzionamento della legge è causato dall’impossibilità di colpire l’apparato burocratico su cui si regge il sistema clientelare del potere. Come afferma l’onorevole Lorenzo Diana: «La legge sullo scioglimento dei consigli comunali per condizionamenti mafiosi ha portato ad importanti risultati, consentendo di sottrarre alle influenze dei clan quasi 200 consigli comunali, ritenuti condizionati. Ma essa ha mostrato anche diversi limiti ed incongruenze. C’è un allarmante processo di espansione delle infiltrazioni e dei condizionamenti camorristici nei comuni e nella pubblica amministrazione, al quale bisogna porre rimedio, oltre che in sede politica, anche con norme più efficaci».
In effetti, secondo le indagini della magistratura, a condizionare il corretto funzionamento delle istituzioni è proprio il sistema amministrativo, spesso "inquinato" in modo diretto: la legge attuale, invece, colpisce soltanto la dirigenza politica dell’ente, senza intervenire sugli apparati burocratici e tecnici. «È giunto il momento di modificare la legge – dichiara Diana – rendendola più efficace nel contrastare i condizionamenti mafiosi. Da molti anni giacciono al Parlamento più disegni di legge per modificarla ed integrarla»... continua
giovedì 2 luglio 2009
INTERCETTAZIONI, UNA LEGGE SBAGLIATA
Le limitazioni alle indagini saranno notevoli, colpendo indirettamente anche l’attività antimafia. Così la nuova normativa imbriglia la giustizia
di Raffaele Cantone*
Nei giorni scorsi il Governo ha presentato un maxi emendamento ad un disegno di legge, pure di origine governativa, da tempo in aula, sulle intercettazioni telefoniche; vi ha posto la fiducia e ne ha ottenuto la rapida approvazione, troncando un dibattito, anche molto proficuo, che su di esso era in corso. Il testo così come approvato è passato al Senato ed è più che probabile un altrettanto rapido iter in quel ramo del Parlamento, forse con una nuova fiducia, e quindi la sua definitiva approvazione, presumibilmente entro l’estate.
L’obiettivo manifestato pubblicamente ed indicato nelle relazioni di accompagnamento alla proposta legislativa era, soprattutto, quello di una riforma del sistema delle intercettazioni che tutelasse maggiormente la privacy dei cittadini. Il testo licenziato certamente raggiungerà lo scopo prefissosi, ma il prezzo da pagare, in termini di contraccolpi alle attività di indagini, sarà davvero molto alto. Cerchiamo di capire perché, con un breve esame della normativa che si muove su più direttrici.
Una prima, riguarda specificamente le intercettazioni; nei processi di criminalità comune esse saranno possibili solo in presenza di «evidenti indizi di colpevolezza» (ci sarà quindi bisogno già di un soggetto probabile colpevole!); dovranno essere autorizzate dal tribunale collegiale con sede nel capoluogo del distretto (per cui, restando al nostro distretto, i Pm di Santa Maria Capua Vetere, di Nola, di Torre Annunziata, di Avellino, di Benevento dovranno fare capo a Napoli!); diverranno quasi non effettuabili nei procedimenti contro ignoti, per i quali è richiesta anche l’autorizzazione delle vittime di reati; saranno possibili quelle ambientali solo nei luoghi in cui si ritiene possa essere in corso l’attività criminosa; gli stessi presupposti per le intercettazioni saranno necessari per acquisire sia immagini e foto, sia i tabulati del traffico telefonico; le attività di ascolto potranno durare trenta giorni, prorogabili fino al massimo di sessanta; i risultati delle intercettazioni non potranno essere utilizzati per delitti diversi da quelli per i quali c’era stata l’autorizzazione, salvo che non si tratti di reati di mafia.
Le conseguenze di tale riforma sono presto dette: si ridurranno le possibilità di effettuare le intercettazioni; risulterà molto più complesso e burocratico il procedimento di autorizzazione (in un momento in cui si parla di snellire le procedure!); sarà molto più complicata l’utilizzazione delle poche che si riusciranno a fare; aumenteranno ulteriormente i procedimenti contro ignoti, consolidando la posizione di vertice in Europa del nostro Paese, per numero di indagini che si concluderanno senza l’individuazione dei responsabili.
Nei processi di criminalità organizzata e terrorismo, almeno in astratto, resta quasi tutto come oggi; basteranno i sufficienti indizi di reato; saranno più ampi i margini per effettuare le intercettazioni ambientali, non sono previsti limiti di durata. Ed allora le indagini antimafia possono dormire sonni tranquilli? Purtroppo non c’è da stare tranquilli nemmeno in tale ambito; vi saranno, infatti, indirette, ma certe, ricadute negative della normativa anche sull’efficienza e l’efficacia delle indagini, anche su queste forme di più grave criminalità.
In primo luogo, è noto che nelle nostre realtà territoriali la divisione fra criminalità comune ed organizzata è molto labile; gran parte delle intercettazioni che vengono effettuate con l’obiettivo di scoprire reati comuni (rapine, omicidi, furti, i cosiddetti cavalli di ritorno, contraffazioni di marchi etc.) consentono quasi sempre di individuare nuovi filoni di delitti di criminalità organizzata; riducendosi le intercettazioni ordinarie si avvizzirà una fonte fondamentale di individuazione dei reati mafiosi.
E poi, nelle disposizioni più strettamente processuali, si rinvengono ulteriori strettoie; l’aver affidato, ad esempio, l’intercettazione al tribunale collegiale allungherà di molto i tempi per ottenere le autorizzazioni come sa chiunque si sia occupato di indagini; o l’aver reso necessario trasmettere al tribunale «il fascicolo contente tutti gli atti di indagine fino a quel momento compiuti», imporrà di trasferire da un ufficio all’altro un enorme quantitativo di atti, con probabili conseguenze negative anche in tema di segretezza dell’attività investigativa... continua
* Magistrato
di Raffaele Cantone*
Nei giorni scorsi il Governo ha presentato un maxi emendamento ad un disegno di legge, pure di origine governativa, da tempo in aula, sulle intercettazioni telefoniche; vi ha posto la fiducia e ne ha ottenuto la rapida approvazione, troncando un dibattito, anche molto proficuo, che su di esso era in corso. Il testo così come approvato è passato al Senato ed è più che probabile un altrettanto rapido iter in quel ramo del Parlamento, forse con una nuova fiducia, e quindi la sua definitiva approvazione, presumibilmente entro l’estate.
L’obiettivo manifestato pubblicamente ed indicato nelle relazioni di accompagnamento alla proposta legislativa era, soprattutto, quello di una riforma del sistema delle intercettazioni che tutelasse maggiormente la privacy dei cittadini. Il testo licenziato certamente raggiungerà lo scopo prefissosi, ma il prezzo da pagare, in termini di contraccolpi alle attività di indagini, sarà davvero molto alto. Cerchiamo di capire perché, con un breve esame della normativa che si muove su più direttrici.
Una prima, riguarda specificamente le intercettazioni; nei processi di criminalità comune esse saranno possibili solo in presenza di «evidenti indizi di colpevolezza» (ci sarà quindi bisogno già di un soggetto probabile colpevole!); dovranno essere autorizzate dal tribunale collegiale con sede nel capoluogo del distretto (per cui, restando al nostro distretto, i Pm di Santa Maria Capua Vetere, di Nola, di Torre Annunziata, di Avellino, di Benevento dovranno fare capo a Napoli!); diverranno quasi non effettuabili nei procedimenti contro ignoti, per i quali è richiesta anche l’autorizzazione delle vittime di reati; saranno possibili quelle ambientali solo nei luoghi in cui si ritiene possa essere in corso l’attività criminosa; gli stessi presupposti per le intercettazioni saranno necessari per acquisire sia immagini e foto, sia i tabulati del traffico telefonico; le attività di ascolto potranno durare trenta giorni, prorogabili fino al massimo di sessanta; i risultati delle intercettazioni non potranno essere utilizzati per delitti diversi da quelli per i quali c’era stata l’autorizzazione, salvo che non si tratti di reati di mafia.
Le conseguenze di tale riforma sono presto dette: si ridurranno le possibilità di effettuare le intercettazioni; risulterà molto più complesso e burocratico il procedimento di autorizzazione (in un momento in cui si parla di snellire le procedure!); sarà molto più complicata l’utilizzazione delle poche che si riusciranno a fare; aumenteranno ulteriormente i procedimenti contro ignoti, consolidando la posizione di vertice in Europa del nostro Paese, per numero di indagini che si concluderanno senza l’individuazione dei responsabili.
Nei processi di criminalità organizzata e terrorismo, almeno in astratto, resta quasi tutto come oggi; basteranno i sufficienti indizi di reato; saranno più ampi i margini per effettuare le intercettazioni ambientali, non sono previsti limiti di durata. Ed allora le indagini antimafia possono dormire sonni tranquilli? Purtroppo non c’è da stare tranquilli nemmeno in tale ambito; vi saranno, infatti, indirette, ma certe, ricadute negative della normativa anche sull’efficienza e l’efficacia delle indagini, anche su queste forme di più grave criminalità.
In primo luogo, è noto che nelle nostre realtà territoriali la divisione fra criminalità comune ed organizzata è molto labile; gran parte delle intercettazioni che vengono effettuate con l’obiettivo di scoprire reati comuni (rapine, omicidi, furti, i cosiddetti cavalli di ritorno, contraffazioni di marchi etc.) consentono quasi sempre di individuare nuovi filoni di delitti di criminalità organizzata; riducendosi le intercettazioni ordinarie si avvizzirà una fonte fondamentale di individuazione dei reati mafiosi.
E poi, nelle disposizioni più strettamente processuali, si rinvengono ulteriori strettoie; l’aver affidato, ad esempio, l’intercettazione al tribunale collegiale allungherà di molto i tempi per ottenere le autorizzazioni come sa chiunque si sia occupato di indagini; o l’aver reso necessario trasmettere al tribunale «il fascicolo contente tutti gli atti di indagine fino a quel momento compiuti», imporrà di trasferire da un ufficio all’altro un enorme quantitativo di atti, con probabili conseguenze negative anche in tema di segretezza dell’attività investigativa... continua
* Magistrato
UNA STAGIONE ALL’INFERNO
La crisi globale che morde più forte in Terra di Lavoro. 400 mila ore di cassa integrazione e imprese che rifiutano persino gli ammortizzatori sociali. La provincia di Caserta, in ginocchio, non ha forse più nulla da offrire?
di Raffaele de Chiara
Figure sbilenche ed impacciate che procedono come automi verso un futuro che non c’è, come loro unica difesa contro la fame voyeuristica del mondo, le mani ingombre di scatoloni di cartone. Era il quindici settembre del 2008 e quella fu l’immagine simbolo del "Chapter 11", la procedura di "fallimento pilotato" prevista dalla legge americana invocata dalla Lehman Brothers, società statunitense attiva nei servizi finanziari a livello globale. Uomini e donne, inarrivabili manager di successo sino a ventiquattro ore prima, si ritrovarono licenziati da un giorno all’altro, accomunati dalla medesima nemesi: vittime di uno tsunami economico e finanziario destinato di lì a breve ad invadere l’intera società globalizzata.
Sono trascorsi dieci mesi da allora e quella tempesta, che a taluni sembrò lontanissima e ben circoscritta agli eccessi dell’economia americana, continua ancora a ripercuotersi sulle economie locali. «I danni prodotti dalla crisi sono enormi: quest’anno l’attività economica mondiale diminuirà dell’1,3%, la contrazione più forte dalla Seconda Guerra Mondiale». A lanciare il grido d’allarme, durante la tradizionale assemblea di Confindustria, è stata la presidente Emma Marcegaglia, la quale poi ha tenuto anche a sottolineare come: «In alcuni grandi Paesi industrializzati il calo del Pil potrebbe, addirittura, raggiungere il 6%».
Dati senz’altro allarmanti, specie se raffrontati con quelli che ci riguardano maggiormente da vicino. Secondo un’indagine di Confindustria Caserta, elaborata sulla scorta di un campione rappresentativo di 200 aziende, la capacità produttiva delle imprese locali starebbe subendo una diminuzione dal 15 al 37%. Emblematico del forte momento di crisi subito dalle aziende della provincia di Terra di Lavoro è senz’altro il caso della "Morteo Containers" di Sessa Aurunca, che ha deciso addirittura di rinunciare agli ammortizzatori sociali in quanto, secondo i vertici dell’azienda, sarebbe impossibile garantire la prosecuzione dell’attività, «pena l’incorrere in più gravi e traumatiche conseguenze sotto il profilo finanziario». Ecco quindi la procedura di mobilità per 88 operai su di un totale di 98. Dura ovviamente la reazione dal mondo dei sindacati e della politica. «Malgrado le iniziative messe in atto dalle istituzioni, prima dal ministero dello Sviluppo poi dalla stessa Confindustria – ha affermato Angelo Spena, della Fiom – ci troviamo per la prima volta dinanzi al caso di un imprenditore che licenzia anche in presenza di una certa copertura finanziaria offerta dalla cassa integrazione». Ugualmente aspro il commento del primo cittadino di Sessa Aurunca, Luciano Di Meo. «Sono amareggiato per quanto è successo, sono soprattutto deluso per aver trovato un interlocutore che non ha corrisposto alla fiducia che il territorio gli aveva dato».
Come se non bastasse, ecco arrivare la rescissione del contratto di appalto tra la Sun (Seconda Università di Napoli) e la "Immobilgi Federici Stirling", che recherà con sé un taglio di circa 200 posti di lavoro. Discorso simile anche per le imprese della "Mirabella Spa" e della "Editellana", le quali hanno già attivato ammortizzatori sociali per un totale di 400 edili. Non va certamente meglio nel settore industriale, con oltre 270 mila ore di cassa integrazione già predisposte. Ma per rendere meglio l’idea dell’entità della crisi sarà bene procedere a un raffronto: al 31 dicembre del 2007 in tutta Terra di Lavoro si contavano oltre 300 mila ore di Cigo (Cassa integrazione guadagni ordinaria), di cui 90 mila nell’industria e circa 240 mila nell’edilizia. Attualmente il totale ammonta a circa 400 mila ore... continua
di Raffaele de Chiara
Figure sbilenche ed impacciate che procedono come automi verso un futuro che non c’è, come loro unica difesa contro la fame voyeuristica del mondo, le mani ingombre di scatoloni di cartone. Era il quindici settembre del 2008 e quella fu l’immagine simbolo del "Chapter 11", la procedura di "fallimento pilotato" prevista dalla legge americana invocata dalla Lehman Brothers, società statunitense attiva nei servizi finanziari a livello globale. Uomini e donne, inarrivabili manager di successo sino a ventiquattro ore prima, si ritrovarono licenziati da un giorno all’altro, accomunati dalla medesima nemesi: vittime di uno tsunami economico e finanziario destinato di lì a breve ad invadere l’intera società globalizzata.
Sono trascorsi dieci mesi da allora e quella tempesta, che a taluni sembrò lontanissima e ben circoscritta agli eccessi dell’economia americana, continua ancora a ripercuotersi sulle economie locali. «I danni prodotti dalla crisi sono enormi: quest’anno l’attività economica mondiale diminuirà dell’1,3%, la contrazione più forte dalla Seconda Guerra Mondiale». A lanciare il grido d’allarme, durante la tradizionale assemblea di Confindustria, è stata la presidente Emma Marcegaglia, la quale poi ha tenuto anche a sottolineare come: «In alcuni grandi Paesi industrializzati il calo del Pil potrebbe, addirittura, raggiungere il 6%».
Dati senz’altro allarmanti, specie se raffrontati con quelli che ci riguardano maggiormente da vicino. Secondo un’indagine di Confindustria Caserta, elaborata sulla scorta di un campione rappresentativo di 200 aziende, la capacità produttiva delle imprese locali starebbe subendo una diminuzione dal 15 al 37%. Emblematico del forte momento di crisi subito dalle aziende della provincia di Terra di Lavoro è senz’altro il caso della "Morteo Containers" di Sessa Aurunca, che ha deciso addirittura di rinunciare agli ammortizzatori sociali in quanto, secondo i vertici dell’azienda, sarebbe impossibile garantire la prosecuzione dell’attività, «pena l’incorrere in più gravi e traumatiche conseguenze sotto il profilo finanziario». Ecco quindi la procedura di mobilità per 88 operai su di un totale di 98. Dura ovviamente la reazione dal mondo dei sindacati e della politica. «Malgrado le iniziative messe in atto dalle istituzioni, prima dal ministero dello Sviluppo poi dalla stessa Confindustria – ha affermato Angelo Spena, della Fiom – ci troviamo per la prima volta dinanzi al caso di un imprenditore che licenzia anche in presenza di una certa copertura finanziaria offerta dalla cassa integrazione». Ugualmente aspro il commento del primo cittadino di Sessa Aurunca, Luciano Di Meo. «Sono amareggiato per quanto è successo, sono soprattutto deluso per aver trovato un interlocutore che non ha corrisposto alla fiducia che il territorio gli aveva dato».
Come se non bastasse, ecco arrivare la rescissione del contratto di appalto tra la Sun (Seconda Università di Napoli) e la "Immobilgi Federici Stirling", che recherà con sé un taglio di circa 200 posti di lavoro. Discorso simile anche per le imprese della "Mirabella Spa" e della "Editellana", le quali hanno già attivato ammortizzatori sociali per un totale di 400 edili. Non va certamente meglio nel settore industriale, con oltre 270 mila ore di cassa integrazione già predisposte. Ma per rendere meglio l’idea dell’entità della crisi sarà bene procedere a un raffronto: al 31 dicembre del 2007 in tutta Terra di Lavoro si contavano oltre 300 mila ore di Cigo (Cassa integrazione guadagni ordinaria), di cui 90 mila nell’industria e circa 240 mila nell’edilizia. Attualmente il totale ammonta a circa 400 mila ore... continua
QUELLA SENTENZA CHE CAMBIÒ TUTTO
All’indomani del verdetto d’appello, intervistiamo Raffaello Magi, il giudice che firmò la deliberazione di primo grado del processo Spartacus
di Marilù Musto
La sentenza è lì, sullo scaffale della libreria del suo ufficio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Accanto, poco distante, una cartolina di Edgar Degas con la ballerina che indossa le scarpette da danza. Da un lato il lavoro, duro ed estenuante; dall’altro i colori, l’arte e l’attrazione per tutto ciò che è bello, variopinto, raffinato. È tutto ciò Raffaello Magi, il giudice estensore della sentenza Spartacus I, in primo grado. Le due immagini, dei faldoni e della ballerina, racchiudono il suo mondo. Cominciamo ad intervistarlo facendogli una domanda chiara, secca, lapidaria.
Cos’è stato Spartacus I?
Il processo Spartacus ha segnato l’inizio di una nuova fase di ricostruzione delle vicende criminali, che hanno interessato la provincia di Caserta e, per certi versi, l’intera regione Campania. L’ultimo accertamento importante sull’associazione camorristica di Bardellino risaliva al 1986 e vi era la necessità di riempire un vuoto di tipo storico sulla stessa nascita della organizzazione nota come "clan dei Casalesi". Dopo questa sentenza nessuno potrà mettere in dubbio l’esistenza e l’ascesa di un nuovo gruppo, nato come gemmazione dal precedente, con a capo Francesco Schiavone "Sandokan" e Vincenzo De Falco. Possiamo dire che nella storia giudiziaria campana esiste un prima e un dopo Spartacus. Nel senso che già dopo la sentenza di primo grado è stato possibile in tanti altri processi affermare l’esistenza del clan e ricostruire omicidi, estorsioni e altre attività compiute negli anni successivi.
Dopo tre anni dalla deposizione delle motivazioni della sentenza di primo grado, scritta da lei, sono state depositate le motivazioni del secondo grado di giudizio che seguono la via tracciata dal suo verdetto. Sono state confermate le sedici condanne all’ergastolo per i capi dell’organizzazione. Cosa ne pensa?
Da un lato c’è una grande soddisfazione, dall’altro c’è attesa per la definizione del secondo troncone del processo principale, che riguarda essenzialmente l’attività di numerosi soggetti, anche di imprenditori collegati all’organizzazione, specie nel settore della realizzazione delle opere pubbliche e della fornitura del calcestruzzo. Purtroppo i tempi lunghi del giudizio di appello rischiano in questo caso di azzerare i risultati ottenuti in primo grado e aprire le porte alla prescrizione del reato.
In che modo Spartacus I ha segnato la sua vita professionale e privata?
Anche nella mia vita esiste un prima e un dopo Spartacus I. Nel senso che l’impegno professionale di quegli anni trascorsi nell’aula bunker è stato talmente grande da costringermi ad accantonare ogni altro progetto, mentre adesso, pur proseguendo nell’attività giudiziaria ordinaria, sento di avere la possibilità di dedicarmi anche ad aspetti organizzativi e collaterali al mio lavoro, che arricchiscono il lato umano e professionale.
Dopo la sentenza in Cassazione delle condanne inflitte ai mafiosi in Sicilia, c’è stato il periodo dell’offensiva della mafia allo Stato, segnata da attentati e dalle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ci si deve aspettare una vendetta simile anche dal clan dei Casalesi? E poi, Il collaboratore di giustizia Luigi Diana ha rivelato ai pm antimafia che il clan la seguiva e sapeva la strada che percorreva per tornare a casa. Le è stata assegnata la tutela. Ma in quel periodo ha avuto paura?
La realtà siciliana era in quegli anni ancor più delicata di quella casertana oggi, perché erano messi in gioco soggetti e fatti di grande rilievo politico e istituzionale, mentre sinora la potenza dei Casalesi sembra essere più di tipo economico e questo rende improbabile un nuovo ricorso al terrorismo stragista, che si è affacciato nella nostra realtà dopo la sentenza di appello. È chiaro però che per essere certi di questo bisognerà aspettare i momenti successivi al verdetto definito.
Per quanto riguarda la mia situazione e quella dei colleghi che con me hanno portato avanti il processo, posso dire che per certi versi chi affronta questo tipo di processi già sa di esporsi a dei rischi, quindi le notizie su possibili ritorsioni non mi hanno meravigliato più di tanto. So di aver trattato tutti i partecipanti al processo nello stesso modo e con il massimo equilibrio e penso che questo venga apprezzato anche dai destinatari delle sentenze. Ho dovuto modificare alcune abitudini e restringere i miei momenti di libertà. Ma già da un po’ credo che il livello di rischio si sia attenuato... continua
di Marilù Musto
La sentenza è lì, sullo scaffale della libreria del suo ufficio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Accanto, poco distante, una cartolina di Edgar Degas con la ballerina che indossa le scarpette da danza. Da un lato il lavoro, duro ed estenuante; dall’altro i colori, l’arte e l’attrazione per tutto ciò che è bello, variopinto, raffinato. È tutto ciò Raffaello Magi, il giudice estensore della sentenza Spartacus I, in primo grado. Le due immagini, dei faldoni e della ballerina, racchiudono il suo mondo. Cominciamo ad intervistarlo facendogli una domanda chiara, secca, lapidaria.
Cos’è stato Spartacus I?
Il processo Spartacus ha segnato l’inizio di una nuova fase di ricostruzione delle vicende criminali, che hanno interessato la provincia di Caserta e, per certi versi, l’intera regione Campania. L’ultimo accertamento importante sull’associazione camorristica di Bardellino risaliva al 1986 e vi era la necessità di riempire un vuoto di tipo storico sulla stessa nascita della organizzazione nota come "clan dei Casalesi". Dopo questa sentenza nessuno potrà mettere in dubbio l’esistenza e l’ascesa di un nuovo gruppo, nato come gemmazione dal precedente, con a capo Francesco Schiavone "Sandokan" e Vincenzo De Falco. Possiamo dire che nella storia giudiziaria campana esiste un prima e un dopo Spartacus. Nel senso che già dopo la sentenza di primo grado è stato possibile in tanti altri processi affermare l’esistenza del clan e ricostruire omicidi, estorsioni e altre attività compiute negli anni successivi.
Dopo tre anni dalla deposizione delle motivazioni della sentenza di primo grado, scritta da lei, sono state depositate le motivazioni del secondo grado di giudizio che seguono la via tracciata dal suo verdetto. Sono state confermate le sedici condanne all’ergastolo per i capi dell’organizzazione. Cosa ne pensa?
Da un lato c’è una grande soddisfazione, dall’altro c’è attesa per la definizione del secondo troncone del processo principale, che riguarda essenzialmente l’attività di numerosi soggetti, anche di imprenditori collegati all’organizzazione, specie nel settore della realizzazione delle opere pubbliche e della fornitura del calcestruzzo. Purtroppo i tempi lunghi del giudizio di appello rischiano in questo caso di azzerare i risultati ottenuti in primo grado e aprire le porte alla prescrizione del reato.
In che modo Spartacus I ha segnato la sua vita professionale e privata?
Anche nella mia vita esiste un prima e un dopo Spartacus I. Nel senso che l’impegno professionale di quegli anni trascorsi nell’aula bunker è stato talmente grande da costringermi ad accantonare ogni altro progetto, mentre adesso, pur proseguendo nell’attività giudiziaria ordinaria, sento di avere la possibilità di dedicarmi anche ad aspetti organizzativi e collaterali al mio lavoro, che arricchiscono il lato umano e professionale.
Dopo la sentenza in Cassazione delle condanne inflitte ai mafiosi in Sicilia, c’è stato il periodo dell’offensiva della mafia allo Stato, segnata da attentati e dalle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ci si deve aspettare una vendetta simile anche dal clan dei Casalesi? E poi, Il collaboratore di giustizia Luigi Diana ha rivelato ai pm antimafia che il clan la seguiva e sapeva la strada che percorreva per tornare a casa. Le è stata assegnata la tutela. Ma in quel periodo ha avuto paura?
La realtà siciliana era in quegli anni ancor più delicata di quella casertana oggi, perché erano messi in gioco soggetti e fatti di grande rilievo politico e istituzionale, mentre sinora la potenza dei Casalesi sembra essere più di tipo economico e questo rende improbabile un nuovo ricorso al terrorismo stragista, che si è affacciato nella nostra realtà dopo la sentenza di appello. È chiaro però che per essere certi di questo bisognerà aspettare i momenti successivi al verdetto definito.
Per quanto riguarda la mia situazione e quella dei colleghi che con me hanno portato avanti il processo, posso dire che per certi versi chi affronta questo tipo di processi già sa di esporsi a dei rischi, quindi le notizie su possibili ritorsioni non mi hanno meravigliato più di tanto. So di aver trattato tutti i partecipanti al processo nello stesso modo e con il massimo equilibrio e penso che questo venga apprezzato anche dai destinatari delle sentenze. Ho dovuto modificare alcune abitudini e restringere i miei momenti di libertà. Ma già da un po’ credo che il livello di rischio si sia attenuato... continua
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