giovedì 30 giugno 2011

UN CAFFÈ CHE SA DI PULITO

La Rete del Caffè Sospeso combatte contro il monopolio della distribuzione da parte dei clan. In che modo? Incoraggiando le piccole produzioni, magari nate dentro un carcere


di Antonio Puzzi

Dai Setola ai Mallardo, la storia dell’imprenditoria del malaffare in Terra di Lavoro passa per il settore agroalimentare. Negli ultimi anni, si sono moltiplicate le indagini delle forze dell’ordine e le inchieste giornalistiche che hanno portato alla luce fatti spesso noti, ma che le voci del popolo preferivano tacere. Già lo scorso mese “Fresco di Stampa” ha compiuto un viaggio nel mondo del pane “illegale” partendo da Sant’Antimo e analizzando il fenomeno nell’intera area a nord di Napoli con sconfinamenti nell’Agro aversano. Il caso ha voluto che proprio in quei giorni venissero sequestrati al clan dei Polverino oltre un miliardo di euro ottenuti con la distribuzione, forse obbligata, di pane, farine, cereali e carni. Solo dodici mesi fa, invece, l’arresto di Giuseppe Setola aveva messo in chiaro come il Caffè Nobis, una miscela qualitativamente non eccellente prodotta da un’azienda riconducibile secondo le indagini a un bar trentolese, fosse imposta agli esercizi commerciali della provincia di Caserta o comunque distribuita, secondo gli inquirenti, in una maniera non del tutto rispettosa dei crismi della legalità. Di recente, infine, il sequestro dei beni ai Mallardo di Giugliano ha portato a conoscenza delle masse come la stessa trafila riguardasse anche il Caffè Seddio, quasi un monopolio da Castelvolturno al basso Lazio. E con buone probabilità la lista nera dei marchi non è ancora completa.
Importante sottolineare che le accuse non sono state ancora confermate dai processi, ma le indagini iniziate dal 2008 testimoniano un modus operandi tutt’altro che isolato. Per riportare alla luce il valore della legalità in merito al prodotto simbolo di Napoli è nato il progetto di sette festival italiani che si occupano di arti performative e di diritti violati: la Rete del Caffè Sospeso. Ideata in principio per una mutua solidarietà tra le manifestazioni che non godono di grossi sovvenzionamenti pubblici, la Rete ha deciso però di distinguersi, soprattutto nel Napoletano, con una forte azione identitaria. Non a caso, il nome dato al network richiama l’antica pratica, diffusa fino a qualche decennio fa nel capoluogo campano, di entrare in un bar, bere un caffè e pagarne due. Il secondo, per l’appunto “sospeso”, sarebbe stato poi destinato a chi non poteva godere di un bene, se non primario quanto meno simbolico, della civiltà partenopea. Si tratta insomma di un gesto di solidarietà verso un’umanità sconosciuta che si concretizza donando non una necessità, ma la dignità di un piacere.
Maurizio Del Bufalo, coordinatore del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e referente campano della Rete, afferma: «È bene ribadire che nella pratica del Caffè Sospeso non c’è solo solidarietà, ma anche legalità, amicizia, senso della comunità, rispetto dell’altro. Vorremmo soprattutto che questo diventasse un modo in controtendenza di declinare la “napoletanità”, senza sottolineare identità o localismi, ma ribadendo la storia sociale e popolare di una città che non ha mai smesso di ospitare e accogliere, in contrasto con l’atteggiamento sterile di una classe dirigente che stenta moltissimo a rappresentare i bisogni del suo popolo e di una criminalità organizzata che ferocemente si è nutrita di questa distanza». Il funzionamento del meccanismo immobilizzante nella distribuzione dell’oro nero campano ce lo spiega Imma Carpiniello, una delle operatrici della cooperativa Lazzarelle, che offre lavoro alle detenute del carcere femminile di Pozzuoli, per l’appunto producendo caffè: «I grossi monopoli, non sempre direttamente riconducibili ai clan, offrono le attrezzature necessarie ai bar per macinare, preparare e servire il caffè....continua

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