Dopo il triste spettacolo delle consultazioni napoletane, la base del partito ci ripensa: «Qui ci vogliono regole, far votare tutti significa andare al massacro»
di Francesco Falco
Dell’esito, incerto, interessa parlare fino a un certo punto. Perché tra le accuse di brogli, di voti comprati per una manciata di euro nelle zone più povere della città, tra veti e parziali distensioni, definire pasticcio questa storia è a dir poco eufemistico. Se ne sono accorti anche ai piani alti del partito, captando l’amarezza di iscritti e militanti che hanno visto le primarie per il candidato sindaco del Pd a Napoli trasformarsi in una guerra interna logorante e manifesta.
Fiutati i pericoli, è stato il segretario nazionale Pierluigi Bersani, nei giorni successivi alla vittoria contestatissima di Andrea Cozzolino contro Umberto Ranieri e Libero Mancuso, a inviare a Napoli Andrea Orlando, in veste di commissario, con il compito di sciogliere un nodo che rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol. Del resto, era stato lo stesso segretario regionale Enzo Amendola, durante l’assemblea nazionale del partito, ad esprimersi con questi toni: «Senza retorica vi chiedo scusa per quanto è accaduto: siamo una comunità legata da un impegno e una lotta comune e per questo le mie scuse sono segnate da amarezza e inquietudine».
Un sentimento di disaffezione che serpeggia in maniera evidente tra la base del partito, covato già da tempo e ribadito da chi sconfessa, a larghissima maggioranza, i risultati della consultazione, come segnalato da un sondaggio de “la Repubblica Napoli”, secondo il quale solo l’11% ritiene credibile il dato uscito dalle primarie.
E ora? Dopo la parziale retromarcia di Cozzolino, i nomi rilanciati come quello di Raffaele Cantone e Luigi De Magistris sembrano suggerire la figura di una personalità trasparente e affidabile, capace di ricompattare iscritti e simpatizzanti intorno a una figura di rinnovamento. Ma Cantone pare proprio non aver voglia di lanciarsi in una sfida elettorale simile, e la palla ripassa in mano alla politica.
Certo, ci si guarda bene dal prendersela con il mezzo primarie, un mero strumento in mano a chi lo usa peculiarmente e non senza distorsioni. Come quelle segnalate da Renato Natale, chiamato in veste di commissario a rilanciare il Pd di Casal di Principe, in uno dei tanti paesi della provincia di Caserta dove il maggiore partito del centrosinistra mostra enormi segnali di difficoltà.
«Per come vengono organizzate, io non credo alle primarie. Se fossero programmate con gli iscritti, beh sì; ma in alcune realtà è evidente che l’avversario politico è tentato di intervenire per far vincere il candidato più debole, per poi batterlo più agevolmente alle elezioni.
Non si può – continua Natale – scimmiottare altri Paesi senza la stessa storia, senza poi considerare criticità come la compravendita di voti o altre distorsioni». E sulle primarie napoletane, rincara: «La frattura interna crea perplessità a persone come me e altri: il centro del dibattito è sempre sull’organigramma, su chi fa che cosa, e non su temi concreti come la sicurezza sul lavoro, l’ambiente, la lotta alle illegalità».
Sulla scelta, “laica”, di accettare l’incarico di commissario del Pd locale, conclude: «Ho deciso di fare il commissario sulla spinta di una serie di amici e compagni di Casal di Principe, per ricostruire un minimo di attività politica che era sparita, cercando di riavvicinare quelli che si erano allontanati, che erano trasmigrati nel volontariato, ma il mio è soltanto un ruolo locale».
La pressoché unanime condanna dello spettacolo negativo offerto dal Pd giunge anche da Raffaele Vitale, giovane segretario del Pd di Parete: «Cose del genere allontanano le nuove generazioni dalla politica: il risultato è quello di ottenere l’effetto inverso. Calare le primarie senza un regolamento che tuteli tutti, in una realtà complessa come la nostra, vuol dire andare al massacro, se non ti doti di uno strumento di garanzia efficace»...continua
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