Rita, sorella del magistrato ucciso diciotto anni fa dalla mafia, spiega perché la lotta alla criminalità non ha bisogno di eroi. Ma per contrastare la camorra serve tensione civile
di Mario Tudisco e Mariella Cozzolino
«La morte di Paolo non è stata un evento imprevisto, è stato un assassinio annunciato da tempo. Lui diceva sempre: "Se uccidono Giovanni Falcone, che è il mio scudo, poi elimineranno anche me". E, nonostante il pensiero di Paolo fosse a tutti noto, nessuna autorità volle incrementare le misure precauzionali nei suoi confronti. Ancora oggi, però, mi chiedo: chi poteva conoscere così bene gli spostamenti di mio fratello da ordire un attentato sotto casa di nostra madre, l’unico posto dove, anche a costo di mettere a repentaglio la sua vita, si sarebbe sicuramente recato?». Rita Borsellino (nella foto), oggi eurodeputata, è una signora non più giovanissima, che trasuda dolcezza in ogni atteggiamento e in ogni parola. Potrebbe usare toni più forti contro i mandanti e i killer di suo fratello Paolo, eppure non si scorge risentimento nella sua voce. Piuttosto una duplice preoccupazione: conoscere chi poteva avere reali interessi dalla scomparsa del fratello e, soprattutto, fare in modo che il suo sacrificio divenga esempio per le future generazioni.
Signora Borsellino, quale dei ricordi di suo fratello l’ha maggiormente colpita, dopo diciotto anni dalla barbara strage di via D’Amelio?
In questi anni, tantissime personalità e tantissima gente comune ha avuto apprezzamenti per la memoria di Paolo. Molti di questi erano sicuramente sinceri; altri sono stati avanzati con colpevole ritardo. Detto questo, credo che il miglior complimento che sia stato fatto a mio fratello è quello del suo capo, il giudice Antonino Caponnetto, quando affermò che Paolo Borsellino, prima di amministrare la giustizia, la viveva. Parole che meglio di ogni altro discorso rappresentano ciò che è stato mio fratello. Parole ancora più importanti perché pronunciate da un autentico galantuomo quale era Caponnetto. Se mi permette io preferirei ricordare l’uomo Borsellino, non l’eroico magistrato ucciso perché voleva distruggere Cosa Nostra. Neanche a lui sarebbe piaciuto essere ricordato come un superuomo, in quanto era ben consapevole che, in questo modo, sarebbe stato presto archiviato come una eccezione irripetibile; mentre per sconfiggere le mafie non ci vogliono eroi, ma uomini perbene che facciano il loro dovere.
Come apprese dell’omicidio di suo fratello e degli uomini della scorta?
Come milioni di italiani lo venni a sapere dalla televisione. Mi recai immediatamente in via D’Amelio, sotto casa di nostra madre, e vedendo quei poveri corpi dilaniati, quei quasi cento appartamenti distrutti, gridai forte che lì non ci avrei mai più messo piede. Fu mio figlio a scuotermi, quasi con forza, e a farmi ritornare in me. Non riuscivo neanche a piangere, né ci riesco oggi dopo diciotto anni. Ma in tutto questo tempo ho sempre continuato a chiedermi: chi conosceva così bene gli spostamenti di mio fratello? Perché chi aveva il dovere di proteggerlo non aumentò le misure di sicurezza dopo l’omicidio di Giovanni Falcone? Perché qualcuno si distrasse in un periodo così delicato della nostra storia repubblicana? A volte, per consolarmi, penso che forse era già tutto scritto. Paolo, spesso, mi diceva che lavorava anche diciotto ore al giorno perché il suo tempo stava per finire. Mi auguravo – ma dentro di me sapevo che così non era – che si riferisse al tempo degli atti giudiziari. E, invece, sapeva che stava per terminare il suo tempo terrestre.
Tanti anni dopo, le metastasi mafiose non sono state ancora debellate. Giovanni Falcone diceva che, come tutti i fenomeni umani, Cosa Nostra un giorno sarà azzerata. Intanto la lotta continua…
La lotta alle mafie deve essere innanzitutto un movimento culturale, che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà, che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Solo se un giorno la maggioranza degli italiani condividerà questo messaggio potremmo dire di aver sconfitto i boss e i loro famelici clan. Molto è compito dello Stato, che nel Meridione non è mai riuscito a incidere sul tessuto sociale. Se, infatti, non c’è lavoro e non ci sono prospettive di vita per i nostri giovani è facilissimo che alcuni di loro cadano nella rete degli uomini di Cosa Nostra. Ed è ai giovani che mi rivolgo, è a loro che vorrei far conoscere l’uomo Paolo Borsellino, con tutte le sue debolezze e i suoi difetti, perché lo vedano come un personaggio non irraggiungibile, ma come una persona che ha creduto sempre nel lavoro che svolgeva...continua
Signora Borsellino, quale dei ricordi di suo fratello l’ha maggiormente colpita, dopo diciotto anni dalla barbara strage di via D’Amelio?
In questi anni, tantissime personalità e tantissima gente comune ha avuto apprezzamenti per la memoria di Paolo. Molti di questi erano sicuramente sinceri; altri sono stati avanzati con colpevole ritardo. Detto questo, credo che il miglior complimento che sia stato fatto a mio fratello è quello del suo capo, il giudice Antonino Caponnetto, quando affermò che Paolo Borsellino, prima di amministrare la giustizia, la viveva. Parole che meglio di ogni altro discorso rappresentano ciò che è stato mio fratello. Parole ancora più importanti perché pronunciate da un autentico galantuomo quale era Caponnetto. Se mi permette io preferirei ricordare l’uomo Borsellino, non l’eroico magistrato ucciso perché voleva distruggere Cosa Nostra. Neanche a lui sarebbe piaciuto essere ricordato come un superuomo, in quanto era ben consapevole che, in questo modo, sarebbe stato presto archiviato come una eccezione irripetibile; mentre per sconfiggere le mafie non ci vogliono eroi, ma uomini perbene che facciano il loro dovere.
Come apprese dell’omicidio di suo fratello e degli uomini della scorta?
Come milioni di italiani lo venni a sapere dalla televisione. Mi recai immediatamente in via D’Amelio, sotto casa di nostra madre, e vedendo quei poveri corpi dilaniati, quei quasi cento appartamenti distrutti, gridai forte che lì non ci avrei mai più messo piede. Fu mio figlio a scuotermi, quasi con forza, e a farmi ritornare in me. Non riuscivo neanche a piangere, né ci riesco oggi dopo diciotto anni. Ma in tutto questo tempo ho sempre continuato a chiedermi: chi conosceva così bene gli spostamenti di mio fratello? Perché chi aveva il dovere di proteggerlo non aumentò le misure di sicurezza dopo l’omicidio di Giovanni Falcone? Perché qualcuno si distrasse in un periodo così delicato della nostra storia repubblicana? A volte, per consolarmi, penso che forse era già tutto scritto. Paolo, spesso, mi diceva che lavorava anche diciotto ore al giorno perché il suo tempo stava per finire. Mi auguravo – ma dentro di me sapevo che così non era – che si riferisse al tempo degli atti giudiziari. E, invece, sapeva che stava per terminare il suo tempo terrestre.
Tanti anni dopo, le metastasi mafiose non sono state ancora debellate. Giovanni Falcone diceva che, come tutti i fenomeni umani, Cosa Nostra un giorno sarà azzerata. Intanto la lotta continua…
La lotta alle mafie deve essere innanzitutto un movimento culturale, che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà, che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Solo se un giorno la maggioranza degli italiani condividerà questo messaggio potremmo dire di aver sconfitto i boss e i loro famelici clan. Molto è compito dello Stato, che nel Meridione non è mai riuscito a incidere sul tessuto sociale. Se, infatti, non c’è lavoro e non ci sono prospettive di vita per i nostri giovani è facilissimo che alcuni di loro cadano nella rete degli uomini di Cosa Nostra. Ed è ai giovani che mi rivolgo, è a loro che vorrei far conoscere l’uomo Paolo Borsellino, con tutte le sue debolezze e i suoi difetti, perché lo vedano come un personaggio non irraggiungibile, ma come una persona che ha creduto sempre nel lavoro che svolgeva...continua
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