Dopo il terremoto in Parlamento,scosse di assestamento anche nel centrodestra campano. I peones chiedono poltrone, Caldoro vacilla
di Alessandro Pecoraro
Acque agitate nel golfo di Napoli. L’evoluzione degli eventi politici nazionali non risparmia la politica campana e in particolar modo il Popolo della libertà. I berluscones campani hanno perso una lunga serie di pezzi, soprattutto nelle province di Avellino e Caserta.Pasquale Viespoli, Italo Bocchino e Enzo Rivellini hanno guidato un vero e proprio esodo dal Pdl, basti pensare che i circoli casertani di Generazione Italia (il movimento interno a Futuro e libertà presieduto da Bocchino) hanno fatto il pienone raccogliendo tutti quei politici che nei mesi e negli anni passati erano stati vittima dello strapotere di Nicola Cosentino e dei suoi uomini.
Ma non è tutto, il Popolo della libertà nelle prossime settimane dovrà fare i conti con un problema ben più importante. La nascita del Polo della Nazione costringerà Nicola Cosentino a decidere quale strategia attuare in Campania relativamente alle alleanze e alla scelta del candidato per le prossime elezioni del Comune di Napoli.
La fiducia del 14 dicembre alla Camera dei Deputati è stata ottenuta anche con la promessa di una distribuzione di incarichi e poltrone, soprattutto a livello locale. In Campania la vittima sacrificale potrebbe essere proprio l’Udc, che pur trovandosi all’opposizione nazionale continua a essere un alleato prezioso e fedele del governo regionale, occupando una serie di poltrone che fanno gola ai tanti piccoli movimenti rappresentati in Parlamento da quei deputati che hanno consentito a Silvio Berlusconi di ottenere la fiducia. Pochi giorni fa il deputato Marco Pugliese, esponente campano di Forza Sud, movimento creato da Gianfranco Micciché ha chiesto con forza la rottura dell’alleanza campana con l’Udc.
Anche Francesco Pionati, segretario nazionale di Alleanza di centro, ha attaccato l’Udc chiedendo al Pdl un atto di coraggio con l’obiettivo di «costruire un centrodestra a prova di traditori».
Come se non bastasse, è spuntato anche il movimento Noi Sud, il cui deputato campano, Antonio Milo, dopo aver votato la fiducia, ha immediatamente chiesto un incontro agli onorevoli Cosentino e Mario Landolfi, al fine di ottenere un riequilibrio politico a livello regionale con l’ingresso in giunta degli esponenti del suo movimento. Le minacce di guerra nei confronti dell’Udc hanno avuto riscontro anche nelle parole di Nicola Cosentino che, alla convention di dicembre del Pdl, ha dichiarato di poter fare benissimo a meno di un’alleanza con l’Udc in Campania.
È diventato davvero complesso per Stefano Caldoro sciogliere il nodo che si è venuto a creare. Il governatore della Regione, pur essendo espressione diretta del Popolo della libertà, non ha mai amato Nicola Cosentino, soprattutto dopo le indagini della magistratura sul dossier a luci rosse.
Dopotutto Caldoro, se è stato scelto come candidato per la guida della Regione, deve ringraziare due politici che in Campania sono in rotta di collisione proprio con Cosentino: il ministro Mara Carfagna e il capogruppo del Fli Italo Bocchino ...continua
giovedì 30 dicembre 2010
L'ONDA ANOMALA DEGLI STUDENTI
Marciano, occupano, si ribellano.Oppure restano indifferenti, come se la Riforma Gelmini non li riguardasse. Un viaggio nella pancia e negli umori degli atenei di Napoli e Caserta
di Assia Iorio e Anna Fusari
«Università pubblica, abbiamo toccato il fondo». È scritto sul cartellone di un ragazzo, Danilo Cicalese, in costume, cuffia e occhialini, arrampicato su un leone di piazza dei Martiri a Napoli. I ragazzi della Campania ci sono. La rivolta è in atto. Il caos è iniziato.
Questo è il problema: secondo il ministro della Pubblica Istruzione e la sua Riforma, l’autonomia delle Università dovrà essere coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica e didattica. Ciò comporterà la fine dei finanziamenti a pioggia, certo, ma soprattutto la privatizzazione di un ente che, stando alla Costituzione italiana, dovrebbe essere pubblico. Saranno quindi tagliati i fondi per gli studi e la ricerca e assorbiti i piccoli atenei… insomma, decisioni che valgono il futuro di una generazione!
Nella sfilata di rivendicazioni la “Federico II” e “l’Orientale” marciano in prima fila; nelle retrovie, un po’ esitante, procede la provinciale “Seconda università di Napoli”.
Della Sun aderiscono alla protesta soltanto i ricercatori, toccati in prima persona dalla Rriforma. Da giugno molti corsi, esami e sedute di laurea sono stati cancellati. E la situazione di disagio non accenna a calmarsi: i corsi continuano ad essere scoperti e c’è il rischio che esami e sedute di laurea siano rimandati a tempo indeterminato. Ma ciò che stupisce è l’immobilità di tanti ragazzi. Molti assistono agli scioperi dei loro insegnanti come semplici spettatori, senza rendersi conto davvero che è in gioco il loro futuro. «Il giorno dell’approvazione in Parlamento hanno appeso qualche striscione… niente di più - dice uno di loro -. Stanno manifestando per quella legge… Gelm... come si chiama? Sai dirmi di che si tratta?».
La disinformazione dei ragazzi è preoccupante. Eppure, senza la forza trainante degli studenti, qualsiasi movimento è destinato a spegnersi presto. Alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, qualche studente sembra prendere l’iniziativa partecipando ad assemblee e cortei e collaborando con i ragazzi della “Federico II” e de “l’Orientale”. Epicentro della rivolta resta, allora, Napoli, in modo particolare la zona universitaria di corso Umberto e piazza del Gesù. Sono stati occupati Porta di Massa, sede della Facoltà di Lettere e filosofia della “Federico II” e Palazzo Giusso de “l’Orientale”.
«Riprendiamoci il nostro futuro», si legge su uno striscione posizionato sui cancelli della facoltà di Lettere.
Diversi e vani sono stati i tentativi da parte dei ragazzi del collettivo di Porta di Massa di occupare anche il Rettorato della “Federico II”. Si cerca di ottenere risultati più concreti attraverso manifestazioni e cortei. L’intricato reticolo di strade stracolme di monnezza, bagnate di pioggia incessante, accoglie i nuovi ospiti della malinconia napoletana. Al fianco di precari, ecologisti e semplice gente esausta, avanzano gli studenti. Si somma la rabbia, esplode la disperazione.
Qui si lotta, prima ancora che per il diritto agli studi e ad avere un’università pubblica e ben finanziata, per il diritto di respirare aria pulita, per vivere in una società più sicura. Questa è la rivolta degli studenti campani.
L’anomalia, rispetto ad altre città d’Italia, è che ogni iniziativa viene stroncata duramente dai caschi blu della polizia. Non si tratta più di semplici manifestazioni, ma di veri e propri scontri.
Il barile delle polveri è esploso il primo dicembre, quando i ragazzi in corteo, a piazza Plebiscito, hanno varcato le porte del teatro San Carlo con la speranza di trovare la solidarietà degli artisti. Il tentativo di un dialogo, cercato da entrambe le parti, è stato stroncato da una carica. E qualcuno ha pure rotto il braccio al primo violinista. «Ho pianto dentro di me per la crudeltà con cui quegli studenti venivano caricati… è stato uno spettacolo davvero infelice», afferma uno degli orchestrali presenti quel giorno ...continua
di Assia Iorio e Anna Fusari
«Università pubblica, abbiamo toccato il fondo». È scritto sul cartellone di un ragazzo, Danilo Cicalese, in costume, cuffia e occhialini, arrampicato su un leone di piazza dei Martiri a Napoli. I ragazzi della Campania ci sono. La rivolta è in atto. Il caos è iniziato.
Questo è il problema: secondo il ministro della Pubblica Istruzione e la sua Riforma, l’autonomia delle Università dovrà essere coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica e didattica. Ciò comporterà la fine dei finanziamenti a pioggia, certo, ma soprattutto la privatizzazione di un ente che, stando alla Costituzione italiana, dovrebbe essere pubblico. Saranno quindi tagliati i fondi per gli studi e la ricerca e assorbiti i piccoli atenei… insomma, decisioni che valgono il futuro di una generazione!
Nella sfilata di rivendicazioni la “Federico II” e “l’Orientale” marciano in prima fila; nelle retrovie, un po’ esitante, procede la provinciale “Seconda università di Napoli”.
Della Sun aderiscono alla protesta soltanto i ricercatori, toccati in prima persona dalla Rriforma. Da giugno molti corsi, esami e sedute di laurea sono stati cancellati. E la situazione di disagio non accenna a calmarsi: i corsi continuano ad essere scoperti e c’è il rischio che esami e sedute di laurea siano rimandati a tempo indeterminato. Ma ciò che stupisce è l’immobilità di tanti ragazzi. Molti assistono agli scioperi dei loro insegnanti come semplici spettatori, senza rendersi conto davvero che è in gioco il loro futuro. «Il giorno dell’approvazione in Parlamento hanno appeso qualche striscione… niente di più - dice uno di loro -. Stanno manifestando per quella legge… Gelm... come si chiama? Sai dirmi di che si tratta?».
La disinformazione dei ragazzi è preoccupante. Eppure, senza la forza trainante degli studenti, qualsiasi movimento è destinato a spegnersi presto. Alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, qualche studente sembra prendere l’iniziativa partecipando ad assemblee e cortei e collaborando con i ragazzi della “Federico II” e de “l’Orientale”. Epicentro della rivolta resta, allora, Napoli, in modo particolare la zona universitaria di corso Umberto e piazza del Gesù. Sono stati occupati Porta di Massa, sede della Facoltà di Lettere e filosofia della “Federico II” e Palazzo Giusso de “l’Orientale”.
«Riprendiamoci il nostro futuro», si legge su uno striscione posizionato sui cancelli della facoltà di Lettere.
Diversi e vani sono stati i tentativi da parte dei ragazzi del collettivo di Porta di Massa di occupare anche il Rettorato della “Federico II”. Si cerca di ottenere risultati più concreti attraverso manifestazioni e cortei. L’intricato reticolo di strade stracolme di monnezza, bagnate di pioggia incessante, accoglie i nuovi ospiti della malinconia napoletana. Al fianco di precari, ecologisti e semplice gente esausta, avanzano gli studenti. Si somma la rabbia, esplode la disperazione.
Qui si lotta, prima ancora che per il diritto agli studi e ad avere un’università pubblica e ben finanziata, per il diritto di respirare aria pulita, per vivere in una società più sicura. Questa è la rivolta degli studenti campani.
L’anomalia, rispetto ad altre città d’Italia, è che ogni iniziativa viene stroncata duramente dai caschi blu della polizia. Non si tratta più di semplici manifestazioni, ma di veri e propri scontri.
Il barile delle polveri è esploso il primo dicembre, quando i ragazzi in corteo, a piazza Plebiscito, hanno varcato le porte del teatro San Carlo con la speranza di trovare la solidarietà degli artisti. Il tentativo di un dialogo, cercato da entrambe le parti, è stato stroncato da una carica. E qualcuno ha pure rotto il braccio al primo violinista. «Ho pianto dentro di me per la crudeltà con cui quegli studenti venivano caricati… è stato uno spettacolo davvero infelice», afferma uno degli orchestrali presenti quel giorno ...continua
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Studenti e Riforma Gelmini
SOLO UN POVERO ARTISTA…
Peppe Barra, cantore e testimone della cultura europea, racconta il suo disagio nell’Italia di oggi: «Mi vergogno quando calunniano la gente di Terzigno»
di Valentina Sanseverino
Dall'esordio in teatro a soli tre anni all’ultimo spettacolo – in ordine di tempo – in cartellone a Caserta. Dalla “Nuova Compagnia di Canto Popolare” alla carriera da solista, dal cinema alla tv.
Peppe Barra, l’artista che ha esportato la grandezza della cultura napoletana in tutto il mondo, si racconta dalle pagine del nostro giornale. E ci tiene a mandare un messaggio preciso e chiaro a tutti: «Ascoltate la voce del popolo di Terzigno!».
Maestro, torniamo indietro con la memoria, a oltre sessant’anni fa. Come è iniziato tutto?
In famiglia si respirava aria di palcoscenico fin dalla mia nascita e anche prima (il padre, Giulio, era artista di varietà; la madre, Concetta, indimenticabile icona del teatro partenopeo, ndr). A tre anni la maestra Zietta Liù mi scelse per una piccola parte in una rappresentazione della fiaba di Pollicino. Da lì sono arrivate le scuole di recitazione e canto, le prime rappresentazioni, i primi ruoli importanti.
Lei ha interpretato tutte le maschere del teatro partenopeo, da quelle della Cantata dei Pastori a Pulcinella, ma non solo. Da Nerone a don Chisciotte, dalle commedie di Goldoni a quelle di Molière. C’è un personaggio che ha particolarmente amato?
Li ho amati tutti, con la stessa passione. Se dovessi proprio sceglierne uno sarebbe senza dubbio Mr. Peachum ne L’opera da tre soldi di Brecht (a fianco ad Elio delle Storie Tese, ndr). Sì Mr. Peachum è forse quello che più ho amato.
E tra gli uomini che non recitano, quelli della vita reale? Qual è stato l’incontro più importante della sua vita?
Ho conosciuto artisti e uomini eccezionali: Eduardo De Filippo, Vittorio Gassman, Fabrizio De André, Roberto Benigni. Ma Marcello Mastroianni è stato sicuramente l’uomo più sconvolgente che ho incontrato.
Ancora più della sua grandezza come attore, era la luminosità che sprigionava a renderlo speciale: ti lasciava a bocca aperta. Poi col tempo imparai a conoscere anche la sua infinita umiltà, la sua intelligenza brillante…
Era un uomo vero, generoso, umile, non per modo di dire: era pieno di luce.
E poi, naturalmente, il mio grande amico Nino Rota. Nino era il musicista più grande che abbia mai conosciuto, era un personaggio interessante, ma sopratutto un vero amico. E basta.
Lei è tra gli autori e attori teatrali più prolifici al mondo, eppure ha trovato sempre spazio per dedicarsi alla musica, senza disdegnare
anche qualche apparizione in tv.
L’amore per il teatro non dà tregua né tempo per dedicarsi ad altro. Anche quando sono andato in tv, la prima volta nel 1987, con Serata d’onore, un omaggio a De Filippo con lo stesso Eduardo, Gassman e, appunto, Mastroianni, è stato sopratutto per portarci le mie opere teatrali. Non amo molto la tv, ma aiuta tanti bravi giovani a venire fuori: come Valerio Mastandrea, un attore che apprezzo molto. La tv va bene per questo e poco altro. Diverso è il discorso per la musica: da quando ho iniziato con la “Nuova Compagnia di Canto Popolare” mi sono appassionato al modo in cui la musica si sposa con il teatro: con loro ho girato tutto il mondo cantando in napoletano e l’amore del pubblico ci ha accolto bene ovunque, anche se non tutti capivano la lingua. Poi c’è stato “Peppe & Barra”, il Premio Tenco, l’incontro con De André (che gli chiese di interpretare Bocca di Rosa in napoletano e la inserì nell’Lp Cani Randagi, ndr) e l’inizio della mia carriera da solista, che mi regala ancora tante belle soddisfazioni ...continua
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maschera verace di Napoli,
SPETTACOLO Peppe Barra
venerdì 3 dicembre 2010
LA VIOLENZA INDICIBILE DEL CRIMINE COMUNE
Giancarlo De Cataldo, scrittore e magistrato, legge lo stato di salute delle nostre comunità attraverso i suoi delitti: «Dietro il crimine c’è sempre un deficit culturale, la mancanza inquietante di mezzi di emancipazione»
di Mario Tirino
La provincia tranquilla non è per niente tranquilla. Per scoprirlo basta leggere le cronache locali, che riportano con dovizia di particolari episodi di cronaca nera a decine: omicidi, delitti passionali, misteriosi crimini, indagini finite sull’immancabile binario morto. E quindi dolore, incredulità, sento di impotenza. Qualche volta rassegnazione. No, la provincia non dorme sonni tranquilli. Ma spesso non gode della morbosa ribalta che i media nazionali riservano a storie come quella di Cogne, Perugia, Avetrana. E delle sue inquietudini, dei suoi “mostri”, dunque, si discute a bassa voce solo nei bar di paese. Per parlarne finalmente a viso aperto, Fresco di Stampa ha scelto Giancarlo De Cataldo, talentuoso scrittore e severo magistrato che ha trattato migliaia di casi, dai delitti familiari alle complesse indagini sulle mafie: in questi giorni è di nuovo in libreria con l’epopea risorgimentale I traditori (Einaudi).
In una regione afflitta dalla macrocriminalità come la Campania, avvengono crimini comuni di un’efferatezza incredibile. C’è un legame tra la sottocultura camorrista e i delitti ordinari?
Paradossalmente, di fronte all’efferatezza di alcuni crimini comuni, capita di rimpiangere le grandi organizzazioni criminali. I crimini familiari sono pervasi da una violenza tremenda, prodotta da anni di tensioni sotterranee incomprensibili, laddove i crimini di mafia sono più agevoli da decifrare, guidati come sono da una logica di predominio economico. Dietro l’omicidio individuale c’è invece un percorso di sofferenza portato a compimento.
Quale caso, tra quelli che hanno coinvolto la criminalità campana, ha maggiormente attirato la sua attenzione?
Ne cito due. Mi ha colpito molto il racconto di un uomo che aveva ucciso per fare un favore ad un’altra persona, alla cui richiesta aveva risposto con un serafico «che problema c’è?». Un’altra vicenda concerne un omicidio commissionato a Napoli, ma commesso a Roma, da due killer. Due ragazzi intelligenti, che in seguito si sono pentiti, ma che allora andarono a commettere quest’omicidio senza una lira in tasca, avendo con sé solo qualche gettone telefonico per comunicare a chi di dovere l’avvenuto compimento della missione. Questo conferma che dietro il crimine c’è spesso un inquietante deficit culturale, la mancanza totale di mezzi di emancipazione.
Qualche sera fa, Mario Calabresi, direttore de “La Stampa”, ha affermato in tv che, sfogliando gli archivi del suo giornale, si è reso conto che il livello di ferocia nella società contemporanea non è superiore a quello dei decenni passati. È d’accordo con questa tesi?
Sia lodato Calabresi. Balzac ha fissato le leggi eterne del crimine: l’oro e la passione, da cui deriva ogni crimine, l’omicidio politico, quello terroristico e anche quello di matrice psichiatrica, che altro non è che una passione malata.
Se è così, quanto influisce effettivamente la presenza ossessiva dei media nelle nostre vite sulla percezione di sicurezza sociale?
Una ricerca dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza ha messo in relazione statistiche sui delitti, lo spazio riservato ad essi dai media e la percezione sociale tra un campione di cittadini. Ne è emerso che la percezione segue la propaganda, non la realtà: l’insicurezza percepita cresce se la tv ne parla più a lungo, anche quando, in realtà, i delitti scemano.
Quanto conta la carenza di lavoro nell’alimentare l’aumento di omicidi e, in genere, di crimini, specie nelle province di Napoli e Caserta?
Si arriva al crimine per una somma di fattori. Ma quando muore un intero apparato industriale (come a Bagnoli e Ponticelli), con la cultura del lavoro e le interazioni sociali che lo caratterizzano, si assiste alla dismissione – per citare l’omonimo libro di Ermanno Rea – non di una fabbrica, ma della città stessa. E si lasciano spazi enormi per l’agire della criminalità organizzata...continua
di Mario Tirino
La provincia tranquilla non è per niente tranquilla. Per scoprirlo basta leggere le cronache locali, che riportano con dovizia di particolari episodi di cronaca nera a decine: omicidi, delitti passionali, misteriosi crimini, indagini finite sull’immancabile binario morto. E quindi dolore, incredulità, sento di impotenza. Qualche volta rassegnazione. No, la provincia non dorme sonni tranquilli. Ma spesso non gode della morbosa ribalta che i media nazionali riservano a storie come quella di Cogne, Perugia, Avetrana. E delle sue inquietudini, dei suoi “mostri”, dunque, si discute a bassa voce solo nei bar di paese. Per parlarne finalmente a viso aperto, Fresco di Stampa ha scelto Giancarlo De Cataldo, talentuoso scrittore e severo magistrato che ha trattato migliaia di casi, dai delitti familiari alle complesse indagini sulle mafie: in questi giorni è di nuovo in libreria con l’epopea risorgimentale I traditori (Einaudi).
In una regione afflitta dalla macrocriminalità come la Campania, avvengono crimini comuni di un’efferatezza incredibile. C’è un legame tra la sottocultura camorrista e i delitti ordinari?
Paradossalmente, di fronte all’efferatezza di alcuni crimini comuni, capita di rimpiangere le grandi organizzazioni criminali. I crimini familiari sono pervasi da una violenza tremenda, prodotta da anni di tensioni sotterranee incomprensibili, laddove i crimini di mafia sono più agevoli da decifrare, guidati come sono da una logica di predominio economico. Dietro l’omicidio individuale c’è invece un percorso di sofferenza portato a compimento.
Quale caso, tra quelli che hanno coinvolto la criminalità campana, ha maggiormente attirato la sua attenzione?
Ne cito due. Mi ha colpito molto il racconto di un uomo che aveva ucciso per fare un favore ad un’altra persona, alla cui richiesta aveva risposto con un serafico «che problema c’è?». Un’altra vicenda concerne un omicidio commissionato a Napoli, ma commesso a Roma, da due killer. Due ragazzi intelligenti, che in seguito si sono pentiti, ma che allora andarono a commettere quest’omicidio senza una lira in tasca, avendo con sé solo qualche gettone telefonico per comunicare a chi di dovere l’avvenuto compimento della missione. Questo conferma che dietro il crimine c’è spesso un inquietante deficit culturale, la mancanza totale di mezzi di emancipazione.
Qualche sera fa, Mario Calabresi, direttore de “La Stampa”, ha affermato in tv che, sfogliando gli archivi del suo giornale, si è reso conto che il livello di ferocia nella società contemporanea non è superiore a quello dei decenni passati. È d’accordo con questa tesi?
Sia lodato Calabresi. Balzac ha fissato le leggi eterne del crimine: l’oro e la passione, da cui deriva ogni crimine, l’omicidio politico, quello terroristico e anche quello di matrice psichiatrica, che altro non è che una passione malata.
Se è così, quanto influisce effettivamente la presenza ossessiva dei media nelle nostre vite sulla percezione di sicurezza sociale?
Una ricerca dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza ha messo in relazione statistiche sui delitti, lo spazio riservato ad essi dai media e la percezione sociale tra un campione di cittadini. Ne è emerso che la percezione segue la propaganda, non la realtà: l’insicurezza percepita cresce se la tv ne parla più a lungo, anche quando, in realtà, i delitti scemano.
Quanto conta la carenza di lavoro nell’alimentare l’aumento di omicidi e, in genere, di crimini, specie nelle province di Napoli e Caserta?
Si arriva al crimine per una somma di fattori. Ma quando muore un intero apparato industriale (come a Bagnoli e Ponticelli), con la cultura del lavoro e le interazioni sociali che lo caratterizzano, si assiste alla dismissione – per citare l’omonimo libro di Ermanno Rea – non di una fabbrica, ma della città stessa. E si lasciano spazi enormi per l’agire della criminalità organizzata...continua
RIFIUTI, L’ALTERNATIVA POSSIBILE
Ambientalisti e cittadini che presidiano Taverna del Re, la mega-discarica di Giugliano, chiedono di fermare gli sversamenti. E propongono la riconversione dei Cdr in impianti di riciclaggio
di Tonia Limatola
Incenerire o non incenerire? Questo è il dilemma per lo smaltimento di sei milioni di ecoballe (o meglio di rifiuti compressi in balle) accatastate in due anni a Taverna del Re, il sito di stoccaggio regionale, al confine tra Giugliano e Villa Literno, ufficialmente chiuso a dicembre 2008 e poi riaperto a fine ottobre per ospitare i rifiuti rimossi dalle strade di Napoli. L’area dovrebbe accogliere anche uno degli altri due inceneritori previsti dal piano del Governo.
Il quesito è senza dubbio difficile. Secondo alcuni esperti, impianti come quello di Acerra sarebbero inutili e antieconomici. Per molti altri, invece, rappresentano l’unica soluzione per risolvere definitivamente l’emergenza regionale dei rifiuti. E il dibattito tra i sì e i no, poi, si arricchisce anche di altre ipotesi. Un’alternativa valida potrebbe essere il trattamento meccanico biologico, che conta sulla riconversione degli ex Cdr; mentre c’è chi spinge anche per la produzione del biodiesel.
Intanto, secondo l’ordinanza del presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, la piazzola E12 avrebbe dovuto accogliere i camion dell’Asia per trenta giorni, per un totale di 10mila tonnellate, ma il quantitativo è stato raggiunto in due settimane. Spazio temporale durante il quale i cittadini – che negli stessi giorni si ritrovavano coi rifiuti in strada e la notifica di bollette della Tarsu maggiorate del 12% – hanno ricompattato il comitato civico nato nel 2006. La protesta degli attivisti di Giugliano, Qualiano e Parete è stata pacifica, con cortei e fiaccolate, ma non sono mancati i momenti di tensione e gli scontri – anche feroci, con feriti tra manifestanti e forze dell’ordine – in occasione dei blocchi stradali. I camion non si sono fermati nemmeno davanti alla minaccia di darsi di nuovo fuoco della “pasionaria” Lucia De Cicco, né quando sono state urlate le parole di Monnezza, il brano scritto dai Marenia, diventato l’inno della protesta. Una volta richiuso il sito, il fronte ambientalista però non si disperde.
Ora si apre il dibattito sul futuro di Taverna del Re. Attraverso quali strategie passerà – sempre se arriverà – la bonifica? In pratica, ora ci si chiede come verranno smaltite le ecoballe. «Il problema serio è che il destino di questa terra viene da sempre contrattato dalla politica locale seguendo logiche clientelari e mai l’interesse collettivo», dice amareggiato il giovane segretario del Pd di Parete, Raffaele Vitale. Cosa succederà? Un gruppo di esponenti del Pdl di Giugliano, intanto, si è schierato pubblicamente con un manifesto a favore dell’inceneritore, al quale a inizio anno non si era detto contrario a un tavolo in Provincia nemmeno il sindaco Giovanni Pianese. Soluzione che fa storcere il naso agli ambientalisti, per i quali incenerire non è la soluzione ideale. Esperti hanno dimostrato, dati alla mano, che si può rendere efficace il ciclo dei rifiuti risparmiando milioni di euro e senza realizzare nuovi impianti, né altre discariche. Ne è convinta l’ingegnere Carla Poli, imprenditrice che ha raccontato la propria esperienza sul riciclo dei rifiuti a Vedelago nel corso di un incontro coi comitati. Secondo alcuni esperti basterebbe trasformare i sette ex Cdr campani (che sono tra i più moderni d’Europa, costati 270 milioni di euro) in impianti di trattamento meccanico biologico, macchine cioè in grado di effettuare la cosiddetta differenziata a valle, cioè di recuperare materiale da riciclare dai rifiuti indifferenziati. Secondo i loro calcoli sui costi e i tempi di realizzazione, per costruire due nuovi inceneritori e beneficiare degli incentivi Cip6 occorrerebbero quattro anni e cinque miliardi di euro...continua
di Tonia Limatola
Incenerire o non incenerire? Questo è il dilemma per lo smaltimento di sei milioni di ecoballe (o meglio di rifiuti compressi in balle) accatastate in due anni a Taverna del Re, il sito di stoccaggio regionale, al confine tra Giugliano e Villa Literno, ufficialmente chiuso a dicembre 2008 e poi riaperto a fine ottobre per ospitare i rifiuti rimossi dalle strade di Napoli. L’area dovrebbe accogliere anche uno degli altri due inceneritori previsti dal piano del Governo.
Il quesito è senza dubbio difficile. Secondo alcuni esperti, impianti come quello di Acerra sarebbero inutili e antieconomici. Per molti altri, invece, rappresentano l’unica soluzione per risolvere definitivamente l’emergenza regionale dei rifiuti. E il dibattito tra i sì e i no, poi, si arricchisce anche di altre ipotesi. Un’alternativa valida potrebbe essere il trattamento meccanico biologico, che conta sulla riconversione degli ex Cdr; mentre c’è chi spinge anche per la produzione del biodiesel.
Intanto, secondo l’ordinanza del presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, la piazzola E12 avrebbe dovuto accogliere i camion dell’Asia per trenta giorni, per un totale di 10mila tonnellate, ma il quantitativo è stato raggiunto in due settimane. Spazio temporale durante il quale i cittadini – che negli stessi giorni si ritrovavano coi rifiuti in strada e la notifica di bollette della Tarsu maggiorate del 12% – hanno ricompattato il comitato civico nato nel 2006. La protesta degli attivisti di Giugliano, Qualiano e Parete è stata pacifica, con cortei e fiaccolate, ma non sono mancati i momenti di tensione e gli scontri – anche feroci, con feriti tra manifestanti e forze dell’ordine – in occasione dei blocchi stradali. I camion non si sono fermati nemmeno davanti alla minaccia di darsi di nuovo fuoco della “pasionaria” Lucia De Cicco, né quando sono state urlate le parole di Monnezza, il brano scritto dai Marenia, diventato l’inno della protesta. Una volta richiuso il sito, il fronte ambientalista però non si disperde.
Ora si apre il dibattito sul futuro di Taverna del Re. Attraverso quali strategie passerà – sempre se arriverà – la bonifica? In pratica, ora ci si chiede come verranno smaltite le ecoballe. «Il problema serio è che il destino di questa terra viene da sempre contrattato dalla politica locale seguendo logiche clientelari e mai l’interesse collettivo», dice amareggiato il giovane segretario del Pd di Parete, Raffaele Vitale. Cosa succederà? Un gruppo di esponenti del Pdl di Giugliano, intanto, si è schierato pubblicamente con un manifesto a favore dell’inceneritore, al quale a inizio anno non si era detto contrario a un tavolo in Provincia nemmeno il sindaco Giovanni Pianese. Soluzione che fa storcere il naso agli ambientalisti, per i quali incenerire non è la soluzione ideale. Esperti hanno dimostrato, dati alla mano, che si può rendere efficace il ciclo dei rifiuti risparmiando milioni di euro e senza realizzare nuovi impianti, né altre discariche. Ne è convinta l’ingegnere Carla Poli, imprenditrice che ha raccontato la propria esperienza sul riciclo dei rifiuti a Vedelago nel corso di un incontro coi comitati. Secondo alcuni esperti basterebbe trasformare i sette ex Cdr campani (che sono tra i più moderni d’Europa, costati 270 milioni di euro) in impianti di trattamento meccanico biologico, macchine cioè in grado di effettuare la cosiddetta differenziata a valle, cioè di recuperare materiale da riciclare dai rifiuti indifferenziati. Secondo i loro calcoli sui costi e i tempi di realizzazione, per costruire due nuovi inceneritori e beneficiare degli incentivi Cip6 occorrerebbero quattro anni e cinque miliardi di euro...continua
IL PICCOLO GORBACIOF CASERTANO
L’antidivo Toni Servillo presenta il suo film allo storico Cineclub Vittoria e si schermisce: «Ma perché mi fotografate? Mica sono Alba Parietti?»
di Valentina Sanseverino
Reduce dai trionfi del Festival di Roma, acclamato come miglior attore italiano contemporaneo, cinque film all’attivo in una stessa stagione cinematografica e una tournée teatrale che sembra non voler finire mai.Toni Servillo è l’uomo d’oro del cinema italiano e il fiore all’occhiello di quella nuova rinascita culturale targata Caserta che, lontana da cliché musicali, blockbuster cinematografici e best seller letterari, sta monopolizzando la scena artistica nazionale.
Accanto a lui, più timidi ma trainati da un carisma coinvolgente, una miriade di abili casertani: dal giovane attore teatrale Francesco Paglino e dalla costumista Ortensia De Francesco (Gorbaciof) al collega Marco D’Amore fino allo sceneggiatore “Premio Solinas 2003”, Filippo Guarino (Una vita tranquilla). In prima fila c’è lui, il Re Mida del cinema italiano, l’attore che rende prezioso qualsiasi film sfiori, l’interprete conteso da festival e
produzioni di mezzo mondo. Eppure Toni Servillo, che la patina dorata da star se la scrolla di dosso con spontaneità, ha deciso di rimanere a Caserta, la provincia di tanti piccoli “Gorbaciof”, quella dove condurre una vita tranquilla, sempre con un piede sul palco e l’altro ben piantato a terra.Lo incontriamo al Cineclub Vittoria alla presentazione casertana proprio di Gorbaciof,piccolo gioiellino, quasi muto, che il fratello minore di casa Servillo regge con garbo e abilità, tutto sulle sue larghe spalle. «Ma perché mi fotografate? Mica sono Alba Parietti?
Che mi fotografate a fare, io sto sempre qua, mi vedete tutti i giorni in giro per Caserta». Sdrammatizza il caos creato dalla sua presenza, scherza con i vecchi amici presenti in sala, invita tutti a sostenere i baluardi di cultura della provincia, poi prende per mano suo figlio e se ne va. «Sto’ film già l’ho visto cento volte – scherza con inconfondibile cadenza casertana – ci vediamo dopo».
Da Montreal al Lido fino a Roma, nonostante il cinema la corteggi lei non trascura però il suo primo amore, il teatro. A Milano è già il tutto esaurito per la sua trilogia della villeggiatura e anche questo Gorbaciof, un piccolo Charlot metropolitano, è molto teatrale. È questo che l’ha spinta a scegliere di interpretarlo?
Le ragioni sono state tante. Tra i co-produttori del film, intanto, c’è anche la mia compagnia teatrale e quindi è un po’ come se il film fosse fatto con lo stesso spirito con cui faccio il teatro, la mia prima passione. L’equipe di collaboratori è la stessa: da Ortensia De Francesco ai costumi, a Pasquale Mari alla fotografia, a Nino Fiorito alla scenografia.Un’altra ragione è da ricercare nell’opera di Stefano Incerti. Amo molto il suo modo di raccontare Napoli, non banale. Soprattutto apprezzo il suo voler girare in luoghi della città non particolarmente celebri o frequentati. Dai suoi film emerge una Napoli grande sotto tutti i punti di vista, grande per stratificazione di storie, di segni, di mondi che si avvicendano, di vicende che si incrociano. Infine, semplicemente, perché ho amato questo piccolo racconto lirico dell’incontro tra due persone che per parlarsi devono ricorrere agli occhi, ai comportamenti piuttosto che alle parol,provenendo da paesi così diversi e lontani. L’insieme di tutti questi fattori mi ha spinto ad accettare di calarmi nei panni di Gorbaciof.Gorbaciof è la sua indiscussa consacrazione nell’albo d’oro degli attori di tutti i tempi: un personaggio estremamente complesso, che pronuncia la prima frase dopo ben ventinove minuti dall’inizio film, eppure irresistibile, coinvolgente, destinato a rimanere impresso per sempre nello spirito di uno spettatore. E a ben vedere tutti i personaggi che lei sceglie di interpretare sono emozionanti, attraenti, enigmatici, sebbene diversissimi tra loro. Ce n’è qualcuno che ha amato particolarmente o che le è venuto più “naturale” interpretare?
Non c’è mai un personaggio facile da interpretare se si rispetta questo mestiere: tutti hanno presentato delle difficoltà e tutti sono stati ugualmente emozionanti. Ognuno di essi rappresenta per me un’enorme gratificazione. È uno stimolo con il quale da sempre affronto il mio lavoro. È la magia dell’attore, guai a perderla di vista...continua
di Valentina Sanseverino
Reduce dai trionfi del Festival di Roma, acclamato come miglior attore italiano contemporaneo, cinque film all’attivo in una stessa stagione cinematografica e una tournée teatrale che sembra non voler finire mai.Toni Servillo è l’uomo d’oro del cinema italiano e il fiore all’occhiello di quella nuova rinascita culturale targata Caserta che, lontana da cliché musicali, blockbuster cinematografici e best seller letterari, sta monopolizzando la scena artistica nazionale.
Accanto a lui, più timidi ma trainati da un carisma coinvolgente, una miriade di abili casertani: dal giovane attore teatrale Francesco Paglino e dalla costumista Ortensia De Francesco (Gorbaciof) al collega Marco D’Amore fino allo sceneggiatore “Premio Solinas 2003”, Filippo Guarino (Una vita tranquilla). In prima fila c’è lui, il Re Mida del cinema italiano, l’attore che rende prezioso qualsiasi film sfiori, l’interprete conteso da festival e
produzioni di mezzo mondo. Eppure Toni Servillo, che la patina dorata da star se la scrolla di dosso con spontaneità, ha deciso di rimanere a Caserta, la provincia di tanti piccoli “Gorbaciof”, quella dove condurre una vita tranquilla, sempre con un piede sul palco e l’altro ben piantato a terra.Lo incontriamo al Cineclub Vittoria alla presentazione casertana proprio di Gorbaciof,piccolo gioiellino, quasi muto, che il fratello minore di casa Servillo regge con garbo e abilità, tutto sulle sue larghe spalle. «Ma perché mi fotografate? Mica sono Alba Parietti?
Che mi fotografate a fare, io sto sempre qua, mi vedete tutti i giorni in giro per Caserta». Sdrammatizza il caos creato dalla sua presenza, scherza con i vecchi amici presenti in sala, invita tutti a sostenere i baluardi di cultura della provincia, poi prende per mano suo figlio e se ne va. «Sto’ film già l’ho visto cento volte – scherza con inconfondibile cadenza casertana – ci vediamo dopo».
Da Montreal al Lido fino a Roma, nonostante il cinema la corteggi lei non trascura però il suo primo amore, il teatro. A Milano è già il tutto esaurito per la sua trilogia della villeggiatura e anche questo Gorbaciof, un piccolo Charlot metropolitano, è molto teatrale. È questo che l’ha spinta a scegliere di interpretarlo?
Le ragioni sono state tante. Tra i co-produttori del film, intanto, c’è anche la mia compagnia teatrale e quindi è un po’ come se il film fosse fatto con lo stesso spirito con cui faccio il teatro, la mia prima passione. L’equipe di collaboratori è la stessa: da Ortensia De Francesco ai costumi, a Pasquale Mari alla fotografia, a Nino Fiorito alla scenografia.Un’altra ragione è da ricercare nell’opera di Stefano Incerti. Amo molto il suo modo di raccontare Napoli, non banale. Soprattutto apprezzo il suo voler girare in luoghi della città non particolarmente celebri o frequentati. Dai suoi film emerge una Napoli grande sotto tutti i punti di vista, grande per stratificazione di storie, di segni, di mondi che si avvicendano, di vicende che si incrociano. Infine, semplicemente, perché ho amato questo piccolo racconto lirico dell’incontro tra due persone che per parlarsi devono ricorrere agli occhi, ai comportamenti piuttosto che alle parol,provenendo da paesi così diversi e lontani. L’insieme di tutti questi fattori mi ha spinto ad accettare di calarmi nei panni di Gorbaciof.Gorbaciof è la sua indiscussa consacrazione nell’albo d’oro degli attori di tutti i tempi: un personaggio estremamente complesso, che pronuncia la prima frase dopo ben ventinove minuti dall’inizio film, eppure irresistibile, coinvolgente, destinato a rimanere impresso per sempre nello spirito di uno spettatore. E a ben vedere tutti i personaggi che lei sceglie di interpretare sono emozionanti, attraenti, enigmatici, sebbene diversissimi tra loro. Ce n’è qualcuno che ha amato particolarmente o che le è venuto più “naturale” interpretare?
Non c’è mai un personaggio facile da interpretare se si rispetta questo mestiere: tutti hanno presentato delle difficoltà e tutti sono stati ugualmente emozionanti. Ognuno di essi rappresenta per me un’enorme gratificazione. È uno stimolo con il quale da sempre affronto il mio lavoro. È la magia dell’attore, guai a perderla di vista...continua
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