mercoledì 30 dicembre 2009

ECCELLENZE CHE PERDONO… TERRENO

Mozzarella, caso peruto, mela annurca, fragole, oli e vini prestigiosi. Ma le 40 mila aziende agricole del territorio hanno a disposizione sempre meno aree coltivabili


di Francesco Falco


Un organismo sano, incancrenitosi a poco a poco, svuotato dall’interno di tutte le sue eccellenti qualità e colonizzato dall’orrore. Descrivere il settore agro-alimentare di Terra di Lavoro e del Napoletano significa, oggi, affrontare un discorso paradigmatico, guardare ad un modello di sviluppo fallimentare che sta distruggendo la vocazione agricola di un intero territorio. Un’area benedetta dalla sua particolare collocazione geografica, e trasformata in un ricettacolo di escrementi produttivi. Una zona, quella tra le province di Napoli e Caserta, al primo posto per la produzione alimentare. A partire dalla mozzarella di bufala (nella foto, un caseificio), le cui 34 mila tonnellate annue generano un fatturato di oltre 300 milioni di euro, rappresentando l’87% del patrimonio bufalino nazionale nella sola provincia di Caserta. Passando per i 30 vini regionali (molti dei quali Dogc, Doc e Igt), due formaggi millenari (con il "caso peruto" che è il più antico formaggio italiano, risalente a più di duemila anni fa) e attraversando le campagne di Giugliano e Parete in cui spicca la produzione di fragole, fino a giungere a Roccamonfina, nota per la sua castagna del vulcano. È un campionario di prodotti tipici di qualità, come la mela "annurca", i due tipi di olii extravergine di oliva con marchio Igt e come i tre marchi di acque minerali famosi a livello mondiale. La struttura produttiva del territorio racchiuso tra Napoli e Caserta si regge sul comparto agro-zootecnico grazie alla fertilità di un terreno che è circa tre volte superiore alla media nazionale. Le oltre 40 mila aziende che operano su 107 mila ettari di territorio, infatti, hanno una resa produttiva pari a quella di aziende collocate in altre parti d’Italia, ma con un terzo dell’estensione territoriale necessaria: 2,6 ettari per le prime contro i 7,4 delle seconde. Ma questa piacevole prosperità è inquinata da un coacervo di scelte politiche e industriali più che discutibili, che si sommano alle attività criminali riguardanti gli sversamenti abusivi di rifiuti (tossici e non). Edilizia selvaggia e abusiva, desertificazione, pianificazione industriale miope sono solo alcune delle scelleratezze che stanno stravolgendo la naturale predisposizione produttiva del territorio. A convivere con le squisitezze gastronomiche sopra descritte ci sono scempi di ogni natura. Cominciando dagli 800 e passa siti di abbandono incontrollato dei rifiuti, passando per le 458 cave (376 abbandonate o chiuse, 46 autorizzate e 36 abusive) localizzate in 75 dei 104 comuni casertani: numeri che segnalano la più alta concentrazione di cave al mondo... continua

«UNA MOBILITAZIONE PER I BENI CONFISCATI»

Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, chiede a cittadini e istituzioni di difendere i risultati della Legge 106/96. Ecco perché


di Rosanna Marino


Tredici anni fa, la legge n. 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie prevedeva l’assegnazione dei patrimoni di provenienza illecita ad associazioni, cooperative, enti locali, ovvero quei soggetti in grado di restituirli alla cittadinanza tramite servizi, attività sociali e lavoro. Oggi, un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. Che impatto avrà questa nuova disposizione? Qual è la reazione di chi da anni lotta contro le mafie? Lo abbiamo chiesto a don Luigi Ciotti (nella foto), presidente dell’associazione "Libera: nomi e numeri contro le mafie".
Come reagisce Libera nei confronti della norma?
Con una nuova mobilitazione della "società responsabile", simile a quella che tredici anni fa ha accompagnato il cammino della legge 109 in Parlamento. Oggi come allora, attraverso la raccolta firme in tante piazze e su Internet, le foto-petizioni pubblicate sul nostro sito e le campagne di sensibilizzazione, intendiamo ribadire che i beni confiscati appartengono a tutti gli italiani onesti e che affidarli alla collettività è la scelta più giusta perché significa trarne una ricchezza diversa, fatta di condivisione, opportunità e diritti. La nostra mobilitazione è la testimonianza che molti italiani temono gli effetti della norma e la posizione apertamente contraria di diversi schieramenti politici è un segnale incoraggiante. Purtroppo la decisione di sottoporre la legge finanziaria al voto di fiducia ha complicato le cose, impedendo di fatto alla Camera e prevedibilmente anche al Senato di confrontarsi su quel singolo argomento.
«Niente regali alle mafie, i beni confiscati sono cosa nostra»: è l’appello che Libera lancia all’Italia, ai suoi cittadini e alle sue istituzioni. Cosa chiede agli uni e agli altri?
Ai cittadini chiediamo di mettersi in gioco per dimostrare che i beni confiscati li sentiamo davvero "cosa nostra". A Governo e Parlamento chiediamo invece di ripensarci e ritirare la norma, perché rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio. Conoscendo le capacità di manovra della criminalità organizzata, le intimidazioni di cui si serve per mettere fuori gioco i possibili concorrenti, la rete di prestanome cui si appoggia per aggirare ogni controllo, è facile pensare che i primi a farsi avanti alle aste pubbliche dei beni saranno proprio i boss. Per questo motivo il timore che le mafie riescano a riappropriarsi dei loro patrimoni non ci pare per nulla infondato.
Cosa pensa dell’annuncio del ministro Roberto Maroni riguardo la creazione di un’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati ai mafiosi?
L’istituzione di un’unica Agenzia nazionale per i beni confiscati è una proposta che Libera avanza da tempo e siamo lieti che il ministro l’abbia fatta propria. Speriamo che alle intenzioni seguano i fatti e che questo strumento non si trasformi in una sorta di "agenzia immobiliare" che si limiti a gestire la vendita dei beni... continua

BASSOLINO A SEI MESI DALLA SENTENZA

Potrebbe arrivare entro giugno 2010 il verdetto per gli otto reati contestati al governatore
in materia di ambiente e gestione del ciclo rifiuti


di Alessandro Pecoraro


Ho visto con i miei occhi, nelle fosse dei rifiuti, perfino motori di lavatrici o frigoriferi interi». Queste dichiarazioni sono di Maurizio Avallone, ex dirigente del Seam (Servizio di emergenza ambientale) dell’Arpa Campania che, interrogato pochi giorni fa dai Pm di Napoli, Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, ha denunciato la gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Campania tra il 2000 e il 2004. L’interrogatorio rientra all’interno di un processo partito nel maggio del 2008, che vede ben 28 imputati tra politici, dirigenti e imprenditori, e che ha l’obiettivo di far luce sulle irregolarità nella gestione del ciclo dei rifiuti in Campania. Si tratta del processo Impregilo-Bassolino.
Le indagini, partite nella primavera del 2003, svelerebbero un fitto sistema di tipo affaristico-clientelare in cui gli unici a guadagnarci sarebbero stati imprenditori e politici campani, tra cui spiccano i nomi di Antonio Bassolino e dei vertici di Impregilo. Il governatore è sospettato di aver commesso ben otto reati differenti, tra cui frode in pubbliche forniture, concorso in truffa aggravata, interruzione di pubblico servizio, concorso in violazione delle normative ambientali, abuso d’ufficio e falso. I vertici della multinazionale, invece, sono accusati di aver bruciato un finanziamento di oltre 200 milioni di euro, versato dal Governo italiano per la gestione, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti in Campania. Secondo l’accusa, Bassolino, nel momento in cui era stato nominato commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, non avrebbe esercitato il suo dovere di controllo, «perseguendo un disegno criminale volto a non superare l’emergenza». Per Noviello e Sirleo, il presidente della Regione non poteva non essere a conoscenza della condotta dei gestori degli impianti – le imprese consorziate Impregilo, Fibe e Fisia – che sovraccaricavano gli impianti, disincentivando la raccolta differenziata e provocando uno svernamento in discarica di oltre il 50% dei rifiuti anziché del 15% stabilito dal piano per l’emergenza. I magistrati ritengono, inoltre, che il governatore della Campania sarebbe stato complice del mancato avviamento della raccolta differenziata, della realizzazione di impianti Cdr non a norma e di ritardi nella costruzione del termovalorizzatore di Acerra, entrato in funzione solo nel gennaio del 2009... continua

venerdì 4 dicembre 2009

LA TERRA DEI MILLE ABUSI

Agro aversano, Orta di Atella, litorale domizio. E poi la cintura napoletana, fino a Casalnuovo, dove è sorto un intero quartiere mai condonato. E le pratiche sono sparite


di Mario Del Franco e Nunzia Lombardi


L’Agro aversano a detenere il triste primato del «maggior numero di abusi edilizi su quelli compiuti in tutta la provincia di Caserta», a detta dell’assessorato regionale all’Urbanistica. 10 mila manufatti abusivi sui 15 mila presenti su tutto il territorio provinciale, 5 mila tra Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e Villa Literno, 1.320 nel solo comune di San Cipriano, costituiscono il fulcro dell’incidenza del fenomeno, secondo Donato Ceglie, Sostituto Procuratore a Santa Maria Capua Vetere, che spiega: «Queste forme di abusivismo sono determinate da uno sviluppo urbanistico selvaggio, che costituisce il precipitato diretto sul territorio delle dinamiche criminali legate al cemento e del patto scellerato tra le organizzazioni criminali, che gestiscono il territorio, e gli abitanti del territorio stesso».
Senza contare che, chiosa Ceglie, «tra tali manufatti abusivi sono probabilmente compresi anche i bunker protetti da sistemi di telecamere a circuito chiuso, che danno rifugio ai latitanti e che andranno assolutamente abbattuti – aggiunge il Pm – perché la legge torni a controllare il territorio».
Casi analoghi sono costituiti dai comuni di Orta di Atella, attualmente oggetto di indagini che stanno verificando, secondo fonti interne alla Procura, l’eventuale carattere abusivo di ben 25 mila vani, costruiti con il benestare dell’Ufficio tecnico comunale (vedi servizio a pagina 12, ndr), e Marcianise, che fa registrare 4 mila costruzioni non a norma, dove la cementificazione selvaggia «è stata perpetrata – spiega Ceglie – anche attraverso un uso discorsivo, particolarmente raffinato, degli strumenti normativi in materia di urbanistica, soggetti alla competenza delle amministrazioni comunali».
Altra questione è il litorale domizio, dove a parte le circa 5 mila tra villette e baracche abusive, sorte a partire dagli anni ’80 in località Pantano, su territorio di competenza dei comuni di Cellole e Sessa Aurunca, e la tristemente nota aberrazione del Villaggio Coppola Pinetamare (nella foto), continuano ad essere praticate forme di abusivismo finalizzate – nota ancora il magistrato – «allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina in un quadro di alleanze tra organizzazioni criminali autoctone e d’importazione, per la gestione di affari legati a droga e prostituzione». Soprattutto alloggi per migranti irregolari.
Dunque l’assessorato regionale competente può, a ragion veduta, definire l’abusivismo casertano come «una vera catastrofe, troppo spesso favorita dalle amministrazioni comunali, che non vedono certi fenomeni o fingono di non vederli».
A maggior ragione se, come afferma Ceglie, «ben 30 mila istanze presentate in tutta la provincia per beneficiare degli ultimi tre condoni edilizi non sono ancora state valutate dagli Utc, in assenza della quale valutazione non possiamo ancora sapere quante di queste costruzioni sono, in effetti, non a norma»; di conseguenza, le stime riguardanti il numero di manufatti illeciti «andrebbero probabilmente riviste al rialzo del cinquanta per cento». Fanno almeno 30 mila costruzioni: un mare di cemento abusivo.
«Nessuno parla e intanto nei nostri territori è tutto un brulicare di asfalto e cemento, gestito dalle solite, note, imprese in odore di camorra». Così Amato Lamberti, l’ex verde, già presidente della Provincia di Napoli, sentenzia sulla situazione degli abusi edilizi della nostra regione.
Non è un caso allora che sia complicato trovare dati aggiornati sulla questione. L’unico studio in nostro possesso è stato redatto da Legambiente ma è fermo al 2000, cioè agli ultimi due condoni.
Emblematico è il caso di Ischia, che Legambiente definisce «l’isola leader della cementificazione selvaggia». Il Procuratore aggiunto della Repubblica di Napoli, Aldo De Chiara, ha manifestato l’intenzione di procedere con 500 abbattimenti, ma il vescovo del luogo ha chiesto di evitare «il legalismo esasperato, in attesa del Piano Casa»... continua

LA BRUTTA STAGIONE DEL SOTTOSEGRETARIO

Guai su guai per Nicola Cosentino. All’inchiesta della magistratura si aggiungono i controlli della Finanza sull’azienda di famiglia


di Marilena Natale


Le due vicende sono separate, ma stanno dando del filo da torcere al sottosegretario all’Economia del Governo Berlusconi, Nicola Cosentino (nella foto). Sia la richiesta di arresto firmata dal Gip, Raffaele Piccirillo, sia la recente verifica fiscale della Guardia di finanza eseguita nella sede dell’Aversana Petroli, azienda della famiglia Cosentino, hanno alzato un grosso polverone. Dal 1975, anno di nascita della società di Casal di Principe leader in Campania nella compravendita di carburanti, mai erano stati passati al setaccio i conti dell’impresa, nonostante avesse un fatturato molto alto. Evidentemente, in conseguenza dell’inchiesta che ha coinvolto il sottosegretario, si sono accesi i riflettori anche sull’Aversana Petroli, la stessa azienda verso cui erano diretti i vagoni ferroviari che hanno provocato il disastro di Viareggio il 29 giugno scorso.
Ad inserire l’impresa della famiglia Cosentino nel programma di verifiche 2009, approvato dai vertici provinciali e regionali della Guardia di finanza, è stato il comandante del Nucleo tributario, il tenente colonnello Michele Iadarola. L’ufficiale, accompagnato da otto uomini, si è recato personalmente a Casal di Principe per avviare l’operazione di controllo. I finanzieri sono rimasti all’interno dell’azienda dei Cosentino diverse settimane, per leggere e analizzare tutte le carte legate all’attività dell’Aversana Petroli. La società ha sempre dichiarato fatturati elevatissimi. Già nel 2002, l’autorità garante della concorrenza, con un dispositivo di non luogo a procedere per un contenzioso con l’Agip, a proposito di un distributore di benzina di Qualiano, aveva accertato che la società dei Cosentino fatturava 32 milioni di euro (fatturato dell’anno 2000, ndr). A distanza di dieci anni, sembrerebbe (non ci sono atti scritti, ndr) che, addirittura, gli introiti siano saliti a 80 milioni di euro. La cifra viene giustificata dall’ampliamento degli orizzonti imprenditoriali della famiglia Cosentino. Il gruppo si è man mano ingrandito e ora può contare sull’Aversana gas, l’Aversana Petroli, l’Ip Service (pompe di benzina), l’Immobiliare 6C e l’Agripont. Nicola Cosentino, allo stato attuale, non ha alcun ruolo all’interno di queste aziende. La gestione è nelle mani dei fratelli Mario, Giovanni e Antonio.
In particolare, l’anima imprenditrice della famiglia è rappresentata da Giovanni Cosentino che è stato anche colui che ha avuto il compito di fare, se così si può dire, da cerimoniere per la Guardia di finanza durante l’ispezione. Giovanni è proprietario sia del palazzo del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, avuto in fitto negli anni dell’amministrazione di centrosinistra, guidata dall’attuale segretario del Partito democratico Enzo Iodice, sia della sede del liceo scientifico di Aversa "Giancarlo Siani". Per far capire l’anima imprenditrice di Giovanni è utile ricordare proprio un episodio relativo a questo contratto di fitto. Il contratto è stato stipulato sotto la gestione di Riccardo Ventre, esponente di Forza Italia come il fratello Nicola, ma è stato rimpolpato sotto la gestione di Sandro De Franciscis, leader del centrosinistra, passando da circa 600 mila euro all’anno, a poco meno di 900 mila... continua

«IL CENTROSINISTRA EMARGINI I SUOI EMARGINI I SUOI

Antonio Di Pietro non fa sconti agli "amici": l’alleanza col Pd passa attraverso l’esclusione delle
candidature di chi è sotto processo. Soprattuto in Campania


di Mario Tudisco


«Nicola Cosentino è davvero – o almeno di questo lui è pienamente convinto – il Silvio Berlusconi della Campania. Nel senso che, seguendo alla lettera l’insegnamento dell’uomo di Arcore, vuole utilizzare la politica per annacquare la sua posizione giudiziaria, che è gravissima, da ogni punto di vista la si voglia inquadrare. E devo dire che fa bene quella sparuta parte del centrodestra che non lo vuole governatore a opporsi a una nomination che, giusto per usare un eufemismo, è scandalosa ed espone l’Italia tutta alle critiche dei paesi europei civilizzati».
Non fa sconti a nessuno l’ex Pm di "Mani Pulite" Antonio Di Pietro (nella foto), che sulla questione dei presunti rapporti intercorsi tra l’attuale sottosegretario alle Finanze e i clan Casalesi non ammette distinguo di alcun genere. Per Di Pietro, dunque, il caso Cosentino è solo un caso giudiziario inquietante e non deve, nella maniera più assoluta, trasformarsi nell’ennesima querelle tra politici e magistrati. Magistrati a cui, da buon ex collega, esprime la massima solidarietà.
Onorevole Di Pietro, quasi l’intero Popolo della libertà e, naturalmente, l’interessato parlano di una campagna giudiziaria ai danni di un candidato forte e vincente. L’obiezione è che le indagini sull’onorevole Cosentino risalgono a tantissimi anni fa e solo ora la magistratura le ha tirate fuori dal cassetto…
Guardi, ciò che dicono questi signori è falso. È vero che le indagini, scaturite a seguito delle dichiarazioni di alcuni pentiti, risalgono agli anni Novanta. Ma è pur vero che, secondo gli inquirenti, i rapporti tra Cosentino e i camorristi non si sono mai interrotti. E in questo fa fede il capo d’imputazione laddove, se non erro a pagina cinque, è detto che tali rapporti esistono tuttora. Ma a parte ciò, il nostro sistema giudiziario non prevede una prescrizione ab origine per reati di questo genere. Le faccio un esempio: le accuse contro Totò Riina risalgono alla notte dei tempi. Ma non per questo non si è proceduto all’arresto del capo della mafia siciliana. Che doveva fare, secondo Cosentino, il Gip Raffaele Piccirillo? Archiviare il tutto solo perché le vicende risalgono a quindici anni fa? Ma stiamo scherzando?
Qual è l’orientamento dell’Italia dei valori per le elezioni regionali campane e per le candidature alla presidenza della provincia di Caserta?
Per Caserta ci stiamo attrezzando a correre da soli se il centrosinistra continuerà a "cosentineggiare", nel senso che non mi sembra affatto che in questa zona così delicata del Paese ci sia la volontà di candidare uomini di spessore e in netta discontinuità con il passato. Analogo ragionamento lo posso fare anche per la Regione. Ai nostri possibili alleati lo abbiamo detto chiaro e tondo: o si cambia registro e si individuano programmi e personaggi all’altezza della situazione e che non siano uomini di Antonio Bassolino (nella foto), oppure ognuno andrà per la propria strada. Guardi che per l’Idv non è mica un problema correre da soli. Anzi, se vogliamo ragionare in termini egoistici, ci converrebbe pure, in quanto intercetteremmo elettoralmente gran parte del diffuso dissenso che esiste in Campania, sia nei confronti dei "berluschini" sia nei confronti del centrosinistra. Mi voglio però augurare che l’ex Ulivo rinsavisca: terremo le porte aperte fino all’ultimo... continua