Tano Grasso lancia in tutta Italia la sua proposta di una certificazione per aziende ed esercizi commerciali liberati dal pizzo. Una buona idea per invertire la rotta
di Mario Tudisco
Una card antiracket per invogliare i consumatori a fare le loro compere solo negli esercizi commerciali che pubblicamente ammettono di non voler pagare il pizzo a nessuna delle associazioni criminali operanti in Italia e all’estero. Tano Grasso, presidente del Far (Fronte antiracket) è in tour in tanti centri del Meridione sia per esporre il progetto che è alla base della card, sia per continuare a sensibilizzare gli imprenditori a ribellarsi a ogni forma di estorsione.
«Questa carta particolare serve a porre le condizioni basilari per creare un circolo virtuoso. Sono i semplici cittadini a optare per un’economia sana scegliendo di spendere presso quei negozi che escludono, in maniera categorica, di poter sottostare a ogni forma di pizzo. O che hanno già denunciato le minacce subite. Immagino che ci vorrà del tempo prima di inculcare bene questo concetto nella testa della gente ma, come testimonia il mio passato e quello dell’antiracket, tante missioni impossibili sono state realizzate».
Dottore Grasso, al centro del dibattito politico c’è una possibile nuova normativa in materia di estorsione, che spacca in due l’opinione pubblica. C’è chi vorrebbe sanzionare penalmente gli imprenditori che non denunciano il pizzo e chi vorrebbe premiarli qualora denunciassero alle forze dell’ordine nomi e cognomi degli estorsori. Qual è il suo parere a tal proposito?
Credo si tratti di due ipotesi entrambe errate. Da un lato, si è visto già che neanche le accuse di favoreggiamento riescono a indurre commercianti e imprenditori a denunciare pubblicamente gli estorsori. Figuriamoci, dunque, se un tale effetto possa essere indotto dalla semplice minaccia di una sanzione penale. Dall’altro canto, favorire coloro che denunciano il racket significa esporli maggiormente a possibili ritorsioni. Una cosa, infatti, è che un imprenditore vada in un’aula di Tribunale e indichi un suo estorsore, il quale penserà, realisticamente, di subire un incidente di percorso nella sua mala-attività e si metterà l’anima in pace. Ben altra cosa, invece, sarebbe il caso in cui l’estorsore sappia che chi lo sta accusando non difende solo gli interessi legittimi della sue attività ma che, in qualche modo, trarrà vantaggi di ogni genere dall’atto di accusa che sta facendo. Ebbene, in casi come questi mafia, camorra e ’ndrangheta non perdonano. E i loro associati hanno una memoria lunghissima come quella degli elefanti.
In che modo, dunque, si può tentare di arginare questo fenomeno inquietante?
Io penserei ad almeno due ipotesi che mi sembrano estremamente efficaci. La prima: punire coloro che non denunciano le estorsioni con l’esclusione di queste ditte o società, per tre anni, da tutti gli appalti pubblici. Guardi bene che se entrasse in vigore una normativa del genere non si potrebbero ripetere quei grandissimi scandali economici che si chiamano autostrada Salerno-Reggio Calabria o ricostruzione post terremoto in Campania. Alla fine, tutte le grandi imprese sarebbero costrette a vuotare il sacco per evitare il loro crollo in borsa. La seconda ipotesi sensata è, per l’appunto, quella della card antiracket, che potrebbe mettere in rete tutti gli operatori economici dando loro la giusta visibilità e, soprattutto, la fiducia degli italiani onesti e perbene che restano, sine dubio, la stragrande maggioranza della nostra nazione...continua
venerdì 5 novembre 2010
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