venerdì 3 dicembre 2010

LA VIOLENZA INDICIBILE DEL CRIMINE COMUNE

Giancarlo De Cataldo, scrittore e magistrato, legge lo stato di salute delle nostre comunità attraverso i suoi delitti: «Dietro il crimine c’è sempre un deficit culturale, la mancanza inquietante di mezzi di emancipazione»


di Mario Tirino


La provincia tranquilla non è per niente tranquilla. Per scoprirlo basta leggere le cronache locali, che riportano con dovizia di particolari episodi di cronaca nera a decine: omicidi, delitti passionali, misteriosi crimini, indagini finite sull’immancabile binario morto. E quindi dolore, incredulità, sento di impotenza. Qualche volta rassegnazione. No, la provincia non dorme sonni tranquilli. Ma spesso non gode della morbosa ribalta che i media nazionali riservano a storie come quella di Cogne, Perugia, Avetrana. E delle sue inquietudini, dei suoi “mostri”, dunque, si discute a bassa voce solo nei bar di paese. Per parlarne finalmente a viso aperto, Fresco di Stampa ha scelto Giancarlo De Cataldo, talentuoso scrittore e severo magistrato che ha trattato migliaia di casi, dai delitti familiari alle complesse indagini sulle mafie: in questi giorni è di nuovo in libreria con l’epopea risorgimentale I traditori (Einaudi).
In una regione afflitta dalla macrocriminalità come la Campania, avvengono crimini comuni di un’efferatezza incredibile. C’è un legame tra la sottocultura camorrista e i delitti ordinari?
Paradossalmente, di fronte all’efferatezza di alcuni crimini comuni, capita di rimpiangere le grandi organizzazioni criminali. I crimini familiari sono pervasi da una violenza tremenda, prodotta da anni di tensioni sotterranee incomprensibili, laddove i crimini di mafia sono più agevoli da decifrare, guidati come sono da una logica di predominio economico. Dietro l’omicidio individuale c’è invece un percorso di sofferenza portato a compimento.
Quale caso, tra quelli che hanno coinvolto la criminalità campana, ha maggiormente attirato la sua attenzione?
Ne cito due. Mi ha colpito molto il racconto di un uomo che aveva ucciso per fare un favore ad un’altra persona, alla cui richiesta aveva risposto con un serafico «che problema c’è?». Un’altra vicenda concerne un omicidio commissionato a Napoli, ma commesso a Roma, da due killer. Due ragazzi intelligenti, che in seguito si sono pentiti, ma che allora andarono a commettere quest’omicidio senza una lira in tasca, avendo con sé solo qualche gettone telefonico per comunicare a chi di dovere l’avvenuto compimento della missione. Questo conferma che dietro il crimine c’è spesso un inquietante deficit culturale, la mancanza totale di mezzi di emancipazione.
Qualche sera fa, Mario Calabresi, direttore de “La Stampa”, ha affermato in tv che, sfogliando gli archivi del suo giornale, si è reso conto che il livello di ferocia nella società contemporanea non è superiore a quello dei decenni passati. È d’accordo con questa tesi?
Sia lodato Calabresi. Balzac ha fissato le leggi eterne del crimine: l’oro e la passione, da cui deriva ogni crimine, l’omicidio politico, quello terroristico e anche quello di matrice psichiatrica, che altro non è che una passione malata.
Se è così, quanto influisce effettivamente la presenza ossessiva dei media nelle nostre vite sulla percezione di sicurezza sociale?
Una ricerca dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza ha messo in relazione statistiche sui delitti, lo spazio riservato ad essi dai media e la percezione sociale tra un campione di cittadini. Ne è emerso che la percezione segue la propaganda, non la realtà: l’insicurezza percepita cresce se la tv ne parla più a lungo, anche quando, in realtà, i delitti scemano.
Quanto conta la carenza di lavoro nell’alimentare l’aumento di omicidi e, in genere, di crimini, specie nelle province di Napoli e Caserta?
Si arriva al crimine per una somma di fattori. Ma quando muore un intero apparato industriale (come a Bagnoli e Ponticelli), con la cultura del lavoro e le interazioni sociali che lo caratterizzano, si assiste alla dismissione – per citare l’omonimo libro di Ermanno Rea – non di una fabbrica, ma della città stessa. E si lasciano spazi enormi per l’agire della criminalità organizzata...continua

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