I dati disponibili sulla crescita dell’economia a Napoli e Caserta parlano di lievi incrementi della produzione per il 2011. Ma la disoccupazione continua a crescere
di Mario Del Franco
Mentre gli effetti della disastrosa crisi finanziaria del 2009 tendono finalmente ad un graduale ridimensionamento, con l’economia mondiale in netto miglioramento, trainata dallo sviluppo dei paesi emergenti, e le economie avanzate in maggiore difficoltà, oscillanti tra il 3-4% di crescita nel 2010 della Germania da un lato, e gli 1,3 punti percentuali guadagnati dal Prodotto interno lordo italiano nel corso del medesimo anno, qual è lo stato dell’economia in Campania, e in particolare nelle province di Napoli e Caserta? Sono visibili, come si può dire accada sul piano nazionale, alcuni, sia pur timidi, segnali di ripresa? I dati più recenti circa l’andamento del sistema economico-produttivo della regione campana non sono affatto confortanti: «Il deficit strutturale determinato da una serie di fattori, dalle infrastrutture all’incapacità di utilizzare i fondi europei, a un tessuto produttivo privo di eccellenze – fanno sapere da Confindustria Campania – hanno inciso negativamente sui segnali di ripresa, che ancora tardano a manifestarsi: nel primo trimestre 2011 si è riscontrata un’ulteriore riduzione del Pil regionale dello 0,6% rispetto all’anno precedente, che si accompagna a dati anche maggiormente preoccupanti, come una diminuzione dell’occupazione di ben il 40%, con un tasso di disoccupazione che si attesta intorno al 16,9%».
Per quanto riguarda nel dettaglio le province di Napoli e Caserta, quanto emerge dai Bollettini Statistici elaborati sulla base di dati Istat dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne per Unioncamere, in occasione della IX Giornata dell’economia del 6 maggio scorso, non lascia ancora parlare di un’inversione di tendenza rispetto alla spirale recessiva del 2008-2009: anche in questo caso, le gravi criticità strutturali – ad esempio un sistema produttivo caratterizzato dalla predominanza, in particolare per quanto riguarda Caserta, di imprese piccole e poco strutturate; l’ombra della criminalità organizzata, che determina squilibri e distorsioni del mercato; un mercato del lavoro che presenta indicatori di segno perennemente negativo – nel 2010 hanno impedito di agganciare la pur timida ripresa nazionale, con un aumento del Pil soltanto dello 0,4% per Caserta e dello 0,1% per Napoli.
Per quanto concerne le previsioni per il 2011, sembra invece esservi spazio per un cauto ottimismo: a Caserta non si vede ancora una variazione di segno positivo né per il fatturato (-0,1%), né per la produzione (-0,8%), con il settore edile e il terziario in maggiore difficoltà rispetto all’agricoltura e al comparto manifatturiero; a Napoli la situazione è invece leggermente migliore – con un incremento complessivo del fatturato del 2,0% e un calo della produzione dello 0,4% – per tutti i comparti economici tranne il manifatturiero, che lascia registrare ancora un arretramento del 1,2% circa il volume di affari. Moderatamente confrontante, sia per la regione nel suo insieme, sia per la provincia casertana, il dato riguardante gli investimenti: in Campania, secondo Confindustria, «si prevedono stanziamenti di risorse pari all’1,35% per ricerca e sviluppo e al 30,1% per l’innovazione», mentre a Caserta si prevede un aumento complessivo del 2,3%; in controtendenza la provincia di Napoli, per la quale si stima una riduzione degli investimenti dell’1,5%. Sempre drammatico, tuttavia, lo stato dell’occupazione, sia, come già accennato, in Campania, sia per ciascuna delle due province prese in esame: per Caserta e Napoli si prevede ancora un dato di segno negativo, pari rispettivamente a -3,3% e -1,5%...continua
mercoledì 31 agosto 2011
LACRIME E SANGUE PER IL SUD
La manovra finanziaria recentemente varata dal Governo condanna le regioni meridionali a un quadriennio di sacrifici. Stop ai fondi per risanare l’emergenza rifiuti
di Alessandro Pecoraro
Dalle infrastrutture alle politiche per occupazione e formazione; dai bonus per la riduzione dell’Ici al costo per la manutenzione del termovalorizzatore di Acerra; dalla sanità all’edilizia scolastica; dagli ammortizzatori sociali al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, fino all’emergenza rifiuti in Campania. È una manovra finanziaria che qualcuno ha definito «lacrime e sangue» quella approvata quest’estate dal Parlamento italiano. Una manovra che forse salverà l’Italia dalla bancarotta, ma di certo non salverà il Meridione dall’enorme crisi strutturale economico finanziaria. La manovra da 87 miliardi (spalmata in un arco temporale di tre anni e mezzo), prevede in pratica tagli lineari a qualsiasi attività finanziata dallo Stato. Ad essere colpito sarà soprattutto il sud Italia. I tagli maggiori, infatti, riguardano il fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) che è stato depauperato di oltre il 10%. Circa 2 miliardi e mezzo di euro in meno che influiranno sicuramente nelle politiche meridionali.
I tagli avranno degli effetti devastanti soprattutto in quei settori in cui le regioni hanno gravi deficit di bilancio.
In Campania, ad esempio, a subire le maggiori conseguenze sarà il settore della sanità. I miliardi di debiti accumulati dalla cattiva gestione della cosa pubblica, uniti al federalismo fiscale e ai tagli ai fondi strutturali, metteranno in ginocchio l’intero sistema sanitario campano. Ma una situazione simile si avrà anche con i rifiuti. Il taglio ai Fas riguarda anche il finanziamento per l’emergenza, un ridimensionamento che produrrà ostacoli per un’eventuale costruzione di nuovi impianti di smaltimento e compostaggio dei rifiuti.
Secondo il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, per le regioni del Sud, l’impatto della manovra da qui ai prossimi quattro anni sarà insostenibile: «A meno di non ridurre o eliminare del tutto i livelli essenziali delle prestazioni, bisognerà continuare ad intervenire su servizi, sanità, welfare e trasporti pubblici. Siamo alla terza manovra consecutiva che ci impone tagli e correzioni. Per la Campania, al netto del piano di riordino della sanità, sono già previsti 480 milioni di euro in meno e con la nuova manovra ci sarà un’ulteriore inevitabile riduzione dei servizi». È inaccettabile, secondo Caldoro, che l’impronta di tutto il provvedimento sia stata data dalla Lega: «Andavano inserite coperture più coraggiose, anticipando l’innalzamento dell’età pensionabile al primo anno e intervenendo sulle pensioni più ricche, sui consumi con un lieve ritocco all’Iva e introducendo una patrimoniale sui redditi alti: così si sarebbe impedita l’ennesima stangata sulle regioni e gli enti locali, evidentemente questo alla Lega non conveniva»...continua
di Alessandro Pecoraro
Dalle infrastrutture alle politiche per occupazione e formazione; dai bonus per la riduzione dell’Ici al costo per la manutenzione del termovalorizzatore di Acerra; dalla sanità all’edilizia scolastica; dagli ammortizzatori sociali al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, fino all’emergenza rifiuti in Campania. È una manovra finanziaria che qualcuno ha definito «lacrime e sangue» quella approvata quest’estate dal Parlamento italiano. Una manovra che forse salverà l’Italia dalla bancarotta, ma di certo non salverà il Meridione dall’enorme crisi strutturale economico finanziaria. La manovra da 87 miliardi (spalmata in un arco temporale di tre anni e mezzo), prevede in pratica tagli lineari a qualsiasi attività finanziata dallo Stato. Ad essere colpito sarà soprattutto il sud Italia. I tagli maggiori, infatti, riguardano il fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) che è stato depauperato di oltre il 10%. Circa 2 miliardi e mezzo di euro in meno che influiranno sicuramente nelle politiche meridionali.
I tagli avranno degli effetti devastanti soprattutto in quei settori in cui le regioni hanno gravi deficit di bilancio.
In Campania, ad esempio, a subire le maggiori conseguenze sarà il settore della sanità. I miliardi di debiti accumulati dalla cattiva gestione della cosa pubblica, uniti al federalismo fiscale e ai tagli ai fondi strutturali, metteranno in ginocchio l’intero sistema sanitario campano. Ma una situazione simile si avrà anche con i rifiuti. Il taglio ai Fas riguarda anche il finanziamento per l’emergenza, un ridimensionamento che produrrà ostacoli per un’eventuale costruzione di nuovi impianti di smaltimento e compostaggio dei rifiuti.
Secondo il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, per le regioni del Sud, l’impatto della manovra da qui ai prossimi quattro anni sarà insostenibile: «A meno di non ridurre o eliminare del tutto i livelli essenziali delle prestazioni, bisognerà continuare ad intervenire su servizi, sanità, welfare e trasporti pubblici. Siamo alla terza manovra consecutiva che ci impone tagli e correzioni. Per la Campania, al netto del piano di riordino della sanità, sono già previsti 480 milioni di euro in meno e con la nuova manovra ci sarà un’ulteriore inevitabile riduzione dei servizi». È inaccettabile, secondo Caldoro, che l’impronta di tutto il provvedimento sia stata data dalla Lega: «Andavano inserite coperture più coraggiose, anticipando l’innalzamento dell’età pensionabile al primo anno e intervenendo sulle pensioni più ricche, sui consumi con un lieve ritocco all’Iva e introducendo una patrimoniale sui redditi alti: così si sarebbe impedita l’ennesima stangata sulle regioni e gli enti locali, evidentemente questo alla Lega non conveniva»...continua
LE MAFIE CHE NON SI PIEGANO
Sono quelle arroccate nelle amministrazioni e negli enti, dove condizionano la vita della democrazia. E, secondo il giornalista Nello Trocchia, non conoscono confini: dal Piemonte alla Sicilia, attraversano l’intera penisola italiana penetrando nel tessuto economico
di Eliana Iuorio
Incontro con il giornalista Nello Trocchia, autore del bestseller La Peste, pubblicato da Rizzoli, scritto a quattro mani con Tommaso Sodano, attuale vicesindaco e assessore all’Ambiente della giunta De Magistris. È con Federalismo criminale (Nutrimenti editore, 2009) che Trocchia segna il suo debutto in qualità di scrittore, nell’affrontare e analizzare un tema spinoso e quanto mai attuale: le infiltrazioni della camorra nel cuore delle stituzioni locali.
Nel “federalismo criminale”, per il quale parli di “mafie sotto casa”, chi sono le vittime e chi i carnefici?
Sono dell’idea che le vittime siano sicuramente i cittadini; per paradosso, possono anche essere carnefici di se stessi, però nel senso che scelgono liberamente chi votare, a chi affidare le chiavi delle istituzioni e degli enti locali.
Le tangenti e la corruzione dilagante negli enti rappresentano il malcostume che lega la politica all’interesse criminale. Ha visto sciogliersi una Asl in Campania ed una Asp a Reggio Calabria…
Abbiamo avuto il caso dello scioglimento della Asl Napoli 4 nel 2005: la prima Azienda sanitaria locale ad essere azzerata in Italia, e medesima sorte è toccata alla Asp in Calabria. A Napoli, in particolare, nell’Asl Napoli 4, con sede a Pomigliano d’Arco, si evidenziarono i condizionamenti delle famiglie criminali dei Fabbrocino (egemoni nel vesuviano), dei Russo, degli Alfieri, con il solito schema delle ditte che condizionavano quella Azienda sanitaria prestando forniture e servizi (sempre tesi al risparmio economico e al maggior profitto); si andava dalla vigilanza alla mensa alla erogazione di altri tipi di servizi. È la dimostrazione che le organizzazioni mafiose devono essere inevitabilmente intese come strutture che erogano servizi, e che intermediano l’esercizio della democrazia e del diritto tra i cittadini e le istituzioni; non possono essere limitate e confinate alla sola presenza e attività violenta di boss e criminali efferati.
Il caso di Bardonecchia, in Piemonte, è dimostrazione di quanto le mafie possano insediarsi facilmente, ove c’è consenso. Clientele e corrotte operazioni immobiliari. Il Comune è stato sciolto nel ’95. A Barcellona, in Sicilia, invece, la mafia è granitica; tu dici che “non si scioglie”…
Sì, citi due casi che sono rappresentativi del fenomeno: Bardonecchia, in provincia di Torino (sciolto nel ’95), dove egemoni erano la famiglia Lopresti, nel ramo imprenditoriale degli appalti e le famiglie di ’ndrangheta, ivi insediate dagli anni ’70, che controllano soprattutto il movimento terra, i grandi appalti e i subappalti per le grandi opere, come autostrade o ferrovie. Nulla si è fermato e da quello scioglimento in avanti, la ’ndrangheta in particolare, condizionerà molto i Comuni del nord Italia, basti pensare al recente scioglimento di Bordighera, in Liguria. L’altro Comune che citavi, Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, mai sciolto per infiltrazione mafiosa, apre il grande tema della mafia granitica; cioè, quando dico “mafia”, parlo sempre di rapporti strutturali con il potere politico (naturalmente esiste la politica senza mafia, ma non ci sarà mai una mafia senza politica, senza appoggi politici).
Non è il solo caso di mancato scioglimento; famoso quello di Fondi, ma sono famose anche le tante storie di zone, enti, territori che nonostante i continui arresti e le contiguità dimostrate, siano state risparmiate dalle Commissioni di accesso, da parte della Prefettura e del Ministero dell’Interno. C’è molta sottovalutazione, molto disinteresse al tema dell’intreccio tra mafia e politica. Barcellona ne è sicuramente un esempio, ma è una “linea di governo” che si sta imponendo non solo nelle aree a tradizionale presenza mafiosa, ma anche in altre aree del Paese: colpire militarmente le mafie, mentre si tace degli accordi e dell’intreccio con il potere politico e imprenditoriale...continua
di Eliana Iuorio
Incontro con il giornalista Nello Trocchia, autore del bestseller La Peste, pubblicato da Rizzoli, scritto a quattro mani con Tommaso Sodano, attuale vicesindaco e assessore all’Ambiente della giunta De Magistris. È con Federalismo criminale (Nutrimenti editore, 2009) che Trocchia segna il suo debutto in qualità di scrittore, nell’affrontare e analizzare un tema spinoso e quanto mai attuale: le infiltrazioni della camorra nel cuore delle stituzioni locali.
Nel “federalismo criminale”, per il quale parli di “mafie sotto casa”, chi sono le vittime e chi i carnefici?
Sono dell’idea che le vittime siano sicuramente i cittadini; per paradosso, possono anche essere carnefici di se stessi, però nel senso che scelgono liberamente chi votare, a chi affidare le chiavi delle istituzioni e degli enti locali.
Le tangenti e la corruzione dilagante negli enti rappresentano il malcostume che lega la politica all’interesse criminale. Ha visto sciogliersi una Asl in Campania ed una Asp a Reggio Calabria…
Abbiamo avuto il caso dello scioglimento della Asl Napoli 4 nel 2005: la prima Azienda sanitaria locale ad essere azzerata in Italia, e medesima sorte è toccata alla Asp in Calabria. A Napoli, in particolare, nell’Asl Napoli 4, con sede a Pomigliano d’Arco, si evidenziarono i condizionamenti delle famiglie criminali dei Fabbrocino (egemoni nel vesuviano), dei Russo, degli Alfieri, con il solito schema delle ditte che condizionavano quella Azienda sanitaria prestando forniture e servizi (sempre tesi al risparmio economico e al maggior profitto); si andava dalla vigilanza alla mensa alla erogazione di altri tipi di servizi. È la dimostrazione che le organizzazioni mafiose devono essere inevitabilmente intese come strutture che erogano servizi, e che intermediano l’esercizio della democrazia e del diritto tra i cittadini e le istituzioni; non possono essere limitate e confinate alla sola presenza e attività violenta di boss e criminali efferati.
Il caso di Bardonecchia, in Piemonte, è dimostrazione di quanto le mafie possano insediarsi facilmente, ove c’è consenso. Clientele e corrotte operazioni immobiliari. Il Comune è stato sciolto nel ’95. A Barcellona, in Sicilia, invece, la mafia è granitica; tu dici che “non si scioglie”…
Sì, citi due casi che sono rappresentativi del fenomeno: Bardonecchia, in provincia di Torino (sciolto nel ’95), dove egemoni erano la famiglia Lopresti, nel ramo imprenditoriale degli appalti e le famiglie di ’ndrangheta, ivi insediate dagli anni ’70, che controllano soprattutto il movimento terra, i grandi appalti e i subappalti per le grandi opere, come autostrade o ferrovie. Nulla si è fermato e da quello scioglimento in avanti, la ’ndrangheta in particolare, condizionerà molto i Comuni del nord Italia, basti pensare al recente scioglimento di Bordighera, in Liguria. L’altro Comune che citavi, Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, mai sciolto per infiltrazione mafiosa, apre il grande tema della mafia granitica; cioè, quando dico “mafia”, parlo sempre di rapporti strutturali con il potere politico (naturalmente esiste la politica senza mafia, ma non ci sarà mai una mafia senza politica, senza appoggi politici).
Non è il solo caso di mancato scioglimento; famoso quello di Fondi, ma sono famose anche le tante storie di zone, enti, territori che nonostante i continui arresti e le contiguità dimostrate, siano state risparmiate dalle Commissioni di accesso, da parte della Prefettura e del Ministero dell’Interno. C’è molta sottovalutazione, molto disinteresse al tema dell’intreccio tra mafia e politica. Barcellona ne è sicuramente un esempio, ma è una “linea di governo” che si sta imponendo non solo nelle aree a tradizionale presenza mafiosa, ma anche in altre aree del Paese: colpire militarmente le mafie, mentre si tace degli accordi e dell’intreccio con il potere politico e imprenditoriale...continua
giovedì 30 giugno 2011
CARO VACANZE, LE RINUNCE DELLE FAMIGLIE
Andare in ferie costa il 4% in più rispetto allo scorso anno: aumentano i last minute e i viaggi in economia. Il ministro tira fuori i Buoni Vacanze, ma pochi vi ricorrono
di Marianna Tavoletta
Secondo il monitoraggio effettuato dall’Onf (Osservatorio nazionale federconsumatori), quest’anno una tradizionale vacanza al mare di una settimana, per una famiglia composta da due adulti e due ragazzi che viaggia in auto, costerà il 4% in più rispetto all’anno scorso. Anche la vacanza da pendolari aumenterà: la stessa famiglia per una giornata al mare spenderà in media 76,20 euro, pari al 12% in più rispetto al 2009, in un parco acquatico il 5% in più. I rincari sono dovuti soprattutto all’aumento del costo dei carburanti (che incidono anche sui costi delle escursioni), dei pedaggi autostradali, ma anche delle spese alimentari e degli stabilimenti balneari. Gli effetti di questi aumenti, che si aggiungono alla crisi economica, emergono da un’indagine dell’Osservatorio Europcar-Doxa, che rivela un aumento della percentuale di coloro che non andranno in vacanza (51%) rispetto a quanti programmano di andarci (49%), come nel 2009. «Il calo delle prenotazioni c’è stato. Ma soprattutto sono cambiate le abitudini: aumentano le persone che aspettano le ultime offerte per prenotare, in passato erano principalmente i giovani ad approfittare dei last minute, oggi anche molte famiglie scelgono di rischiare sperando di poter risparmiare acquistando gli ultimi posti», ci riferisce Serena, tour operator campana. Mentre non sembra riscuotere molto successo il ricorso al credito: «La scorsa stagione sono stati pochissimi i finanziamenti attivati, e per quest’anno non abbiamo avuto ancora nessuna richiesta. Nonostante la comodità di attivare il prestito direttamente in agenzia, le famiglie preferiscono ridurre la durata della vacanza, scegliere mete meno care e periodi di bassa stagione, ma evitare di ricorrere alle finanziarie per le ferie». Un dato in controtendenza rispetto a quello nazionale, che viene interpretato dal presidente di Federconsumatori Campania Rosario Stornaiuolo come sintomo di povertà: «Il ricorso al debito per le vacanze non è diffuso in Campania perché non ci sono le condizioni. Da una nostra ricerca Napoli è risultata una delle città più povere d’Italia, le famiglie che vivono sotto la soglia di povertà sono il 39%, 2 su 4 non hanno i soldi per pagare le bollette, 1 su 4 non può comprare le medicine. Purtroppo sono queste le spese sostenute dal debito delle famiglie, che ricorrono molto più spesso di quanto si pensi anche all’usura, non di certo le vacanze, alle quali in numero sempre maggiore sono costrette a rinunciare».
Proprio per far fronte alla crisi economica, sulla scia degli Chèque-Vacances (nati in Francia nel 1982), l’anno scorso anche in Italia sono stati istituiti i Buoni Vacanze con il decreto del Ministro del Turismo Michela Brambilla. Si tratta di titoli di pagamento nominativi, finalizzati ad acquisire le prestazioni di servizi turistici e del tempo libero, dalla sistemazione alberghiera alla ristorazione, dai trasporti agli affitti di casa vacanze, dall’acquisto di viaggi in agenzia agli autonoleggi, dall’entrata nei musei agli altri servizi culturali....continua
di Marianna Tavoletta
Secondo il monitoraggio effettuato dall’Onf (Osservatorio nazionale federconsumatori), quest’anno una tradizionale vacanza al mare di una settimana, per una famiglia composta da due adulti e due ragazzi che viaggia in auto, costerà il 4% in più rispetto all’anno scorso. Anche la vacanza da pendolari aumenterà: la stessa famiglia per una giornata al mare spenderà in media 76,20 euro, pari al 12% in più rispetto al 2009, in un parco acquatico il 5% in più. I rincari sono dovuti soprattutto all’aumento del costo dei carburanti (che incidono anche sui costi delle escursioni), dei pedaggi autostradali, ma anche delle spese alimentari e degli stabilimenti balneari. Gli effetti di questi aumenti, che si aggiungono alla crisi economica, emergono da un’indagine dell’Osservatorio Europcar-Doxa, che rivela un aumento della percentuale di coloro che non andranno in vacanza (51%) rispetto a quanti programmano di andarci (49%), come nel 2009. «Il calo delle prenotazioni c’è stato. Ma soprattutto sono cambiate le abitudini: aumentano le persone che aspettano le ultime offerte per prenotare, in passato erano principalmente i giovani ad approfittare dei last minute, oggi anche molte famiglie scelgono di rischiare sperando di poter risparmiare acquistando gli ultimi posti», ci riferisce Serena, tour operator campana. Mentre non sembra riscuotere molto successo il ricorso al credito: «La scorsa stagione sono stati pochissimi i finanziamenti attivati, e per quest’anno non abbiamo avuto ancora nessuna richiesta. Nonostante la comodità di attivare il prestito direttamente in agenzia, le famiglie preferiscono ridurre la durata della vacanza, scegliere mete meno care e periodi di bassa stagione, ma evitare di ricorrere alle finanziarie per le ferie». Un dato in controtendenza rispetto a quello nazionale, che viene interpretato dal presidente di Federconsumatori Campania Rosario Stornaiuolo come sintomo di povertà: «Il ricorso al debito per le vacanze non è diffuso in Campania perché non ci sono le condizioni. Da una nostra ricerca Napoli è risultata una delle città più povere d’Italia, le famiglie che vivono sotto la soglia di povertà sono il 39%, 2 su 4 non hanno i soldi per pagare le bollette, 1 su 4 non può comprare le medicine. Purtroppo sono queste le spese sostenute dal debito delle famiglie, che ricorrono molto più spesso di quanto si pensi anche all’usura, non di certo le vacanze, alle quali in numero sempre maggiore sono costrette a rinunciare».
Proprio per far fronte alla crisi economica, sulla scia degli Chèque-Vacances (nati in Francia nel 1982), l’anno scorso anche in Italia sono stati istituiti i Buoni Vacanze con il decreto del Ministro del Turismo Michela Brambilla. Si tratta di titoli di pagamento nominativi, finalizzati ad acquisire le prestazioni di servizi turistici e del tempo libero, dalla sistemazione alberghiera alla ristorazione, dai trasporti agli affitti di casa vacanze, dall’acquisto di viaggi in agenzia agli autonoleggi, dall’entrata nei musei agli altri servizi culturali....continua
DE MAGISTRIS VINCE SENZA POLITICA
Il magistrato ha raccolto la voglia di rivalsa dei napoletani, approfittando di un Pdl poco credibile e di un Pd alla canna del gas. Ora la sfida del governo dei rifiuti
di Antonio Puzzi
«Mo’ammo scassato veramente». E il sistema del bipolarismo con lui a Napoli è crollato sul serio. Luigi De Magistris, 43 anni, ex magistrato ed eurodeputato per Italia dei valori, saluta così la folla arancione accorsa lunedì 30 maggio all’Hotel Royal per celebrarlo come sindaco. «Pare ca avimmo vinciuto ’o scudetto», esultano i leader partenopei di Federazione della Sinistra.
A poche centinaia di metri, il comitato elettorale di Gianni Lettieri non riesce invece a digerire la sconfitta e si domanda come sia possibile che i napoletani abbiano scelto con una maggioranza bulgara (65,38%) l’ex pm delle inchieste “Why not” e “Toghe lucane”, nelle quali furono coinvolti tra gli altri il deputato Udc Lorenzo Cesa e l’allora Guardasigilli Clemente Mastella. Tanto De Magistris quanto Lettieri avevano smarcato la campagna elettorale dai simboli di partito, proprio come alle Regionali 2010.
All’epoca però il carisma di Vincenzo De Luca (oggi riconfermato sindaco di Salerno al primo turno con il 73,75% dei voti) nulla poté contro il successo dell’attuale governatore, Stefano Caldoro. Cos’è cambiato? «In dodici mesi – sostiene il giornalista politico Marzio Di Mezza – il centrodestra ce l’ha messa tutta per perdere a Napoli: dai rifiuti al berlusconismo dilagante. E la città ha reagito». De Magistris ha avuto dalla sua il cosiddetto “voto contro”, anche grazie a una candidatura non entusiasmante imposta al centrodestra dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, incurante delle richieste di ripensamento ricevute da molti dirigenti locali. Il Pd, poi, ripiegando dopo lo scandalo delle primarie sull’ex prefetto Mario Morcone, gli aveva affiancato in campagna elettorale l’ex governatore Antonio Bassolino, perfino a Chiaiano, peggiorando così il già esile bacino di voti. «De Magistris è stato favorito dall’assenza di un Pd credibile – continua Di Mezza –. Il pasticciaccio delle primarie è solo la punta dell’iceberg. E poi il magistrato ha toccato le corde giuste.
È riuscito ad affascinare il popolo, mentre con l’elite aveva già un buon rapporto (basti pensare al sostegno di Erri De Luca, ndr). Ha preso consensi trasversalmente. Anche Mastella con le sue uscite (“Se vince De Magistris mi suicido”, aveva ironizzato a Radio 2, ndr) gli ha fatto guadagnare voti».
L’ex pm si è proposto dunque quale icona di riscatto, come sostiene la giornalista del Corriere del Mezzogiorno, Natascia Festa, paragonandolo addirittura a Barack Obama e suggerendogli implicitamente l’invito a Napoli per il Presidente Usa. «L’Italia è stata screditata a livello internazionale dal nostro premier – spiega lo scrittore Massimo Cacciapuoti –. L’immagine di Napoli sommersa dalla monnezza ha fatto il giro del mondo ma il voto di Napoli ha anche una valenza simbolica diversa: De Magistris viene dalla magistratura, non dalla politica. È il voto della città che si ribella alla camorra e alla politica del malaffare. È la voce gridata di chi vuole giustizia e chiede un impegno serio e deciso dalla parte migliore della società civile che, nonostante i proclami del premier, continua a identificarsi nella magistratura».
Il rifiuto ricevuto qualche mese prima dal centrosinistra (eccezion fatta per il velato appoggio di Umberto Ranieri, grande beffato delle primarie) è divenuto pertanto la carta vincente di De Magistris e la scelta di “non apparentamento” dopo i risultati del primo turno ha fatto il resto....continua
di Antonio Puzzi
«Mo’ammo scassato veramente». E il sistema del bipolarismo con lui a Napoli è crollato sul serio. Luigi De Magistris, 43 anni, ex magistrato ed eurodeputato per Italia dei valori, saluta così la folla arancione accorsa lunedì 30 maggio all’Hotel Royal per celebrarlo come sindaco. «Pare ca avimmo vinciuto ’o scudetto», esultano i leader partenopei di Federazione della Sinistra.
A poche centinaia di metri, il comitato elettorale di Gianni Lettieri non riesce invece a digerire la sconfitta e si domanda come sia possibile che i napoletani abbiano scelto con una maggioranza bulgara (65,38%) l’ex pm delle inchieste “Why not” e “Toghe lucane”, nelle quali furono coinvolti tra gli altri il deputato Udc Lorenzo Cesa e l’allora Guardasigilli Clemente Mastella. Tanto De Magistris quanto Lettieri avevano smarcato la campagna elettorale dai simboli di partito, proprio come alle Regionali 2010.
All’epoca però il carisma di Vincenzo De Luca (oggi riconfermato sindaco di Salerno al primo turno con il 73,75% dei voti) nulla poté contro il successo dell’attuale governatore, Stefano Caldoro. Cos’è cambiato? «In dodici mesi – sostiene il giornalista politico Marzio Di Mezza – il centrodestra ce l’ha messa tutta per perdere a Napoli: dai rifiuti al berlusconismo dilagante. E la città ha reagito». De Magistris ha avuto dalla sua il cosiddetto “voto contro”, anche grazie a una candidatura non entusiasmante imposta al centrodestra dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, incurante delle richieste di ripensamento ricevute da molti dirigenti locali. Il Pd, poi, ripiegando dopo lo scandalo delle primarie sull’ex prefetto Mario Morcone, gli aveva affiancato in campagna elettorale l’ex governatore Antonio Bassolino, perfino a Chiaiano, peggiorando così il già esile bacino di voti. «De Magistris è stato favorito dall’assenza di un Pd credibile – continua Di Mezza –. Il pasticciaccio delle primarie è solo la punta dell’iceberg. E poi il magistrato ha toccato le corde giuste.
È riuscito ad affascinare il popolo, mentre con l’elite aveva già un buon rapporto (basti pensare al sostegno di Erri De Luca, ndr). Ha preso consensi trasversalmente. Anche Mastella con le sue uscite (“Se vince De Magistris mi suicido”, aveva ironizzato a Radio 2, ndr) gli ha fatto guadagnare voti».
L’ex pm si è proposto dunque quale icona di riscatto, come sostiene la giornalista del Corriere del Mezzogiorno, Natascia Festa, paragonandolo addirittura a Barack Obama e suggerendogli implicitamente l’invito a Napoli per il Presidente Usa. «L’Italia è stata screditata a livello internazionale dal nostro premier – spiega lo scrittore Massimo Cacciapuoti –. L’immagine di Napoli sommersa dalla monnezza ha fatto il giro del mondo ma il voto di Napoli ha anche una valenza simbolica diversa: De Magistris viene dalla magistratura, non dalla politica. È il voto della città che si ribella alla camorra e alla politica del malaffare. È la voce gridata di chi vuole giustizia e chiede un impegno serio e deciso dalla parte migliore della società civile che, nonostante i proclami del premier, continua a identificarsi nella magistratura».
Il rifiuto ricevuto qualche mese prima dal centrosinistra (eccezion fatta per il velato appoggio di Umberto Ranieri, grande beffato delle primarie) è divenuto pertanto la carta vincente di De Magistris e la scelta di “non apparentamento” dopo i risultati del primo turno ha fatto il resto....continua
UN CAFFÈ CHE SA DI PULITO
La Rete del Caffè Sospeso combatte contro il monopolio della distribuzione da parte dei clan. In che modo? Incoraggiando le piccole produzioni, magari nate dentro un carcere
di Antonio Puzzi
Dai Setola ai Mallardo, la storia dell’imprenditoria del malaffare in Terra di Lavoro passa per il settore agroalimentare. Negli ultimi anni, si sono moltiplicate le indagini delle forze dell’ordine e le inchieste giornalistiche che hanno portato alla luce fatti spesso noti, ma che le voci del popolo preferivano tacere. Già lo scorso mese “Fresco di Stampa” ha compiuto un viaggio nel mondo del pane “illegale” partendo da Sant’Antimo e analizzando il fenomeno nell’intera area a nord di Napoli con sconfinamenti nell’Agro aversano. Il caso ha voluto che proprio in quei giorni venissero sequestrati al clan dei Polverino oltre un miliardo di euro ottenuti con la distribuzione, forse obbligata, di pane, farine, cereali e carni. Solo dodici mesi fa, invece, l’arresto di Giuseppe Setola aveva messo in chiaro come il Caffè Nobis, una miscela qualitativamente non eccellente prodotta da un’azienda riconducibile secondo le indagini a un bar trentolese, fosse imposta agli esercizi commerciali della provincia di Caserta o comunque distribuita, secondo gli inquirenti, in una maniera non del tutto rispettosa dei crismi della legalità. Di recente, infine, il sequestro dei beni ai Mallardo di Giugliano ha portato a conoscenza delle masse come la stessa trafila riguardasse anche il Caffè Seddio, quasi un monopolio da Castelvolturno al basso Lazio. E con buone probabilità la lista nera dei marchi non è ancora completa.
Importante sottolineare che le accuse non sono state ancora confermate dai processi, ma le indagini iniziate dal 2008 testimoniano un modus operandi tutt’altro che isolato. Per riportare alla luce il valore della legalità in merito al prodotto simbolo di Napoli è nato il progetto di sette festival italiani che si occupano di arti performative e di diritti violati: la Rete del Caffè Sospeso. Ideata in principio per una mutua solidarietà tra le manifestazioni che non godono di grossi sovvenzionamenti pubblici, la Rete ha deciso però di distinguersi, soprattutto nel Napoletano, con una forte azione identitaria. Non a caso, il nome dato al network richiama l’antica pratica, diffusa fino a qualche decennio fa nel capoluogo campano, di entrare in un bar, bere un caffè e pagarne due. Il secondo, per l’appunto “sospeso”, sarebbe stato poi destinato a chi non poteva godere di un bene, se non primario quanto meno simbolico, della civiltà partenopea. Si tratta insomma di un gesto di solidarietà verso un’umanità sconosciuta che si concretizza donando non una necessità, ma la dignità di un piacere.
Maurizio Del Bufalo, coordinatore del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e referente campano della Rete, afferma: «È bene ribadire che nella pratica del Caffè Sospeso non c’è solo solidarietà, ma anche legalità, amicizia, senso della comunità, rispetto dell’altro. Vorremmo soprattutto che questo diventasse un modo in controtendenza di declinare la “napoletanità”, senza sottolineare identità o localismi, ma ribadendo la storia sociale e popolare di una città che non ha mai smesso di ospitare e accogliere, in contrasto con l’atteggiamento sterile di una classe dirigente che stenta moltissimo a rappresentare i bisogni del suo popolo e di una criminalità organizzata che ferocemente si è nutrita di questa distanza». Il funzionamento del meccanismo immobilizzante nella distribuzione dell’oro nero campano ce lo spiega Imma Carpiniello, una delle operatrici della cooperativa Lazzarelle, che offre lavoro alle detenute del carcere femminile di Pozzuoli, per l’appunto producendo caffè: «I grossi monopoli, non sempre direttamente riconducibili ai clan, offrono le attrezzature necessarie ai bar per macinare, preparare e servire il caffè....continua
di Antonio Puzzi
Dai Setola ai Mallardo, la storia dell’imprenditoria del malaffare in Terra di Lavoro passa per il settore agroalimentare. Negli ultimi anni, si sono moltiplicate le indagini delle forze dell’ordine e le inchieste giornalistiche che hanno portato alla luce fatti spesso noti, ma che le voci del popolo preferivano tacere. Già lo scorso mese “Fresco di Stampa” ha compiuto un viaggio nel mondo del pane “illegale” partendo da Sant’Antimo e analizzando il fenomeno nell’intera area a nord di Napoli con sconfinamenti nell’Agro aversano. Il caso ha voluto che proprio in quei giorni venissero sequestrati al clan dei Polverino oltre un miliardo di euro ottenuti con la distribuzione, forse obbligata, di pane, farine, cereali e carni. Solo dodici mesi fa, invece, l’arresto di Giuseppe Setola aveva messo in chiaro come il Caffè Nobis, una miscela qualitativamente non eccellente prodotta da un’azienda riconducibile secondo le indagini a un bar trentolese, fosse imposta agli esercizi commerciali della provincia di Caserta o comunque distribuita, secondo gli inquirenti, in una maniera non del tutto rispettosa dei crismi della legalità. Di recente, infine, il sequestro dei beni ai Mallardo di Giugliano ha portato a conoscenza delle masse come la stessa trafila riguardasse anche il Caffè Seddio, quasi un monopolio da Castelvolturno al basso Lazio. E con buone probabilità la lista nera dei marchi non è ancora completa.
Importante sottolineare che le accuse non sono state ancora confermate dai processi, ma le indagini iniziate dal 2008 testimoniano un modus operandi tutt’altro che isolato. Per riportare alla luce il valore della legalità in merito al prodotto simbolo di Napoli è nato il progetto di sette festival italiani che si occupano di arti performative e di diritti violati: la Rete del Caffè Sospeso. Ideata in principio per una mutua solidarietà tra le manifestazioni che non godono di grossi sovvenzionamenti pubblici, la Rete ha deciso però di distinguersi, soprattutto nel Napoletano, con una forte azione identitaria. Non a caso, il nome dato al network richiama l’antica pratica, diffusa fino a qualche decennio fa nel capoluogo campano, di entrare in un bar, bere un caffè e pagarne due. Il secondo, per l’appunto “sospeso”, sarebbe stato poi destinato a chi non poteva godere di un bene, se non primario quanto meno simbolico, della civiltà partenopea. Si tratta insomma di un gesto di solidarietà verso un’umanità sconosciuta che si concretizza donando non una necessità, ma la dignità di un piacere.
Maurizio Del Bufalo, coordinatore del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e referente campano della Rete, afferma: «È bene ribadire che nella pratica del Caffè Sospeso non c’è solo solidarietà, ma anche legalità, amicizia, senso della comunità, rispetto dell’altro. Vorremmo soprattutto che questo diventasse un modo in controtendenza di declinare la “napoletanità”, senza sottolineare identità o localismi, ma ribadendo la storia sociale e popolare di una città che non ha mai smesso di ospitare e accogliere, in contrasto con l’atteggiamento sterile di una classe dirigente che stenta moltissimo a rappresentare i bisogni del suo popolo e di una criminalità organizzata che ferocemente si è nutrita di questa distanza». Il funzionamento del meccanismo immobilizzante nella distribuzione dell’oro nero campano ce lo spiega Imma Carpiniello, una delle operatrici della cooperativa Lazzarelle, che offre lavoro alle detenute del carcere femminile di Pozzuoli, per l’appunto producendo caffè: «I grossi monopoli, non sempre direttamente riconducibili ai clan, offrono le attrezzature necessarie ai bar per macinare, preparare e servire il caffè....continua
mercoledì 1 giugno 2011
UN’ALTRA BOTTA ALLA CAMORRA. MA BASTERÀ?
L’ennesimo boss è stato arrestato, eppure la criminalità organizzata non sembra arretrare dalla società civile. Il giudice Magi: «Bisogna spezzare la connivenza tra clan e imprese»
di Raffaele de Chiara
«Prima o poi doveva succedere». Il boss della camorra Mario Caterino, sorriso sardonico e modi spicci, ha accolto così gli agenti che lo hanno catturato lo scorso aprile a Casal di Principe. Fatalismo o ennesima provocazione ad uno Stato che, nonostante mieta successi, sembra non vincere mai la sfida contro il crimine organizzato?
Meglio conosciuto come Mario ’a botta, per via della sua passione per gli esplosivi, Caterino, latitante dal 2005, era inserito nell’elenco dei trenta ricercati più pericolosi d’Italia e considerato il boss di camorra più importante dopo Michele Zagaria. Mario ’a botta si nascondeva nell’abitazione di un insospettabile imbianchino della zona.
«È un successo straordinario che stringe il cerchio intorno alla latitanza di Michele Zagaria», è stato il commentato alla cattura del ministro dell’Interno Roberto Maroni. Dello stesso segno anche le dichiarazioni del presidente della Provincia Domenico Zinzi: «È l’ennesimo successo ottenuto grazie all’azione congiunta di forze dell’ordine e magistratura», e del Questore di Caserta Guido Longo, che nel 1998 guidò l’operazione che condusse in carcere Francesco Schiavone detto Sandokan: «Abbiamo dato una bella botta alla cosca dei Casalesi».
Garbato ed estroverso, senza mai tradire la serietà del ruolo che riveste, Raffaello Magi, un magistrato del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, parla degli ultimi importanti arresti e delle prospettive per questo territorio. «Mario Caterino era un camorrista della “prima generazione”, che ha sfruttato l’ascesa del clan successiva alla morte di Bardellino. Il boss – dice – è sempre stato molto vicino al gruppo degli Schiavone e negli ultimi anni, come spesso accade, la sua importanza era cresciuta proprio in virtù della latitanza». La cattura di Mario ’a botta rappresenta, secondo il magistrato che fu giudice a latere nel processo Spartacus: «Un fatto molto significativo, in quanto la rete di protezione che si crea intorno a queste persone non può essere impenetrabile. Capacità e impegno da parte delle forze dell’ordine sono poi gli elementi indispensabili per trovare chi si nasconde».
Violenze e connivenza, due elementi imprescindibili per qualsiasi latitanza, un vecchio connubio rivelatosi purtroppo ancora una volta valido. «Il fenomeno camorristico è ormai una realtà “trasversale”, che non si limita a governare i settori tradizionalmente illeciti come ad esempio estorsioni, traffico degli stupefacenti e scommesse clandestine, ma estende la sua influenza anche nei settori nevralgici dell’economia. Gestione del ciclo dei rifiuti, dei mercati dei generi alimentari, della distribuzione delle materie prime e della pubblica amministrazione sono solo alcune delle nuove attività». Il perché di tutto ciò è presto detto: «È la mancanza di un forte senso etico in buona parte dell’imprenditoria e del mondo delle professioni a rendere possibile il “contatto” tra realtà che dovrebbero essere diverse. La logica che domina è quella del profitto ad ogni costo e ciò comporta inevitabilmente l’alterazione della libera concorrenza e della legalità». L’arresto di Antonio Iovine prima e quello di Caterino poi costituiscono l’apice di un impegno da parte dello Stato che, oltre a produrre proclami, è fatto anche di risultati concreti eppure la camorra, vedi la recente crisi dei rifiuti, appare sempre presente e forse potente più di prima; non così però per Magi che respinge con fermezza il paradosso: «Non credo che sia più forte di prima. Molti clan hanno subìto colpi durissimi e si è diffusa l’idea che la repressione esiste. Certo, vi è ancora un livello di connivenza su cui bisogna lavorare in profondità». Diverso il discorso per la piaga dei rifiuti: «La camorra ha approfittato dell’inefficienza della macchina amministrativa per gestire “in concreto” una buona parte del ciclo dello smaltimento. Bisogna creare un nuovo rapporto di fiducia tra la popolazione e chi è chiamato a compiere l’opera di bonifica dei suoli e la raccolta dei rifiuti»...continua
di Raffaele de Chiara
«Prima o poi doveva succedere». Il boss della camorra Mario Caterino, sorriso sardonico e modi spicci, ha accolto così gli agenti che lo hanno catturato lo scorso aprile a Casal di Principe. Fatalismo o ennesima provocazione ad uno Stato che, nonostante mieta successi, sembra non vincere mai la sfida contro il crimine organizzato?
Meglio conosciuto come Mario ’a botta, per via della sua passione per gli esplosivi, Caterino, latitante dal 2005, era inserito nell’elenco dei trenta ricercati più pericolosi d’Italia e considerato il boss di camorra più importante dopo Michele Zagaria. Mario ’a botta si nascondeva nell’abitazione di un insospettabile imbianchino della zona.
«È un successo straordinario che stringe il cerchio intorno alla latitanza di Michele Zagaria», è stato il commentato alla cattura del ministro dell’Interno Roberto Maroni. Dello stesso segno anche le dichiarazioni del presidente della Provincia Domenico Zinzi: «È l’ennesimo successo ottenuto grazie all’azione congiunta di forze dell’ordine e magistratura», e del Questore di Caserta Guido Longo, che nel 1998 guidò l’operazione che condusse in carcere Francesco Schiavone detto Sandokan: «Abbiamo dato una bella botta alla cosca dei Casalesi».
Garbato ed estroverso, senza mai tradire la serietà del ruolo che riveste, Raffaello Magi, un magistrato del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, parla degli ultimi importanti arresti e delle prospettive per questo territorio. «Mario Caterino era un camorrista della “prima generazione”, che ha sfruttato l’ascesa del clan successiva alla morte di Bardellino. Il boss – dice – è sempre stato molto vicino al gruppo degli Schiavone e negli ultimi anni, come spesso accade, la sua importanza era cresciuta proprio in virtù della latitanza». La cattura di Mario ’a botta rappresenta, secondo il magistrato che fu giudice a latere nel processo Spartacus: «Un fatto molto significativo, in quanto la rete di protezione che si crea intorno a queste persone non può essere impenetrabile. Capacità e impegno da parte delle forze dell’ordine sono poi gli elementi indispensabili per trovare chi si nasconde».
Violenze e connivenza, due elementi imprescindibili per qualsiasi latitanza, un vecchio connubio rivelatosi purtroppo ancora una volta valido. «Il fenomeno camorristico è ormai una realtà “trasversale”, che non si limita a governare i settori tradizionalmente illeciti come ad esempio estorsioni, traffico degli stupefacenti e scommesse clandestine, ma estende la sua influenza anche nei settori nevralgici dell’economia. Gestione del ciclo dei rifiuti, dei mercati dei generi alimentari, della distribuzione delle materie prime e della pubblica amministrazione sono solo alcune delle nuove attività». Il perché di tutto ciò è presto detto: «È la mancanza di un forte senso etico in buona parte dell’imprenditoria e del mondo delle professioni a rendere possibile il “contatto” tra realtà che dovrebbero essere diverse. La logica che domina è quella del profitto ad ogni costo e ciò comporta inevitabilmente l’alterazione della libera concorrenza e della legalità». L’arresto di Antonio Iovine prima e quello di Caterino poi costituiscono l’apice di un impegno da parte dello Stato che, oltre a produrre proclami, è fatto anche di risultati concreti eppure la camorra, vedi la recente crisi dei rifiuti, appare sempre presente e forse potente più di prima; non così però per Magi che respinge con fermezza il paradosso: «Non credo che sia più forte di prima. Molti clan hanno subìto colpi durissimi e si è diffusa l’idea che la repressione esiste. Certo, vi è ancora un livello di connivenza su cui bisogna lavorare in profondità». Diverso il discorso per la piaga dei rifiuti: «La camorra ha approfittato dell’inefficienza della macchina amministrativa per gestire “in concreto” una buona parte del ciclo dello smaltimento. Bisogna creare un nuovo rapporto di fiducia tra la popolazione e chi è chiamato a compiere l’opera di bonifica dei suoli e la raccolta dei rifiuti»...continua
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