Marciano, occupano, si ribellano.Oppure restano indifferenti, come se la Riforma Gelmini non li riguardasse. Un viaggio nella pancia e negli umori degli atenei di Napoli e Caserta
di Assia Iorio e Anna Fusari
«Università pubblica, abbiamo toccato il fondo». È scritto sul cartellone di un ragazzo, Danilo Cicalese, in costume, cuffia e occhialini, arrampicato su un leone di piazza dei Martiri a Napoli. I ragazzi della Campania ci sono. La rivolta è in atto. Il caos è iniziato.
Questo è il problema: secondo il ministro della Pubblica Istruzione e la sua Riforma, l’autonomia delle Università dovrà essere coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica e didattica. Ciò comporterà la fine dei finanziamenti a pioggia, certo, ma soprattutto la privatizzazione di un ente che, stando alla Costituzione italiana, dovrebbe essere pubblico. Saranno quindi tagliati i fondi per gli studi e la ricerca e assorbiti i piccoli atenei… insomma, decisioni che valgono il futuro di una generazione!
Nella sfilata di rivendicazioni la “Federico II” e “l’Orientale” marciano in prima fila; nelle retrovie, un po’ esitante, procede la provinciale “Seconda università di Napoli”.
Della Sun aderiscono alla protesta soltanto i ricercatori, toccati in prima persona dalla Rriforma. Da giugno molti corsi, esami e sedute di laurea sono stati cancellati. E la situazione di disagio non accenna a calmarsi: i corsi continuano ad essere scoperti e c’è il rischio che esami e sedute di laurea siano rimandati a tempo indeterminato. Ma ciò che stupisce è l’immobilità di tanti ragazzi. Molti assistono agli scioperi dei loro insegnanti come semplici spettatori, senza rendersi conto davvero che è in gioco il loro futuro. «Il giorno dell’approvazione in Parlamento hanno appeso qualche striscione… niente di più - dice uno di loro -. Stanno manifestando per quella legge… Gelm... come si chiama? Sai dirmi di che si tratta?».
La disinformazione dei ragazzi è preoccupante. Eppure, senza la forza trainante degli studenti, qualsiasi movimento è destinato a spegnersi presto. Alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, qualche studente sembra prendere l’iniziativa partecipando ad assemblee e cortei e collaborando con i ragazzi della “Federico II” e de “l’Orientale”. Epicentro della rivolta resta, allora, Napoli, in modo particolare la zona universitaria di corso Umberto e piazza del Gesù. Sono stati occupati Porta di Massa, sede della Facoltà di Lettere e filosofia della “Federico II” e Palazzo Giusso de “l’Orientale”.
«Riprendiamoci il nostro futuro», si legge su uno striscione posizionato sui cancelli della facoltà di Lettere.
Diversi e vani sono stati i tentativi da parte dei ragazzi del collettivo di Porta di Massa di occupare anche il Rettorato della “Federico II”. Si cerca di ottenere risultati più concreti attraverso manifestazioni e cortei. L’intricato reticolo di strade stracolme di monnezza, bagnate di pioggia incessante, accoglie i nuovi ospiti della malinconia napoletana. Al fianco di precari, ecologisti e semplice gente esausta, avanzano gli studenti. Si somma la rabbia, esplode la disperazione.
Qui si lotta, prima ancora che per il diritto agli studi e ad avere un’università pubblica e ben finanziata, per il diritto di respirare aria pulita, per vivere in una società più sicura. Questa è la rivolta degli studenti campani.
L’anomalia, rispetto ad altre città d’Italia, è che ogni iniziativa viene stroncata duramente dai caschi blu della polizia. Non si tratta più di semplici manifestazioni, ma di veri e propri scontri.
Il barile delle polveri è esploso il primo dicembre, quando i ragazzi in corteo, a piazza Plebiscito, hanno varcato le porte del teatro San Carlo con la speranza di trovare la solidarietà degli artisti. Il tentativo di un dialogo, cercato da entrambe le parti, è stato stroncato da una carica. E qualcuno ha pure rotto il braccio al primo violinista. «Ho pianto dentro di me per la crudeltà con cui quegli studenti venivano caricati… è stato uno spettacolo davvero infelice», afferma uno degli orchestrali presenti quel giorno ...continua
giovedì 30 dicembre 2010
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