giovedì 5 novembre 2009

PER LA PACE… E PER IL PANE

Sono soprattutto meridionali i soldati che partono per i fronti più rischiosi. La minaccia di una
pallottola in cambio di uno stipendio triplicato. Ma c’è chi giura che nessuno va lì solo per soldi


di Raffaele de Chiara e Pietro Sgambati


Il recente attentato verificatosi a Kabul, che ha visto sei membri dell’esercito italiano finire avvolti da un sudario tricolore in un triste lunedì di metà settembre, ha sollevato un’interessante questione: chi sono realmente i militari che ci rappresentano sul nostro suolo e all’estero?
In una puntata della trasmissione Ballarò, condotta da Giovanni Floris e andata in onda il mese scorso su Rai Tre, numerosi cittadini intervistati per le strade hanno dichiarato: «L’esercito è costituito quasi interamente da meridionali che, privi di sbocchi lavorativi, non possono far altro che cercare fortuna arruolandosi». Chi si aspettava anche solo un "grazie" agli italici militari caduti sul campo è rimasto inevitabilmente deluso.
Gli intervistati hanno puntato l’attenzione sul fatto che i soldati in missione all’estero sono ben pagati e conoscono i rischi che corrono. Messa in questo modo sembra quasi che lo Stato italiano faccia affidamento per le proprie operazioni militari solo su di un manipolo di mercenari raccattati là, dove non c’è più speranza per il proprio futuro. Ma è veramente così? «È la mancanza di opportunità di pari livello che spinge i giovani del sud verso la carriera militare». A sottolinearlo con forza è l’aviere dell’aeronautica C.D., voce sottile ma decisa, il quale spiega: «Se puoi guadagnare 1.300 euro con la licenza media è ovvio che ti arruoli e non scegli di fare il muratore».
Altro poi il discorso relativo alle missioni di pace all’estero, ben remunerate ma non abbastanza da rischiare la vita.
La paga per il militare risulta aumentata fino a tre volte lo stipendio. «Generalmente all’inizio – come tiene a precisare l’aviere – si viene spediti in Kosovo dove realmente si può parlare di operazioni di pace. Lì la guerra è finita da anni e i militari possono davvero occuparsi di operazioni umanitarie. Soltanto dopo diverse esperienze si affrontano missioni più rischiose». Cosa si intende poi per rischio è sempre lui a dirlo. «Se vai in Afghanistan è chiaro che metti nel conto anche di non tornare più».
Sguardo bonario, fisico imponente e modi gentili: «Prima facevo l’elettricista, poi sono partito per la leva e ho deciso di arruolarmi». Esordisce così il caporal maggiore dell’esercito, R.R., 30 anni, con alle spalle già tre missioni, in Iraq, in Kosovo e in Libano...continua

«COSENTINO? CANDIDATURA INOPPORTUNA»

L’uomo forte di Gianfranco Fini in Campania detta l’agenda del Pdl sulle elezioni regionali e provinciali di Caserta. Tappeto rosso all’Udc di Zinzi


di Alessandro Pecoraro


Italo Bocchino (nella foto) è tra i fedelissimi del presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini. Uomo politico di spicco del Pdl nazionale, campano d’origine, ha un ruolo primario nella scelta delle candidature nella regione Campania. "Fresco di Stampa" lo ha intervistato per saperne qualcosa in più rispetto alle due importanti tornate elettorali: regionali e provinciali di Terra di Lavoro.
Onorevole Bocchino, a sette mesi dalla nascita ufficiale, già sembrano essersi sviluppate delle fratture all’interno del Pdl. Mettendo da parte il "collante Berlusconi", non crede che il Popolo della libertà, così come il Pd, si troverà a fare i conti con le divergenze interne tra le varie correnti?
Il Pdl ha pochi mesi di vita ed è un grande partito, rappresentativo di circa il 40% degli italiani. In una realtà così grande e ancora in fase di costruzione può anche accadere che ci sia bisogno di discutere.
La situazione del Pd non è paragonabile con quella del Pdl: noi abbiamo valori comuni e condivisi. Nel Pd, invece, è una lotta quotidiana di tutti contro tutti, con continue minacce di scissioni e di abbandoni.
Nel 2005 è stato sconfitto alle elezioni regionali da Antonio Bassolino. Da allora molte cose sono cambiate. Qual è il suo bilancio delle politiche bassoliniane di questi ultimi anni?
Il bilancio del "bassolinismo" è stato fatto da Walter Veltroni, quando pochi mesi fa ha chiesto al governatore di fare un passo indietro. Oppure da Dario Franceschini, che vede in Bassolino l’emblema di un vecchio modo di fare politica al Sud, che va superato. Certo, potevano dirlo prima…
Parliamo delle prossime elezioni regionali: Casentino, pur ambendo alla candidatura, deve fare i conti con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che lo hanno accusato di avere rapporti con i clan dei Casalesi. Fini è contrario a una sua candidatura e pensa a Caldoro.
Sia Nicola Cosentino, che fa il sottosegretario di Stato, sia Stefano Caldoro, già ministro della Repubblica, hanno le capacità e l’esperienza per guidare una regione difficile come la Campania. Il coordinatore regionale del partito è l’interlocutore naturale di chi rappresenta il Pdl nelle istituzioni locali. Funziona così in ogni partito organizzato sul territorio. Sono d’accordo con Gianfranco Fini quando dice che si è innocenti fino a prova contraria e che al momento non è opportuna una candidatura di Nicola. Prima di tutto, bisogna lavorare su un progetto di governo chiaro e forte da presentare ai cittadini. E poi serve una squadra di altissimo livello.
È favorevole ad un accordo con l’Udc di Ciriaco De Mita per le elezioni regionali in Campania?
Non solo sono favorevole, ma addirittura lo auspico. Con l’Udc abbiamo condiviso l’esperienza della lunga opposizione al "bassolinismo". E in Europa abitiamo sotto lo stesso tetto, il Ppe.
Ovviamente l’accordo non deve essere sulle poltrone, ma sull’idea di Campania che vogliamo presentare agli elettori per governare questa regione che proviene da un decennio di cattiva amministrazione.
A proposito di Bassolino, l’attuale governatore, al fine di ridurre la spesa sanitaria regionale, ha optato per l’accorpamento delle Asl. Lei è d’accordo?
Esistevano sicuramente altre possibilità di azione, ma per anni la sanità in Campania è stata gestita come un centro erogatore di clientele e non di servizi. Con il risultato che la Campania ha il record di emigrazione sanitaria e il secondo deficit d’Italia, dopo il Lazio. Accorpare le Asl non basta. Bisogna prima di tutto mandare a casa chi ci ha condotti sull’orlo del baratro...continua

I "BISOGNOSI" DI MASTELLA

655 raccomandati tutti campani, infilati in enti controllati dalla politica come l’Arpac. L’Udeur nel mirino della magistratura


di Marilù Musto


La classe alta, la classe bassa e chi non ha classe. C’erano proprio tutti nell’elenco reperito, durante una perquisizione, nel file del computer sequestrato dalla Guardia di finanza nella segreteria dell’ex direttore generale dell’Arpac. 655 sono i nomi di «raccomandati veri e propri» – come li definisce il Gip di Napoli, Anna Laura Alfano – catalogati per titoli di studio, età del candidato e segnalazione del politico che sponsorizzava ciascuno di loro. Seicento e oltre. Dello stesso numero degli invitati alla festa di nozze del figlio dell’ex guardasigilli, Clemente Mastella (nella foto, con Nicola Ferraro). Una storia tutta campana, perché le segnalazioni non hanno colore né partito, ma spesso hanno confini territoriali.
«Ho aiutato dei bisognosi», ha spiegato l’ex ministro della Giustizia del Governo Prodi. Bisognosi o no, nell’elenco di raccomandati che aspettavano l’assunzione all’Arpac c’erano, probabilmente, quelli che chiedevano e, in alcuni casi, ottenevano l’assunzione nell’ente che si occupa di ambiente. A discapito di altri che titoli ne avevano ugualmente, ma non erano forniti di uno sponsor politico. C’è stato il caso, ad esempio, della decisione presa dalla commissione d’esame che doveva valutare i titoli accademici e di studio di due candidati alla direzione del periodico bimestrale «Arpacampania Ambiente». I commissari Luciano Capobianco, Pietro Funaro, Antonio Fantini, Giulio Sarno, Silvana Del Gaizo, Giovanni Ambrosino e Raffaele Barbato «nel procedere alla valutazione dei titoli – scrive il Gip – non motivarono le ragioni in base alle quali vennero attribuiti i punteggi e tantomeno motivarono la ragione per la quale a Pietro Funaro, che aveva solo una laurea triennale in "servizi sociali", venne attribuito il massimo punteggio sui titoli accademici (5), e al suo diretto concorrente, che aveva un diploma di laurea quadriennale in Scienze Politiche, il punteggio più basso (0)». Questo, almeno, è lo scenario delineato da un’inchiesta coordinata dal pubblico ministero della Procura di Napoli, Francesco Curcio. Tanti i numeri dell’indagine. Sessantatre gli iscritti nel registro degli indagati e una raffica di misure cautelari per una serie di accuse spiccate a vario titolo a politici dell’Udeur, che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata, abuso d’ufficio, turbata libertà, falso materiale e ideologico. Da un lato i politici, dall’altro i dirigenti e i dipendenti che chiedevano le raccomandazioni. Al centro: un vortice che collocava «persone dell’Udeur» nei punti strategici del potere pubblico casertano e campano. Tutto come dieci mesi fa, quando Sandra Lonardo, moglie di Mastella, presidente del consiglio regionale della Campania, era stata accusata di aver fatto pressione per la nomina di due primari all’ospedale di Caserta. Nero su bianco, lo avevano scritto i Pm, Alessandro Cimmino e Maurizio Giordano il 2 novembre 2007, quando avevano ascoltato il dirigente dell’ospedale Luigi Annunziata. «Il presidente Lonardo mi chiese di nominare il primario di ginecologia. Io dissi che non era possibile – aveva spiegato ai magistrati Annunziata – si trattava di tal Passaretti che mi fu prima indicato dal Ferraro. Il presidente si interessò. Il Ferraro fu più perentorio, proprio e anche per i suoi modi. So perfettamente che ogni giorno, ossia appena può, il presidente Lonardo chiede la mia rimozione all’assessore Montemarano (assessore regionale alla Sanità, esponente del Pd, ndr). Ricordo che mi chiese anche altro – aveva continuato a spiegare in Procura a Santa Maria Capua Vetere il dirigente – di nominare il primario in neurochirurgia indicatomi in Cantone. So questa circostanza perché la moglie del Cantone, tale Cingotti, mi disse che aveva parlato con la Lonardo andando a Ceppaloni per far raccomandare il marito. In seguito la Lonardo, prima delle elezioni comunali a Caserta, mi chiese come mai non avessi fatto niente per Cantone, io le dissi che non avrei fatto nulla. Dopo questi dinieghi si verificò l’interpellanza parlamentare regionale». Pressioni su pressioni. Oltre al filone che solleva il sipario sul presunto scandalo dei «raccomandati», la Procura nella seconda indagine contesta a Mastella un tentativo di concussione in concorso con altri esponenti del suo partito – il segretario regionale Antonio Fantini, gli ex consiglieri regionali Nicola Ferraro e Fernando Errico e l’ex assessore regionale Andrea Abbamonte – per costringere il direttore sanitario dell’ospedale Santobono di Napoli a nominare primario Bruno Rolando (indagato anche lui) in seguito alla sua opposizione. Il direttore sanitario avrebbe ricevuto intimidazioni, come la presentazione di una interpellanza nei suoi confronti...continua